Basi
cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM
GIOVANNA REZZONI
NOTE E
NOTIZIE - Anno VIII - 20 novembre 2010.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo: SINTESI
DI UNA RELAZIONE]
(Quarta
Parte)
L’impulsività
in una persona fredda e insensibile al rischio e al dolore, costituisce
probabilmente il tratto più inquietante della personalità dello psicopatico e
l’aspetto che, nella vita quotidiana, lo rende diverso dagli altri anche quando
non compie atti nocivi o criminosi. Eppure, può accadere che proprio questo
tratto rappresenti un vantaggio sociale: chi non si emoziona è in genere
giudicato “sicuro di sé”, e chi non teme il rischio è ritenuto un coraggioso.
Perciò, non meraviglia che, proprio grazie a questo deficit, si possa ottenere
considerazione sociale e fare carriera con maggiore facilità, essere incaricati
di compiti importanti, essere oggetto di ammirazione. La freddezza conferita
dalla psicopatia può far comodo a un chirurgo, a un diplomatico, a un
lavoratore sospeso ad una fune lungo la facciata di un grattacielo, ma
certamente ha avuto ed ha un ruolo dalle conseguenze più impressionanti nei
membri di organizzazioni politiche paramilitari, nei terroristi di ispirazione
islamica, negli agenti dei servizi di sicurezza nel corso di conflitti e, come
si è già rilevato, nei criminali comuni. Ma qual è la base cerebrale di questo
tratto?
Una
prima traccia è stata fornita da una casistica clinica neurologica e
neurochirurgica di persone che, a seguito di eventi traumatici o di altre
lesioni cerebrali, hanno sviluppato caratteristiche della personalità
psicopatica. L’accurato esame neuropsicologico e psichiatrico di questi
pazienti ha consentito di caratterizzare un quadro clinico al quale si è dato
il nome di “psicopatia acquisita”, la cui origine, come è emerso dallo studio
del cervello mediante risonanza magnetica nucleare, poteva essere attribuita al
danno della corteccia orbitofrontale[1].
La
ricerca ha rivelato che i sistemi neuronici della corteccia orbitofrontale intervengono
in processi cognitivi di alto livello come quelli valutati in sofisticate prove
di decision making, in cui i termini
del problema devono essere affrontati tenendo conto di rischi, ricompense e
punizioni.
Si
deve però osservare che i pazienti con lesioni circoscritte alla sola corteccia
prefrontale erano ancora capaci di empatia, non presentavano una vera assenza
di emozionabilità e conservavano le principali manifestazioni affettive tipiche
del loro temperamento e carattere premorboso.
Dunque,
non basta un deficit nella regione orbitofrontale della neocorteccia per
giustificare tutti gli elementi distintivi della fisiologia psichica dello
psicopatico. In particolare, la mancanza di reazioni emotive fa pensare ad una
compromissione di funzioni dell’amigdala.
L’amigdala o corpo nucleare amigdaloideo è un agglomerato nucleare
grigio-rossastro a forma di mandorla[2]
del diametro di 10-12 mm, situato nella profondità dorso-mediale del lobo
temporale, in prossimità topografica della coda del nucleo caudato, ma non
collegata fisiologicamente al controllo motorio e procedurale dei nuclei del
corpo striato. Negli ultimi decenni è stata studiata quasi esclusivamente in
rapporto alla paura, all’ansia, all’allerta e al conferimento di valori
d’affezione a stimoli percettivi, in una gamma che va dall’appetito sessuale ed
alimentare all’interesse estetico ed astratto. Al suo interno sono stati
descritti dodici piccoli nuclei ma, negli studi più recenti, si prendono in
considerazione quasi esclusivamente il gruppo nucleare laterale o amigdala
laterale (AL), quello centrale (CE) e quello basale (B). Nella classica
funzione di segnalazione del pericolo, gli stimoli sensoriali provenienti dal
talamo e dalla corteccia giungono ad AL che attiva CE, generando le principali
reazioni connesse con l’emozione della paura: attiva nuclei della sostanza
grigia centrale troncoencefalica che determinano l’inibizione dell’animale (freezing), agisce sull’ipotalamo
laterale, innalzando la pressione sanguigna, e sul nucleo paraventricolare
dell’ipotalamo, determinando il rilascio di ormoni.
