Milgram e i suoi normali mostri da Olocausto
A cura di MONICA LANFREDINI
NOTE
E NOTIZIE - Anno IX - 10 dicembre 2011.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo
staff dei recensori fra quelli
pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo: SINTESI
DI UNA RELAZIONE]
Lo scorso sabato 3 dicembre il Presidente della Società
Nazionale di Neuroscienze Giuseppe Perrella, intervenendo ad un incontro su “Il
Male secondo la Psicologia e le Neuroscienze” organizzato da “Brain, Mind &
Life International”, ha tenuto una relazione dal titolo “Rivisitare il lavoro
di Milgram per comprendere come ordini di ferocia bestiale possano essere
eseguiti con un atteggiamento ordinario”. Qui di seguito si riporta la prima
parte della sintesi della relazione. La seconda parte sarà pubblicata la
prossima settimana. I riferimenti bibliografici citati nel testo sono quelli
riferiti a voce dal professor Perrella durante l’esposizione: per ulteriori
indicazioni scrivere alla prof. Monica Lanfredini all’indirizzo e-mal brain@brainmindlife.org.
(Prima
Parte)
Mezzo
secolo fa Stanley Milgram scoprì che persone normali partecipanti ad un
esperimento psicologico potevano facilmente uccidere per seguire una direttiva
impartita dai ricercatori, con la stessa sconcertante semplicità e naturalezza
con la quale Adolf Eichman, un burocrate dell’Olocausto ebraico, parlava
davanti ad una corte di giustizia degli atti che aveva compiuto per disporre il
massacro di innumerevoli persone, inducendo la filosofa tedesca Hannah Arendt a
coniare l’espressione “la banalità del male”[1].
Per
comprendere gli esperimenti e i risultati ottenuti da Milgram dobbiamo risalire
all’origine del suo progetto di ricerca ed aver presente che, contrariamente a
quanto si è indotti a credere dalla lettura degli articoli divulgativi che
hanno diffuso la conoscenza del suo lavoro, non si trattò di una singola
esperienza, ma di numerosi studi. Infatti, in un resoconto proposto nel saggio Obedience to Authority (1974), lo
studioso descrisse 18 varianti dell’esperimento più noto del 1961, cui peraltro
era giunto dopo molti studi non pubblicati che furono necessari per elaborare
un paradigma sperimentale corretto e affidabile.
L’origine
del progetto è duplice: 1) lo studio dell’influenza interpersonale sulla
capacità di giudizio del singolo, tema della scuola psicologica di Solomon
Asch, suo professore a Princeton, e 2) la verifica di una presunta maggiore
disposizione dei Tedeschi rispetto agli Americani a compiere crimini pur di
obbedire all’autorità.
Solomon
Asch, col quale Milgram aveva collaborato nel 1959, aveva condotto degli studi
presso l’Institute for Advanced Study di Princeton dai quali era emerso che,
persone indotte ad esprimere pubblicamente un giudizio sulla lunghezza di una
linea, frequentemente si lasciavano influenzare dall’opinione dei propri pari,
giungendo a negare l’evidenza percettiva.
Questi
studi sembravano provare l’esistenza di persone dal giudizio facilmente
influenzabile dall’opinione prevalente o corrente, in una percentuale molto più
alta di quanto comunemente si potesse supporre e con un effetto sulla qualità
del giudizio di gran lunga maggiore di quanto all’epoca si ritenesse. Nei
decenni successivi si sono avute innumerevoli conferme dell’esistenza di una
tale bias, soprattutto da parte di
studi di psicologia sociale, ed hanno ispirato non poche verifiche sperimentali
ed elaborazioni concettuali nel campo della psicologia della moda e delle mode
culturali. Ma l’influenza sulla volontà che più interessava Milgram era quella
esercitata dall’autorità, e il potere che lui voleva mettere alla prova
riguardava la capacità di influenzare decisioni contrarie alle proprie
convinzioni morali e, soprattutto, in contrasto con la spontanea tendenza
all’immedesimazione che giunge fino all’empatia con altri esseri umani che non
si abbia ragione di temere o di odiare.
