Come il colore è decifrato dal cervello in V1
NICOLE CARDON
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 26 maggio 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti
lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Fino ad alcuni decenni fa, i manuali di anatomia e fisiologia umana indicavano tre aree della corteccia cerebrale del lobo occipitale nella regione calcarina come le sedi dell’elaborazione cerebrale dell’informazione visiva proveniente dalla retina; da quando la ricerca sulle specializzazioni funzionali portò ad identificare almeno 32 aree visive nella corteccia di scimmia, e conseguentemente in quella umana, non è cambiato solo il modo di concepire l’elaborazione della percezione, ma anche l’approccio complessivo alla fisiologia della corteccia cerebrale dei mammiferi. Anche se la teoria della specializzazione funzionale alla base della percezione visiva era stata avanzata fin dagli anni Settanta da vari studiosi, primo fra tutti per l’importanza del suo contributo sperimentale Semir Zeki (Zeki, 1978), si dovrà attendere fino agli anni Novanta perché la morfo-fisiologia della specializzazione funzionale per la forma, il colore, il movimento e gli altri attributi della scena visiva, diventi nozione riconosciuta nella didattica accademica.
Nel cervello umano la specializzazione funzionale può essere verificata facilmente per mezzo di sistemi in grado di rilevare variazioni topografiche del flusso sanguigno. Quando i neuroni corticali rispondono ad uno stimolo, aumenta la loro frequenza di scarica a riposo, con un conseguente incremento dei processi metabolici, dai quali deriva un’accresciuta richiesta di ossigeno e glucosio forniti dal sangue circolante. Le popolazioni neuroniche attive possono direttamente aumentare il microflusso di sangue del proprio territorio, fornendo alle tecniche di neuroimaging un chiaro elemento distintivo per riconoscerle rispetto a quelle silenti. Utilizzando questo approccio, si rileva che se si propone all’osservazione di una persona un pannello policromo privo di forme di oggetti e costituito solo da rettangoli senza contorni di tante tinte diverse, così da ricordare i quadri di Piet Mondrian, si rileverà un aumento del flusso sanguigno limitato all’area visiva primaria o V1 e ad una zona esterna, indicata come il complesso delle aree V4 (Zeki, 1990). Al contrario, se la stessa persona osserverà una composizione non statica, costituita da quadretti neri e bianchi che si spostano in direzioni diverse, oltre a V1, ossia l’area detta “retina corticale” che è sempre attiva in ogni percezione visiva, si attiverà V5. Nel primo caso le aree attive si ritiene riflettano l’elaborazione della visione del colore, nel secondo del movimento. Infatti, la lesione in una regione corrispondente a V4 causa acromatopsia, cioè insensibilità ai colori, e la lesione in V5 l’acinetosi, cioè l’incapacità di riconoscere e comprendere il movimento.
Sebbene questi elementi costituiscano un grande passo in avanti rispetto alle conoscenze di 30-40 anni fa, non sono che una prima elementare ricostruzione di un profilo generico di funzione, che oggi si va progressivamente arricchendo di contenuti, grazie ad una notevole mole di dati che consente di cominciare ad individuare i processi responsabili dei ruoli svolti dalle aree specializzate.
In particolare, lo studio volto ad accertare i meccanismi cerebrali della visione dei colori, si è incentrato sull’indagine volta a riconoscere la natura dei processi alla base della combinazione corticale dei segnali provenienti dai fotorecettori retinici. Gregory Horowitz e Charles Hass hanno condotto un interessante studio nella scimmia sull’elaborazione in V1 di tali segnali originati dalle frequenze cromatiche rivelate all’occhio dalla luce (Gergory D. Horowitz & Charles A. Hass Nonlinear analysis of macaque V1 color tuning reveals cardinal directions for cortical color processing. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3105], 2012).
I due autori
del lavoro provengono dalla University of Washington in Seattle, in particolare: Department of Physiology and Biophysics,
Washington National Primate Research Center; Program in Neurobiology and
Behavior.
I ricercatori hanno rilevato l’attività elettrica delle cellule dell’area visiva primaria V1 di scimmie in stato di veglia, mentre un sistema automatizzato identificava stimoli che differivano per il contrasto dei coni, ma evocavano la stessa risposta. In particolare, è stato adoperata la derivazione da singola cellula, con elettrodi posti in ciascun neurone da monitorare, mentre il closed-loop system consentiva ai ricercatori di distinguere gli stimoli elaborati in maniera diversa dai coni, ma in grado di generare lo stesso tipo di reazione funzionale neuronica.
L’analisi dei dati ha rivelato che le superfici di isorisposta per metà dei neuroni erano planari: un esito coerente con l’elaborazione lineare. Le rimanenti superfici di isorisposta erano non-planari. Alcune erano configurate a forma di tazza; un reperto che denota una sensibilità limitata esclusivamente ad una ristretta regione dello spazio del colore. Altre erano ellissoidali, cioè presentavano un profilo che indica sensibilità a tutte le direzioni del colore. Queste superfici non planari presentavano spesso l’asse maggiore e l’asse minore in allineamento con un set di tre direzioni di colore, precedentemente identificate in esperimenti di percezione.
Questi risultati suggeriscono che molti neuroni in V1 combinano i segnali dei coni secondo una modalità non lineare e forniscono un nuovo quadro entro cui decifrare l’elaborazione del colore da parte delle popolazioni di cellule nervose specializzate dell’area visiva primaria.
L’autrice della nota ringrazia il
professor Giovanni Rossi e la professoressa Diane Richmond con i quali ha
discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle numerose recensioni
di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
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