Una
discussione neuroscientifica sulla sessualità animale e umana
SIMONE WERNER
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 08 ottobre 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo:
RESOCONTO]
(Terza
Parte)
La
seconda parte della discussione è stata pubblicata la scorsa settimana con le
“Note e Notizie” del giorno 01-10-11.
Diane Richmond. Non ci avevo pensato in questi
termini: è affascinante. Anche se chiedersi se si tratti dello stesso desiderio
implica che si entri nella soggettività di uno stato psichico, ossia nell’equivalente
animale di quella componente qualitativa dell’esperienza umana irriducibile
all’oggettività e discussa da Edelman come qualia.
Ma, senza addentrarci in queste questioni, che mi fanno sempre pensare in
maniera divertita alla formulazione del filosofo della mente “sapere cosa si
prova ad essere un pipistrello”, è ragionevole supporre che un diverso pattern di attività per uno stesso
comportamento, ossia la motivazione sessuale, possa corrispondere ad uno stato
psicofunzionale differente.
Giovanna Rezzoni. Come nella distinzione fra
desiderio e prestazione, in tutte le altre espressioni della sessualità i ratti
sono gli animali più studiati e possono, perciò, fornirci un preciso modello di
riferimento per la comprensione delle basi biologiche del comportamento
sessuale dei mammiferi superiori e della nostra specie. Può essere utile
riassumere gli aspetti salienti dell’accoppiamento, soprattutto per avere un
quadro dei repertori procedurali neuropsicomotori a regolazione endocrina.
Nei
ratti non si descrive un vero e proprio corteggiamento, ma alcuni comportamenti
volti ad attrarre l’attenzione del potenziale partner frequentemente precedono l’accoppiamento.
I
maschi annusano spesso le femmine e, in tal modo, ottengono informazioni
chemorecettive sul loro stato e, quindi, sulla disponibilità al coito.
Generalmente, la percezione di odori e ferormoni guida efficacemente il maschio
verso una femmina in quel momento recettiva, tuttavia talvolta i maschi
sessualmente eccitati possono tentare l’approccio fisico con femmine non in
calore, le quali rispondono scalciando o sottraendosi, ossia con un
comportamento stereotipato che segnala efficacemente l’errore. Questa evenienza
non è rara perché le femmine, durante il loro ciclo estrale della durata di 4-5
giorni, sono sessualmente recettive solo per un periodo di 12-20 ore che segue
l’ovulazione.
Le
femmine, quando sono in calore, tendono ad attrarre l’attenzione aggirandosi
con movimenti rapidi e insoliti e, infine, muovendo le orecchie in un modo
specifico e caratteristico. Se una femmina recettiva è avvicinata da un maschio
in cerca di accoppiamento, ha inizio la sequenza copulatoria con la monta del
maschio che afferra la femmina per i fianchi mentre entrambi assumono una
postura reciproca e complementare che facilita l’accostamento delle zone
genitali. Come è stato già accennato, tale posizione richiede una flessione in
lordosi della colonna vertebrale e il sollevamento della coda della femmina.
Durante una serie rapidissima di monte iniziali, il maschio tenta di
raggiungere la penetrazione, con un atto brevissimo che dura circa 200
millisecondi ed è definito introduzione
(in inglese, intromission). Alla
prima introduzione riuscita ne seguono altre in numero da 8 a 12. L’ultima si
accompagna all’eiaculazione. Tutta la sequenza dura all’incirca 10 minuti,
durante i quali il maschio esegue vocalizzazioni ultrasoniche con modulazioni
diverse a seconda della fase del coito. Dopo un riposo di circa 5 minuti,
l’intera sequenza può ricominciare. In condizioni naturali o quando gli animali
in gabbia rimangano indisturbati, la ripetizione può aversi fino a cinque o più
volte, con un sempre crescente intervallo posteiaculatorio, ossia il lasso di
tempo che intercorre fra l’eiaculazione nella vagina della femmina e la
successiva introduzione. Quando la sessione di accoppiamento è terminata i
ratti sembrano stanchi e il maschio, in particolare, appare sessualmente
esausto. Eppure, spesso accade che, alla vista di una nuova femmina recettiva,
il maschio in breve tempo sembra in grado di accoppiarsi di nuovo: un fenomeno
noto come “effetto Coolidge”[1].
