La vera età dei neuroni olfattivi umani crea problemi

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 09 giugno 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La scoperta che il cervello dei mammiferi adulti continui a generare nuovi neuroni, ha portato all’identificazione di cellule staminali adulte nell’encefalo maturo. Le cellule staminali furono inizialmente trovate in aree caratterizzate da neurogenesi post-natale, quali il giro dentato dell’ippocampo e la porzione anteriore della zona subventricolare (SVZ, da subventricular zone). Un esempio importante, e per molti versi paradigmatico di questo fenomeno, è dato dall’origine subventricolare dei neuroni del bulbo olfattivo (Alvarez Buylla & Garcia-Verdugo, 2002). Molti neuroni neonati in quest’area migrano a grandi distanze in “catene migratorie” attraverso il proencefalo per integrarsi con le cellule costituenti il bulbo dell’olfatto. Le cellule di questa regione possono essere distinte antigenicamente e morfologicamente in 1) cellule A, o giovani neuroni; 2) cellule B, o astrociti provvisti di una struttura ciliare; 3) cellule C, o elementi proliferativi; 4) cellule E, o cellule ependimali non-neurali. Nel corso della vita, il continuo ricambio dei neuroni del bulbo olfattivo è implicato in vari aspetti-chiave della fisiologia dell’olfatto e, sebbene la maggior parte degli studi siano stati condotti nei roditori, numerosi risultati sperimentali hanno evidenziato in altre specie di mammiferi e nell’uomo stesso, l’importanza della neurogenesi post-natale per il ruolo fisiologico del bulbo nella percezione degli odori.

Attualmente, la maggior parte dei ricercatori ritiene la nascita, la migrazione e la specializzazione costante di nuove cellule nervose nel bulbo olfattivo adulto umano, come un processo di sicuro rilievo per la fisiologia del nostro olfatto. D’altra parte, alcuni studi avevano documentato una drastica riduzione dei neuroblasti del bulbo nei neonati della nostra specie. Olaf Bergman e colleghi hanno avuto l’opportunità di stabilire l’età esatta dei neuroni del bulbo olfattivo di persone adulte, ottenendo un risultato che non mancherà di suscitare reazioni e problemi nella comunità scientifica (Bergman O., et al. The Age of Olfactory Bulb Neurons in Humans. Neuron 74 (4), 634-639, 2012).

I ricercatori hanno la seguente provenienza: Department of Cell and Molecular Biology, Karolinska Institute, Stockholm (Svezia); Department of Oncology-Pathology, Karolinska Institute, Stockholm (Svezia); Division of Psychiatry, Department of Clinical Neuroscience, Karolinska Institute, Stockholm (Svezia); Institut Camille Jordan, University of Lyon, Villeurbanne (Francia); University of Vienna, Faculty of Physics – Isotope Research, Vienna (Austria).

L’occasione che ha consentito ai ricercatori di effettuare questa misura è data dalla contaminazione nucleare di persone esposte alle conseguenze di una scellerata politica di armamento, che comporta l’esecuzione di test di verifica dell’efficacia degli ordigni prodotti, mediante l’esplosione di bombe nucleari che creano una ricaduta radioattiva che, oltre ad arrecare danni immediati ed effetti cronici a distanza sugli esseri umani e su altri esseri viventi, contribuisce ad un inquinamento radioattivo ambientale che permane nel tempo. In proposito, mi sembra doveroso esprimere solidarietà umana alle persone colpite e gratitudine per la disponibilità mostrata dai volontari nel mettersi a disposizione della scienza, facendo di una personale sventura un’occasione di potenziale utilità collettiva mediante il suo contributo al progresso delle conoscenze.

La documentazione, nei bambini dopo la nascita, di un drammatico declino del numero dei neuroblasti migranti lungo la rotta che conduce dalle sedi di neurogenesi al bulbo dell’olfatto, fino ad oggi, non è stata seguita da studi che abbiano fornito una esatta stima quantitativa del fenomeno. E, pertanto, non è stata accertata la quota di nuovi neuroni forniti al bulbo negli stadi seguenti lo sviluppo post-natale e nelle epoche successive della vita. Si è assunto che, sia pur con una proporzione minore rispetto agli animali di laboratorio, durante tutta la nostra vita il ricambio dei neuroni del bulbo sarebbe stato il fulcro della fisiologia olfattiva post-recettoriale.

L’età dei neuroni del bulbo olfattivo dei volontari è stata ottenuta misurando i livelli del 14C nel DNA genomico delle cellule nervose della formazione anatomica pari e simmetrica alloggiata nella parte anteriore delle docce olfattive della lamina cribrosa dell’etmoide. La concentrazione dell’isotopo radioattivo del carbonio è risultata corrispondere ai livelli presenti nell’atmosfera all’epoca della nascita dei singoli individui esaminati, indicando che la massima parte delle cellule nervose del bulbo olfattivo aveva la stessa età dell’organismo cui apparteneva. Un tale reperto non è di fatto compatibile con fenomeni apprezzabili di ricambio neuronico all’interno della formazione che Paul Broca aveva indicato come “manico” di quella “racchetta da tennis” che costituisce il grande lobo limbico della neuroanatomia macroscopica classica.

Sulla base di questa misurazione, si desume che se vi sono fenomeni di turnover cellulari, devono essere tanto limitati da non risultare rilevabili.

E’ possibile che vi sia qualche elemento che possa aver falsato il risultato? E’ possibile che il fallout radioattivo possa avere in qualche modo influito sugli eventi fisiologici legati alla neurogenesi e alla differenziazione? Sembra poco probabile, tuttavia sarà necessario attendere verifiche dirette ed indirette di questo risultato che, se sarà confermato, darà una scossa a molte ipotesi, interpretazioni e modelli funzionali proposti anche per la realtà umana.

Intanto, gli autori dello studio non sembrano avere molti dubbi circa gli esiti del loro lavoro, dai quali desumono una lezione da estendere a tutto il sistema nervoso: questo risultato identificherebbe una differenza fondamentale fra la plasticità dell’encefalo umano e quella degli altri mammiferi.

 

L’autrice della nota ringrazia il Presidente Perrella, con il quale ha elaborato il testo, e invita alla lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Diane Richmond

BM&L-09 giugno 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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