I
meccanismi molecolari della memoria di lungo termine
ROBERTO COLONNA
NOTE E
NOTIZIE - Anno VIII - 23 ottobre 2010.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
TRASCRIZIONE DI UNA REGISTRAZIONE]
Il gruppo
strutturale per lo studio della memoria e dell’apprendimento di
BM&L-Italia, lo scorso venerdì 8 ottobre, ha tenuto in Firenze un incontro
sulla storia recente delle ricerche che hanno portato alla scoperta dei
principali meccanismi della memoria. In larga misura incentrato sulla relazione
della professoressa Nicole Cardon che ha narrato in dettaglio i passi che
portarono all’accertamento dei principali processi connessi con il formarsi
delle tracce di breve termine, l’incontro è stato concluso dalla trattazione
dei meccanismi della memoria di lungo termine da parte del professor Perrella.
Della registrazione di quest’ultimo intervento proponiamo qui di seguito la
trascrizione di un ampio stralcio. La
scelta di evidenziare alcune parole del testo è del curatore della nota.
(Seconda
ed Ultima Parte)
A
questo interrogativo, ancor prima di ottenere verifiche sperimentali della
selettività del rinforzo a lungo termine della giunzione stimolata, Goelet e
Kandel avevano provato a dare risposta già in un articolo del 1986, ipotizzando
una sorta di “marcatura sinaptica” operata dal neurone[1].
Ma ora si trattava di stabilire in cosa consistesse questo contrassegno e come
fosse materialmente gestito dalla cellula.
Il
sistema di coltura cellulare introdotto da Kelsey Martin consentì di coltivare un
singolo neurone sensoriale, collegandolo a due diversi motoneuroni
post-sinaptici ben distanti fra loro[2].
In tal modo fu possibile stimolare una sola sinapsi, avendo l’altra per
controllo, e verificare che erano sufficienti cinque impulsi di serotonina per
formare una memoria di lungo termine[3]
e che questa memoria non veniva trasmessa alla sinapsi non stimolata, pur
essendosi formata grazie alla risposta genetica all’azione di CREB. In un
elegante esperimento la Martin bloccò l’azione di CREB nel nucleo della cellula
sensoriale e, poco dopo, nella terminazione stimolata si ebbe l’interruzione
sia del rinforzo funzionale che della crescita di nuove giunzioni.
Se
la cellula distingue le due sinapsi, in qualche modo la terminazione che
apprende la nuova risposta di lungo termine a mediazione genetica deve essere
“marcata per la crescita”, come sosteneva Kandel, ma in tal caso si doveva
chiarire in cosa consistesse questa “marcatura”. In realtà, l’ipotesi di una
marcatura della sinapsi implicava che il nucleo inviasse RNA messaggero e
proteine specifiche per la memoria di lungo termine solo alle terminazioni
marcate; in alternativa si poteva ipotizzare che la scelta non avesse la sua
centrale nel nucleo, ma avvenisse al livello delle sinapsi: RNA messaggero e proteine
per la memoria protratta sarebbero stati inviati a tutte le terminazioni, ma
solo quelle mutate dall’esperienza diretta degli stimoli avrebbero posseduto
una risorsa o un meccanismo molecolare per utilizzarli.
Kelsey
Martin propendeva per la seconda ipotesi e, poiché era più facile verificarla
sperimentalmente, si cominciò da questa.
La
ripresa del lavoro dimostrò che la dottoressa di Yale aveva avuto l’intuizione
giusta e, conducendo personalmente gli esperimenti, scoprì due caratteristiche
necessarie ad individuare una sinapsi come candidata al rinforzo di lungo
termine: 1) l’attivazione della proteinchinasi A e 2) l’attivazione del
meccanismo che regola la sintesi proteica
locale.
Kandel
stesso definì stupefacente la scoperta della seconda caratteristica, perché se
già si conosceva, grazie ad Oswald Steward, l’esistenza di una sintesi proteica
che non ha luogo nel corpo del neurone ma localmente presso la sinapsi, il suo
ruolo era rimasto misterioso fino a quel momento. Ora, Kelsey Martin aveva scoperto
che la produzione di nuove proteine nell’area giunzionale stimolata per indurre
apprendimento aveva un ruolo nella formazione della memoria di lungo termine.