Importante da tener presente, in quanto testimonia del fatto che il limite dato
dall’esaurimento fisiologico di una funzione regolata dall’ipotalamo, può
essere superato da uno stimolo elaborato dalle parti non vegetative del
cervello e, visto che tale effetto non è circoscritto ai mammiferi come ci
ricorda l’episodio dal quale deriva la denominazione, si può considerare una
predisposizione filogenetica allo sviluppo di processi cerebrali basati sulla
priorità delle influenze psichiche sugli automatismi neuroendocrini, come di
recente ha fatto notare il nostro presidente, Giuseppe Perrella.
Roberto Colonna. Neurobiologia della sessualità
non è solo comportamento riproduttivo, ma anche differenze cerebrali legate al
sesso.
Giovanna Rezzoni. Si, ma proprio a riguardo
dell’influenza di processi superiori sulla regolazione neuro-ormonale, si
rileva una differenza sessuale non ancora confermata sperimentalmente, ma
suggerita da molte osservazioni: i maschi, soprattutto fra i mammiferi,
sembrano maggiormente in grado di superare la determinazione endocrina del
comportamento sessuale, che avrebbe un potere più vincolante nelle femmine.
Diane Richmond. La verità è che le differenze
anatomiche e fisiologiche fra il sistema nervoso degli uomini e delle donne
sono minime e spesso enfatizzate, forse per giustificare quello straordinario
dimorfismo che non ha equivalenti nel mondo animale, in quanto ha origine nelle
culture umane.
Ludovica R. Poggi. Certo, ma esistono differenze
neurochimiche e nell’organizzazione microscopica delle reti funzionali, che si
rendono evidenti nella fisiofarmacologia dei neurotrasmettitori e nella
risposta ai farmaci.
Nicole Cardon. L’ignoranza di queste differenze
è un punto dolente, perché ha causato e causa l’adozione di condotte
terapeutiche che non hanno fondamento scientifico.
Ludovica R. Poggi. Immagino che tu ti riferisca all’efficacia condizionata dalla
presenza di estrogeni degli SSRI, ossia degli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina, quali il Prozac, lo Zoloft, il Lexapro, e così
via.
Nicole Cardon. Il problema è di notevoli
dimensioni, anche perché questi farmaci non sono prescritti solo nella
depressione e nella fase depressiva del disturbo bipolare, ma in molti sintomi,
“disturbi dello spettro dell’ansia” e sindromi che incidono maggiormente nel
sesso maschile, come il disturbo ossessivo-compulsivo. Oggi si è accertata una
differenza di risposta fra uomini e donne di proporzioni straordinarie per gli
antidepressivi SSRI, assolutamente imprevedibile in base agli studi sui
roditori e tale da indurre una revisione degli attuali schemi di terapia
farmacologica della depressione.
Ludovica R. Poggi. Si, ma anche se la ratio su cui si basa l’impiego di questi
farmaci è l’inibizione della ricaptazione della serotonina con aumento della
quota che può legarsi ai recettori, sai meglio di me che i meccanismi
dell’azione farmacologica degli SSRI sono ancora oggetto di studio e, oltre ad
una presunta azione di stimolo neurogenetico, molti altri processi molecolari
sono candidati.
Nicole Cardon. La questione è più generale e
implica vari aspetti del rapporto fra ormoni sessuali e fisiologia cerebrale. A
cominciare dallo sviluppo embrionario, durante tutta la vita, gli ormoni
steroidi sessuali incidono sullo sviluppo del cervello e su alcune sue modalità
funzionali, influenzando il tono dell’umore, la qualità affettivo-emotiva,
l’atteggiamento e le prestazioni cognitive. Provo a sintetizzare le questioni
più importanti.
Durante
le fasi iniziali dello sviluppo intrauterino, estrogeni e testosterone hanno un
effetto opposto sul cervello embrionario, come emerso per la prima volta in uno
studio condotto nel 2001 presso l’Albert Einstein College of Medicine: il
testosterone stimola, mentre gli estrogeni inibiscono la trasmissione GABA,
ossia il controllo inibitorio interneuronico esercitato mediante l’acido γ-aminobutirrico.