L’integrità
dei sistemi neuronici di questa formazione per la percezione del pericolo,
l’avvio della risposta fight or flight
(la reazione di base “attacco o fuga”) e tutte le risposte esprimenti timore, è
ben nota ai ricercatori: le scimmie con esteso danno dell’amigdala stanno ritte
di fronte all’uomo, senza presentare alcuno degli atteggiamenti sfuggenti e
delle posture improntate a prudenza e ritrosia tipiche della specie. Il loro
modo di comportarsi ricorda l’impudenza, la sfrontatezza e il coraggio sociale
spesso mostrato dagli psicopatici, ma rammenta anche la loro mancanza di
reattività alle prove sperimentali che normalmente fanno sobbalzare o
retrocedere le persone che vi sono sottoposte. Lo psicopatico, di fronte ad un
aggressore che appare improvvisamente e gli si avventa contro, così come nel vedersi
puntare minacciosamente una pistola sul viso, letteralmente non batte ciglio.
Ma,
sia le evidenze sperimentali che una buona conoscenza della fisiologia
cerebrale, rendono poco probabile un difetto localizzato in queste due sole
aree. Infatti, Kent Kiehl ha recentemente proposto che la psicopatia derivi da
un difetto che estensivamente riguarda tutto il sistema paralimbico, un insieme
di strutture con una forte interconnessione funzionale, implicate
nell’elaborazione delle emozioni, nel perseguimento di un obiettivo, nella
motivazione e nell’autocontrollo.
A
sostegno di questa ipotesi vi sono i risultati ottenuti dallo stesso Kiehl con
i suoi collaboratori, negli studi condotti mediante tomografia in risonanza
magnetica nucleare dell’encefalo di psicopatici: il minor volume del tessuto di
tutta l’area topografica corrispondente al sistema paralimbico fa pensare ad
una ipoevoluzione e/o ad un’atrofia che potrebbe conferire una base
neurobiologica non trascurabile per un esito probabilmente condizionato da molteplici
fattori.
[continua]
L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società
Nazionale di Neuroscienze che le ha consentito di apportare tagli alla sua
relazione, riassunta nel presente testo.
[1] Kent A. Kiehl & Joshua W. Buckholtz, op. cit., p. 26. In precedenza, studi condotti con metodiche diverse e in base a un diverso criterio di scelta del campione (criminologico e non clinico), avevano rilevato dati che oggi possiamo accostare a questi. Ad esempio, nel 1994 Raine e colleghi avevano trovato una selettiva riduzione del metabolismo del glucosio nella corteccia orbitofrontale di un campione di criminali omicidi (Raine A., et. al., Biol. Psychiatry 36, 365-373, 1994).
[2] L’amigdala, da una parola greca che vuol dire mandorla, occupa la parte anteriore del giro paraippocampico e la parte iniziale dell’uncus, sporgendo davanti al corno di Ammone. La tradizionale interpretazione di Kappers voleva il corpo amigdaloideo corrispondente all’archistriato dei Sauropsidi. Secondo altri autori, la parte filogeneticamente più antica (archiencefalica) corrisponderebbe ai nuclei della parte ventrale e deriverebbe dal ganglio basale, mentre la parte rimanente sarebbe meno antica o paleoencefalica e deriverebbe dal paleopallio. Ritenuta a lungo un centro di elaborazione esclusivamente connesso con l’olfatto, se ne è poi compresa l’importanza nell’elaborazione delle emozioni e, nella seconda metà del Novecento, la si è studiata in relazione alla rabbia e all’aggressività. I deplorevoli interventi di psicochirurgia su criminali dal temperamento aggressivo ed iracondo prevedevano spesso la distruzione bilaterale dell’amigdala, con la conseguente induzione di placidità e passività. Negli ultimi decenni è stata studiata soprattutto in relazione alla paura e all’apprendimento (della paura condizionata), in quanto dalla sua elaborazione dipende l’attivazione dei tre principali sistemi che mediano l’attivazione neuroendocrina dell’assetto fisiologico della paura e dello stress nell’organismo [Nota del Relatore].