Il
prosieguo della sperimentazione mostrava una netta differenza di ruolo fra le
proteine inviate dal corpo cellulare a tutta la periferia neuronica e quelle
sintetizzate in loco, nella sinapsi sottoposta a stimoli. In particolare, era
possibile definire con chiarezza l’esistenza di due ordini distinti di eventi
molecolari: un processo di avvio ed
uno di mantenimento. Schematizziamoli
in sintesi.
1)
Processo di avvio della memoria di lungo
termine. Ha il suo
fulcro nell’invio al nucleo della proteinchinasi A, per l’attivazione delle
CREB che inducono l’espressione di geni effettori codificanti le proteine
necessarie alla crescita di nuove connessioni sinaptiche.
2)
Processo di mantenimento della memoria di
lungo termine. E’
basato sulla sintesi proteica locale che fa continuare l’immagazzinamento
mnemonico conservando le nuove terminazioni sinaptiche in grado di garantire la
persistenza della variazione appresa.
A
questo punto, anche se non si poteva dire di aver risposto all’interrogativo su
come faccia un neurone a computare la specificità di tutte le sue sinapsi, si
poteva certamente dire di aver scoperto il modo in cui la specificità per il
rinforzo si definisce e, soprattutto, Kandel e collaboratori potevano essere
soddisfatti per aver fornito una prima, parziale risposta su quali sono i
meccanismi molecolari che consentono il formarsi e il conservarsi di una
memoria di lungo termine.
Una
ben nota particolarità della ricerca è che nel suo svolgersi, che finalizziamo
all’ottenimento di una risposta ad una nostra domanda, spesso ci presenta una
realtà che ci induce a ridefinire il quesito stesso e ad aggiungerne altri. In
questo caso, i risultati ottenuti proponevano un nuovo scenario che portava a
chiedersi: in che modo opera il mantenimento?
Quali proteine sintetizzate localmente hanno in sé il potere di conservare il rafforzamento mediato
dalla regolazione delle CREB?
Questi
interrogativi sono forse le ultime domande del millennio formulate nel
laboratorio di Eric Kandel; era infatti il 1999 quando Kausik Si, un giovane
ricercatore indiano, si unì all’ormai celebre gruppo della Columbia University
per dare un contributo alla soluzione dei problemi relativi al modo in cui la
produzione locale di nuove catene polipeptidiche consentisse il perdurare della
risposta memorizzata. Kausik Si aveva conseguito il dottorato con una ricerca
sulla sintesi proteica nel lievito e, giunto alla Columbia, si era subito messo
a studiare la sintesi locale nella sinapsi del neurone sensoriale di Aplysia.
Per
sintesi proteica locale si intende la traduzione nella sinapsi di RNA
messaggero sintetizzato nel nucleo ed inviato lungo l’assone fino al terminale.
Dunque, Kausik pose la questione in questi termini: si deve stabilire se l’RNA
messaggero arriva in una forma attiva o in una forma quiescente che richiede
attivazione locale da parte della sinapsi che sta apprendendo. Questa seconda
possibilità costituisce una modalità che consente un ulteriore passo di
regolazione da parte della sinapsi. Un processo simile esiste in natura ed è
stato descritto da decenni nello sviluppo della rana: quando l’ovocellula della
rana diventa fertile e matura delle molecole di RNA messaggero dormienti sono
risvegliate e rese attive da CPEB (da cytoplasmic
polyadenylation element-binding), una proteina che si lega al fattore di
poliadenilazione citoplasmatica e regola la sintesi proteica locale.
Il
ricercatore indiano era convinto che il messaggero giungesse all’estremità del
neurite in una forma inattiva, e soleva paragonare la molecola di acido
ribonucleico quiescente alla bella
addormentata della celebre favola che narra di una fanciulla caduta in un
sonno profondo dal quale si sarebbe risvegliata solo per il bacio di un
principe. Convinto di dover cercare il “principe molecolare”, Kausik indagò
l’esistenza di una proteina equivalente a quella della rana e, infatti, scoprì
una nuova forma di CPEB presente solo nel sistema nervoso, localizzata in tutte
le sinapsi di un neurone, attivata dalla serotonina e necessaria in Aplysia al mantenimento della sintesi
proteica e alla crescita di nuove terminazioni.