Di
fatto nel 1961, quando gli esperimenti più noti furono condotti, un solo
profilo psicologico si adattava ad un comportamento in grado di mostrare
tranquilla insensibilità all’esecuzione di omicidi, ed era quello
psicopatologico dello psicopatico. Non era tuttavia pensabile che fosse tutta
costituita da psicopatici l’interminabile schiera degli esecutori di ordini di
tortura e morte, come quelli pianificati dal Terzo Reich. Un numero
impressionante di persone di quella che era stata la nazione di Kant, Hegel,
Goethe e Beethoven, era quotidianamente connivente o complice di violenze nei
confronti di persone deboli per varie ragioni, quali portatori di disabilità,
malati mentali, ebrei, nomadi ed altre minoranze. Lo sviluppo di tecniche e metodi
per la sopraffazione criminale dell’altro e per il suo annientamento morale e
fisico, faceva parte di un vero e proprio progetto politico dello Stato, messo
in atto, ad esempio, mediante viaggi di istruzione di suoi rappresentanti
presso i torturatori tibetani, dai quali furono importati innumerevoli modi per
straziare i propri nemici da vivi, così come la procedura per conciarne la
pelle da morti, allo scopo di ricavarne suppellettili e tappezzeria.
In
quegli anni, la maggior parte dei superstiti dei campi di sterminio nazisti era
ancora viva, l’eco del processo di Norimberga era ancora presente nel dibattito
culturale, e la pubblica opinione in molte nazioni occidentali era preoccupata
per la presenza occulta di criminali nazisti sul proprio territorio. Si
comprende come, in questa temperie, fosse di grande attualità il proposito di
determinare se esistesse una predisposizione psicologica per simili
comportamenti e se questa consistesse nella cieca obbedienza all’autorità e nella
tendenza ad essere corrivi.
L’impianto
dell’esperimento principale prevedeva che ai volontari studiati, la maggior
parte dei quali erano uomini che vivevano nei pressi della sede del
Dipartimento di Psicologia dell’Università di Yale, si dicesse che avrebbero
dovuto collaborare con i ricercatori in uno studio sull’effetto della punizione
sulla memoria umana e, a tal fine, avrebbero dovuto agire come esaminatori di
un soggetto che avrebbe dovuto rispondere ad un questionario dopo una sessione
di apprendimento.
Naturalmente
l’oggetto di osservazione era il comportamento degli esaminatori, ai quali
Milgram disse che avrebbero dovuto erogare una scarica elettrica all’esaminato
per ogni errore commesso. Per somministrare le scariche, l’esaminatore aveva un
generatore di corrente sul cui pannello dei comandi erano indicati in ordine
crescente i livelli di potenza erogabile mediante la breve rotazione di una
manopola verso destra: da 15 volts, posizione etichettata con la scritta “lieve
shock”, aumentando di 15 volts per
ogni scatto, fino al termine dell’escursione corrispondente a 450 volts e
contrassegnata da “XXX”. Dopo ogni errore, l’esaminatore doveva aumentare di
uno scatto la rotazione della manopola per la scarica da somministrare
all’errore successivo.
Milgram
voleva vedere fin dove si sarebbero spinti i volontari. Anche se la scala delle
intensità di corrente aveva indicazioni per ogni gradazione, con “forte shock” per 135 volts, “intenso shock” per 225 e “pericolo: grave shock” per 375, era convinzione di
Milgram che la maggior parte non sarebbe andata molto oltre la scarica lieve,
soprattutto nel sentire le espressioni di dolore dell’esaminato. Sicuramente, a
parere di Milgram, i Tedeschi sarebbero andati oltre gli Statunitensi: si sarebbe
dovuto verificare solo di quanto. Il
primo studio, come già accennato, impiegò solo persone residenti nell’area
prossima alla sede sperimentale.