Se teniamo conto del fatto che il GABA in una struttura come la corteccia
cerebrale è di gran lunga il neurotrasmettitore più impiegato, comprendiamo
l’importanza quantitativa e qualitativa di questa influenza. Le conseguenze
fisiologiche sono ancora oggetto di studio, ma sembra accertato un collegamento
con la tendenza a sviluppare crisi epilettiformi: l’eccesso di attività
GABA-ergica inibisce l’inibizione tonica, facilitando l’eccitazione e,
pertanto, l’azione del testosterone spiegherebbe un’incidenza di convulsioni
febbrili di circa il doppio nei maschi, dai primi mesi ai primi anni di vita.
Nella prima infanzia il testosterone rende i maschi anche più inclini a
manifestare sintomatologia depressiva. Durante la pubertà la situazione è, in
un certo senso, invertita: le ragazze diventano da due a tre volte più
suscettibili di sviluppare depressione dei ragazzi. Queste differenze lasciano
intendere che l’azione degli ormoni dipende dallo stato funzionale cerebrale,
collegato alla fase dello sviluppo.
Lorenzo
L. Borgia. In
proposito, c’è uno studio del 2008 di Tracy Bale e colleghi che ha rilevato
l’efficacia del testosterone nel proteggere le femmine di topo dall’equivalente
murino della depressione, ma solo quando l’ormone veniva somministrato nel
periodo dell’adolescenza.
Nicole
Cardon. Esatto.
Ciò indica che l’ormone è un mezzo di attivazione di una macchina fisiologica
neurale che ha nell’assetto corrispondente al suo stadio di maturazione la
chiave degli effetti che si producono. Riprendendo il breve excursus che stavo
proponendo, voglio ricordare che, nei cervelli geneticamente predisposti, l’espressione
dei sintomi di autismo può essere precipitata o aggravata dal testosterone. Nel
2010 un team della George Washington
University guidato da Valerie Hu ha scoperto che il cervello degli affetti da
autismo presenta livelli particolarmente bassi di una proteina codificata da un
gene detto RORA (Retinoic-acid related orphan receptor alpha). La Hu e i suoi
colleghi hanno poi accertato l’interazione del gene con tipi molecolari di
estrogeni e testosterone cerebrali, in uno studio pubblicato nel febbraio 2011.
RORA controlla la produzione
dell’enzima aromatasi che converte il testosterone in estrogeni, ma la presenza
di testosterone rende RORA meno
attivo. Il tessuto cerebrale dei bambini autistici ha livelli più bassi di RORA
e di aromatasi, e l’ormone maschile peggiora il quadro. Su tale base si
spiegherebbe il rapporto di 4 a 1 fra maschi e femmine affetti da autismo. Questi
dati, che abbiamo anche proposto in una “breve” dell’email di alert
settimanale, sono estremamente significativi e ci rendono conto di quanto sia
lunga la strada che ci porterà a conoscere i meccanismi molecolari
dell’influenza degli ormoni sessuali sul cervello. Altri gruppi di ricerca,
come quello di Baron Cohen dell’Autism Research Center dell’Università di
Cambridge, ipotizzano che il testosterone nelle prime fasi dello sviluppo possa
rendere il cervello più vulnerabile, oltre che all’autismo, anche
all’espressione di altri disturbi psichiatrici attraverso lo stimolo su BDNF,
GABA ed altre molecole. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato un ruolo indiretto
del testosterone che, ritengono, possa agire rendendo più sensibile il cervello
a stress come quello causato da un basso
livello di ossigeno.
[continua]
[1] Questa definizione dell’accorciamento del periodo refrattario del maschio risale ad un aneddoto, ancora molto popolare negli USA, che si fa risalire ad un episodio del 1924, verificatosi nel corso di una visita del Presidente Calvin Coolidge e della sua consorte Grace ad un allevamento-modello di polli. La first lady fu molto colpita nell’apprendere che il gallo impiegato per gli accoppiamenti poteva giungere fino a venti rapporti al giorno, ed allora pregò la guida di riferire questo dato al marito. Quando Coolidge fu informato, si sorprese a sua volta, ed allora chiese se i rapporti avvenissero sempre con la stessa gallina. Gli fu risposto di no, e che, naturalmente, ogni accoppiamento doveva avvenire con una gallina diversa. Soddisfatto, il presidente raccomandò alla guida di riferire a sua moglie questo aspetto di assoluta importanza.