La sottovalutazione della demenza frontotemporale (FTD)

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 22 gennaio 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE E BREVE RASSEGNA]

 

 Sembra che il grado di impegno ed interesse della comunità scientifica per una patologia si rifletta sulla percentuale di casi diagnosticati e, sebbene questo effetto non incida molto sull’operato dei centri di alta specializzazione e dei professionisti più preparati e scrupolosi, appare evidente la sua importanza nella pratica clinica media di tutto il mondo. La consapevolezza di una tale responsabilità dovrebbe indurre ricercatori, studiosi e docenti a considerare con attenzione quei quadri morbosi che rischiano di essere trascurati, magari perché esclusi dai finanziamenti dei grandi programmi di ricerca focalizzati su patologie di maggiore attualità, oppure perché, a torto, se ne sottostima la frequenza. E’ questo il caso della malattia neurodegenerativa descritta per la prima volta nel 1892 dal neurologo ceco Arnold Pick[1] ed oggi classificata come demenza frontotemporale (FTD, da frontotemporal dementia) in un gruppo di varianti patologiche e cliniche ormai ben caratterizzate.

Una trentina di anni or sono, con l’ampliamento dei criteri diagnostici per la malattia di Alzheimer e la focalizzazione della ricerca sulla sua eziopatogenesi, cominciò un periodo di colpevole negligenza delle altre forme di neurodegenerazione cerebrale con decadimento cognitivo. Negli Stati Uniti la FTD scomparve quasi da molti manuali didattici di clinica psichiatrica e si affermò la convinzione che il procedere della ricerca avrebbe ricondotto ad un minimo comun denominatore patologico tutte le forme di demenza neurodegenerativa[2]. L’influenza di questo pensiero sulla cultura di massa, attraverso la divulgazione scientifica e l’informazione giornalistica, si riverberò sulla formazione delle opinioni dei responsabili del finanziamento della ricerca. 

In Svezia, in controtendenza e con scarsa risonanza, nel 1987 Arne Brun e Lars Gustafson, rispettivamente neuropatologo e psichiatra, condussero un accurato studio autoptico del cervello di 158 pazienti che in vita avevano ricevuto una diagnosi di demenza: il 13% presentava forme di degenerazione riconducibili alla FTD.

Un tale riscontro supportava la prudente conservazione del criterio anatomopatologico nella nosografia di questi disturbi - come peraltro si continuava a fare in neurologia - ma presso gli psichiatri americani era già prevalsa la tendenza ad adottare per tutte le demenze neurodegenerative un’unica categoria clinica, in larga misura centrata sulla malattia di Alzheimer. Per tale ragione, fu necessario attendere fino agli anni Novanta, quando l’individuazione del sintomo del “declino sociale” come elemento distintivo della FTD, da parte di Bruce L. Miller dell’Università della California a San Francisco ed alcuni altri psichiatri, consentì di riaffermare come entità nosografica indipendente la malattia di Pick e le altre forme di decadimento psichico da distruzione a prevalente localizzazione lobare di sistemi neuronici telencefalici.

Negli anni successivi si è accertata, in circa la metà delle persone affette, la presenza di aggregati tossici di proteina tau alterata nei neuroni frontotemporali, e, nella maggior parte dei pazienti costituenti l’altra metà dei casi diagnosticati, sono stati rilevati accumuli di TDP-43, una proteina implicata anche nella sclerosi laterale amiotrofica. Solo nel 2006, William W. Seeley e colleghi, hanno riconosciuto una peculiarità che riguarda le fasi iniziali della FTD: la distruzione selettiva, nella porzione frontale dell’Insula di Reil e nella corteccia cingolata anteriore, dei neuroni di von Economo[3], ossia grandi cellule fusiformi a prevalente localizzazione nelle regioni telencefaliche anteriori.

Nonostante questi progressi nella conoscenza delle basi patologiche, secondo Bruce Miller una percentuale ancora molto alta di casi rimane non diagnosticata. Fra le cause del mancato riconoscimento della FTD c’è senz’altro l’inizio insidioso, con sintomi troppo spesso considerati in chiave psicologico-reattiva ed attribuiti dagli psicologi alla “crisi della mezza età” o a “crisi nei rapporti di coppia”[4], con conseguente omissione di una consulenza medico-specialistica. Ma anche quando le persone ammalate di FTD giungono all’osservazione psichiatrica si possono avere problemi: circa la metà dei pazienti che all’Università di San Francisco ricevono la giusta diagnosi, in precedenza sono stati etichettati come affetti da disturbo bipolare, malattia di Alzheimer, depressione o schizofrenia[5].

Attualmente la FTD costituisce la forma più comune di demenza nella popolazione di età inferiore ai 60 anni, con un’insorgenza mediamente più precoce di quella della demenza alzheimeriana ed un decorso che spesso non supera gli otto anni. Una delle stime più recenti calcola l’esordio della malattia in 15 ogni 100.000 persone di età compresa fra i 45 e i 64 anni.

Sulla base di questi dati e delle considerazioni introduttive, la Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia ha deciso di avviare uno studio di aggiornamento sull’argomento, affidando ad un gruppo strutturale il compito preliminare di preparare una rassegna dei maggiori lavori.

 

Giovanni Rossi

BM&L- 22 gennaio 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Da cui la definizione eponima di “malattia di Pick”, che indicava un quadro di progressivo decadimento cognitivo ad insorgenza precoce e classificato, fino agli anni Ottanta, fra le “demenze presenili” con la malattia di Alzheimer.

[2] L’esatto contrario di quanto poi è accaduto.

[3] Lo studioso al quale si deve la prima ripartizione topografica della corteccia cerebrale in aree distinte su base citoarchitettonica e mieloarchitettonica.

[4] Ingfei Chen, When Character Crumbles, p. 32 Sci. Am. MIND 21 (5): 30-37, 2010.

[5] Ingfei Chen, op. cit., ibidem.