La
scoperta di Kausik della CPEB neuronica, da una parte entusiasmava perché
rappresentava l’identificazione di un altro meccanismo molecolare rilevante per
la formazione della memoria di lungo termine, dall’altra sollevava un dubbio
importante sul suo ruolo: le proteine sono degradate e distrutte nel giro di
ore, come si spiega il mantenimento della crescita per una durata temporale
tanto più lunga?
La
CPEB era pur sempre una proteina, dunque in quale direzione si doveva cercare
per trovare l’elemento capace di assicurare la continuità e la permanenza
tipica di molte memorie di lungo termine. Eppure, studiando la sequenza
aminoacidica della CPEB neuronica, il ricercatore indiano aveva notato qualcosa
di molto particolare.
Ecco
come ne riferisce lo stesso Eric Kandel[4]:
“Ricordo, nel 2001, uno di quegli splendidi pomeriggi della primavera di New
York, dalla finestra del mio studio vedevo la luce del sole giocare sulle
increspature dell’Hudson, quando entrò Kausik e di botto mi chiese: “E se ti
dicessi che la CPEB ha delle proprietà simili al prione?”[5].
Sulle prime a Kandel parve un’idea balzana, ma presto dovette ricredersi.
I
prioni, la cui scoperta valse a Stanley Prusiner il Premio Nobel nel 1997, come
sapete sono molecole proteiche speciali in quanto in grado di autoperpetuarsi
ed autopropagarsi.
Ricordo
come la ricerca infruttuosa di un ipotetico virus nelle encefalopatie
trasmissibili animali, quali lo scrapie della pecora e la BSE dei bovini, e in
quelle umane come il Kuru (trasmesso fra indigeni antropofagi per l’assunzione
del cervello di persone portatrici), la malattia di Creutzfeldt-Jacob (CJD), la
malattia di
Gertsmann-Sträussler-Scheinker (GSS)[6],
abbia condotto all’ipotesi di un agente trasmissibile che non avesse la
struttura di un microrganismo. Poi, Prusiner e colleghi nel 1982 isolarono una
sialoglicoproteina, cui diedero il nome di prion
o PrP (proteinaceous infectious particle)
per distinguerla da virus e viroidi, come maggiore costituente della frazione
infettiva, in grado di formare depositi amiloidi potenzialmente tossici. Sono state
poi riconosciute due isoforme con differenti caratteristiche fisico-chimiche:
la forma cellulare normale o PrPC, ancorata alla membrana mediante
glicosil-fosfatidil-inositolo, e quella trovata come materiale aggregato nel
tessuto infetto ed associata allo scrapie, PrPSc. Voglio ancora
ricordare che in patologia umana si osservano tre tipi eziologici di malattie
da prioni: ereditarie, sporadiche ed acquisite.
Dei
prioni si conosceva la fisiopatologia della forma trasmissibile ma, fino alla
scoperta di Kausik, nessuno aveva ancora identificato un ruolo fisiologico per
la forma cellulare. Il ricercatore indiano non aveva solo ottenuto un
importante risultato nello studio dei meccanismi molecolari della memoria di
lungo termine, ma aveva inaugurato un nuovo campo di studi.
Il
prosieguo della sperimentazione mostrò che, nel neurone sensoriale di Aplysia,
la conversione di CPEB dalla forma inattiva a quella attiva, è controllata
dalla serotonina, lo stesso neurotrasmettitore richiesto per convertire la traccia
mnemonica di breve durata in una risposta appresa e conservata a lungo o
permanentemente[7].
E’importante
sottolineare che la forma autoperpetuante di CPEB mantiene la sintesi proteica
locale e non è facilmente reversibile.
Mi
piace notare che Kausik e Kandel, lavorando sulle cellule di un mollusco, oltre
ad aver definito l’importanza di un nuovo prione per la persistenza della
memoria e, in definitiva, per una funzione cognitiva di base del nostro
cervello, avevano introdotto due nuovi aspetti nella biologia dei prioni: 1)
hanno descritto la prima forma autopropagante di un prione che svolge una
funzione fisiologica e non causa degenerazione e morte cellulare; 2) un normale
segnale fisiologico quale la 5-idrossitriptamina (5-HT) o serotonina è
necessario e sufficiente per la transizione di fase di questo prione.