Lo
stupore e la preoccupazione del ricercatore furono enormi nel vedere che la
maggioranza degli esaminatori andava fino in fondo la scala del voltaggio ben
oltre il punto in cui lo shock era indicato come mortale! Per fortuna,
l’esperimento prevedeva che l’esaminato, ossia la vittima, fosse un attore in
grado di simulare il dolore per scariche elettriche mai ricevute. Importante
sottolineare che nessuno degli esaminatori partecipanti all’esperimento sapeva,
e nemmeno poteva sospettare, che il generatore fosse finto.
Il
risultato dell’esperimento di base, con il 65% di accondiscendenza alla
richiesta di Milgram di accrescere progressivamente l’intensità della scarica
elettrica fino alle estreme conseguenze, sembrava emettere una sentenza senza
appello sulla presenza di un forte connotato di stupidità criminale nella
maggior parte delle persone. In questo caso non vi era stato l’ordine di un
capo delle “SS” che a sua volta eseguiva, per convinzione fanatica o sotto
minaccia di morte, la volontà del Fürer Adolf Hitler; no, in questo caso la
maggioranza delle persone avrebbe torturato a morte un proprio simile solo per
applicare alla lettera delle indicazioni fornite da un assistente di
laboratorio per l’esecuzione di una prova sperimentale.
Il
contraccolpo psicologico indusse Stanley Milgram a tentare di razionalizzare il
risultato attribuendo alla “particolare natura” degli abitanti del luogo
quell’esito che gli parve mostruoso. Ma, ben presto, dopo aver ripetuto
l’esperimento con un campione più ampio e significativo, dovette convincersi di
aver individuato una potenzialità psichica che, pur con proporzioni variabili, è
generalmente presente e diffusa in ogni popolazione umana. Abbandonata l’idea
di una bias nazionale tedesca,
ritenne inutile recarsi in Germania per proseguire la sperimentazione secondo
il progetto iniziale e proseguì lo studio negli USA.
Per comprendere meglio l’impatto emotivo
dell’esperienza di assistere a questi esperimenti, proviamo ad immaginarli come
se si stessero verificando sotto i nostri occhi. Nello schema sperimentale di
base, cioè quello basato sul feedback
della voce dell’attore, l’esaminatore e l’esaminato sono in due stanze diverse e
la loro comunicazione avviene mediante un intercom[2].
Quando lo shock supera il livello
medio, l’attore finge dolore e chiede la sospensione della prova; alla scarica
di 150 volts urla: “Sperimentatore, fammi uscire da qui! Non voglio più partecipare
all’esperimento! Io mi rifiuto di proseguire!”. A dispetto di questa reazione,
nello studio iniziale ben 26 dei 40 esaminatori, cioè il 65%, proseguì
somministrando scariche che credeva letali fino a 450 volts.
Una
delle prime varianti prevedeva l’assenza del feedback acustico da parte dell’attore: quasi tutti gli esaminatori
andarono avanti fino ai 450 volts.
Se
l’abolizione dei “segnali” di sofferenza aveva reso pressoché tutti gli
esaminatori assassini, si poteva supporre che, al contrario, l’aumento di
intensità percettiva della sofferenza della vittima potesse mitigarne la
crudeltà.
E,
infatti, fu così: nella variante in cui esaminatore ed esaminato sedevano
vicini nella stessa stanza e la verosimile finzione della sofferenza era ben
visibile, solo il 40% giunse fino a 450 volts. La percentuale si riduceva
ancora quando la scarica elettrica doveva essere somministrata premendo la mano
dell’esaminato contro una piastra.
Vista
la difficoltà di ottenere dai volontari con il compito di esaminatori un comportamento
ispirato a ragione morale e sentimento umano, Milgram propose una variante con
due attori che si fingevano volontari con il compito di esaminatori come gli
altri, ma che avrebbero dovuto, ad un certo punto dell’esperimento, rifiutarsi
di proseguire per dare il buon esempio.
[continua]
[1] Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem: A Report on the banality of Evil. Viking Press, 1963. Chi voglia introdursi alla conoscenza della filosofa tedesca, che ebbe come maestri Heidegger e Jaspers, può leggere il seguente saggio: Laura Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente. Feltrinelli, Milano 2005.
[2] Un sistema di comunicazione a due vie mediante un microfono e un altoparlante posti a ciascuno dei due estremi.