Questi
studi sono uno straordinario esempio di quanto vi sia ancora di misteriosamente
affascinante da scoprire nell’organizzazione funzionale della materia
biologica, che pone i processi molecolari alla base di un gruppo di malattie
gravi e rare a fondamento della memoria di lungo termine, componente
neurofisiologica essenziale lungo tutta la scala zoologica, fino all’encefalo
umano.
In
proposito si deve notare che Kausik e Kandel sono giunti ad ipotizzare che
questa scoperta sia la punta emergente di un iceberg: l’attivazione di una
variante autoperpetuante e non ereditaria di una proteina potrebbe operare in
molti altri contesti biologici, compreso lo sviluppo e la trascrizione genica.
In
conclusione, possiamo soffermare l’attenzione sui tre principi che sono emersi
dalla sperimentazione sulla sensibilizzazione in Aplysia, ma si applicano
all’immagazzinamento mnemonico in tutti gli animali.
1)
La formazione della memoria a lungo termine richiede l’attivazione di geni.
2)
La selezione delle esperienze da immagazzinare presenta un vincolo biologico di
regolazione: le proteine CREB1 devono essere attivate e le proteine CREB2, che
sopprimono i geni che rafforzano la memoria, devono essere disattivate.
3)
La crescita e il mantenimento di nuove terminazioni sinaptiche specifiche, che
rendono la memoria persistente, richiede l’intervento della forma attivata di
CPEB che agisce sulla sintesi proteica locale.
Accomiatandomi,
vorrei osservare che da tutto l’evolversi degli studi sui meccanismi molecolari
della memoria possiamo trarre una straordinaria lezione: un duro e faticoso
lavoro sul sistema nervoso di un mollusco, intrapreso fra lo scetticismo di
molti, è proseguito per decenni con l’apporto di tante personalità brillanti ed
operose, che hanno consentito, passo dopo passo, di fare progressi decisivi
nella conoscenza di molecole e meccanismi alla base di processi presenti in
tutti gli organismi dotati di un sistema nervoso, dal moscerino all’essere
umano. E, quando sembrava che ormai non ci fosse nulla più di interessante da
scoprire, tranne qualche dettaglio da aggiungere a schemi arcinoti, la natura
ha riservato un colpo di scena davvero stupefacente: i prioni, da non molto
tempo riconosciuti come agenti eziologici di malattie neurodegenerative, hanno
delle forme normali con la funzione biologicamente universale di presiedere
alla conservazione della memoria sinaptica di lungo termine.
Il curatore della trascrizione invita alla lettura dei
numerosi scritti di argomento connesso che compaiono sul sito, in particolare
suggerisce di scorrere l’elenco delle “Note e Notizie” per le numerose
recensioni di lavori sulla neurobiologia della memoria.
[1] Goelet P. & Kandel E. R., Tracking the flow of learned information from membrane receptors to genome. Trends in Neuroscience 9, 472-499, 1986.
[2] Si fa riferimento ad una microfotografia della coltura che mostra nel mezzo il corpo di una cellula sensoriale che raggiunge con le due terminazioni due grandi motoneuroni situati ai lati opposti, ben distanti fra loro e con gli assoni orientati in senso inverso.
[3] Morfologicamente evidenziata dallo sviluppo di nuove giunzioni.
[4] Eric Kandel, che nel 2000 era stato insignito del Premio Nobel, viveva un periodo straordinario sia per l’attività scientifica della sua scuola sia per la notorietà internazionale che gli aveva portato riconoscimenti, ammirazione e considerazione anche al di fuori del mondo della ricerca. La dimensione poliedrica della sua personalità, dopo una fortunata esperienza cinematografica, ne ha fatto di recente, ad oltre ottant’anni, un personaggio di successo della TV americana.
[5] Kandel E., Alla ricerca della memoria – La storia di una nuova scienza della mente. Codice Edizioni, Torino 2007.
[6] A queste malattie si deve aggiungere l’insonnia familiare fatale (FFI) la cui origine prionica è stata riconosciuta più di recente.
[7] La CPEB, come variante della proteina prionica, è veramente la macchina molecolare ideale per l’immagazzinamento mnemonico: l’autoperpetuazione di questa proteina è cruciale per il mantenimento della sintesi proteica locale e consente all’informazione di essere immagazzinata selettivamente e per sempre in una certa sinapsi e non nelle altre, anche se appartengono allo stesso assone.