Codifica ippocampale del tempo dei ricordi autobiografici  

 

 

LORENZO L. BORGIA & NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 17 novembre 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Tutto ciò che accade nel mondo che ci circonda può imprimersi nella nostra memoria ed essere poi da noi rievocato in un tempo successivo della nostra esistenza. Nel tentativo di rievocare, non sempre riusciamo a collocare con precisione nel tempo un dato, un fatto o un evento che non si sia bene impresso nella nostra mente: cosa ho mangiato a pranzo martedì? Quando ho visto l’ultima volta la zia? Quando è stato eletto il Presidente della Repubblica?

E’ frequente che non si riesca o non si riesca subito, senza l’aiuto di qualcuno, a dare risposta a domande simili, tuttavia una quantità impressionante di ricordi sono rievocabili con buona precisione temporale dalla nostra memoria autobiografica. Chi di noi non ricorda l’epoca o addirittura il giorno in cui si sono verificati eventi importanti per la propria vita? Non ne siamo sorpresi, siamo invece sorpresi del contrario, ovvero ci preoccupiamo se una memoria autobiografica stabile sembra essere perduta: temiamo che sia un segno di patologia cerebrale o di un disturbo della memoria. Eppure, la capacità su cui costantemente facciamo affidamento per le nostre necessità quotidiane e nella vita professionale, affettiva e relazionale in genere, consiste nel collocare nel tempo, minuto per minuto, ora dopo ora, quanto abbiamo fatto e quanto non abbiamo ancora fatto, ciò che è accaduto e ciò che aspettiamo che accada. Chi svolge una vita attiva è indotto ogni tanto a fare dei piccoli resoconti che si basano su questa abilità di memoria, del tipo: “Bene, ho letto la posta, sono andato in banca, ho ricaricato il telefonino, ho telefonato dopo aver ricaricato, sono stato in farmacia, non mi resta che fare quei pochi acquisti ed andare a pranzo… Stamane ho fatto un’abbondante prima colazione, bisogna che mi limiti se non voglio ingrassare! Ma quando ho incontrato Mario? A che punto della mattinata? Eh già, è sabato: lo incontro sempre di sabato… Ci sono: l’ho incontrato dopo le telefonate, perché ho potuto dargli le notizie che ho ricevuto per telefono”.

In genere, siamo bene supportati da questa capacità di collocare nel tempo azioni ed esperienze, grazie a processi che hanno come fulcro il ruolo dell’ippocampo. Sappiamo che una “memoria di funzionamento” (working memory) supporta tutto il nostro pensare ed agire quotidiano mediante l’attività di popolazioni specializzate di neuroni ippocampali e della corteccia prefrontale, ma nell’esempio del resoconto quotidiano è in questione il richiamo e la verifica cosciente di quanto è accaduto, in un sistema di memoria esplicita diversa da quella procedurale che supporta, ad esempio, i nostri atti motori senza che ne siamo consapevoli. Già nel 1954, Brenda Milner aveva indicato la parte mediale del lobo temporale e in particolare l’ippocampo quale struttura che media la memoria esplicita o dichiarativa, e nel 1962 scoprì che il suo paziente H. M. - che continuava a non riconoscerla per la perdita della memoria di breve termine da lesione ippocampale - anche se non aveva una rievocazione cosciente delle nuove esperienze, poteva acquisire nuove conoscenze percettive e abilità motorie. I nuovi apprendimenti di H. M. venivano registrati dai sistemi di quella che oggi chiamiamo memoria implicita. In tal modo, si scoprì l’esistenza di una base neurale distinta per due sistemi di memoria: esplicito e implicito. Nella vita quotidiana, l’uso contemporaneo e sinergico dei due sistemi di memoria è la regola, piuttosto che l’eccezione, e al centro di questa regola c’è l’ippocampo (Cfr. G. Perrella, La ricerca delle basi neurali della memoria. BM&L, Firenze 2010).

Ma come fa l’ippocampo a distinguere il prima e il dopo nell’accadere delle cose? Come fa a sapere se un evento recente è durato poco o molto? Come fa a riconoscere la successione temporale di una serie di eventi simili o uguali fra loro, che si sono appena verificati o sono ancora in atto? E’ necessario che esista un codice neurale per indicare quando o per quanto tempo ciascun evento ha luogo rispetto a una misura temporale stabile. Questi problemi sono oggetto di uno specifico filone di ricerca che ha il fine di individuare i meccanismi di codifica ippocampali.

Emily A. Mankin e colleghi, sulla base di un’interessante sperimentazione, hanno individuato e descritto nell’ippocampo un meccanismo di codifica neuronica che può essere impiegato per rappresentare quanto sia recente un’esperienza in un arco temporale che va dalle ore ai giorni (Mankin E. A., et al., Neuronal code for extended time in the hippocampus. Proceedings of the National Academy of Science USA [Published online ahead of print doi:10.1073/pnas.1214107109], 2012).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Center for Neural Circuit and Behavior, Section of Neurobiology, Division of Biological Sciences, University of California at San Diego, La Jolla (CA, USA); Canadian Centre for Behavioral Neuroscience, Department of Neuroscience, University of Lethbridge (AB, Canada); Kavli Institute for Brain and Mind, University of California at San Diego, La Jolla (CA, USA).

Il meccanismo individuato dai ricercatori sembra in grado di codificare in termini di ore o giorni quanto sia recente un evento. Quando lo stesso evento è ripetuto dopo tali intervalli temporali, i patterns di attività delle popolazioni di neuroni della regione CA1 dell’ippocampo, progressivamente differiscono al crescere delle distanze temporali. E’ importante notare che, a fronte di questa variazione graduale, il processo di codifica dello spazio e del contesto è perfettamente conservato, non risultando minimamente influenzato dalle variazioni delle configurazioni di scarica correlate alla distanza temporale.

Mankin e i suoi colleghi hanno rilevato che, a differenza di quanto accadeva per le popolazioni di cellule nervose di CA1, le configurazioni di accensione o firing patterns dei neuroni dell’area CA3 dell’ippocampo erano altamente riproducibili, indipendentemente dall’intervallo temporale, in tal modo fornendo un codice di memoria stabile nel tempo. In altri termini, la fisiologia di CA1 produrrebbe un rilevamento e una registrazione il cui senso temporale relativo sarebbe definito dal confronto con la fisiologia di CA3, che fornirebbe gli elementi di codifica stabili e indipendenti dal tempo.

Dal complesso dei dati emersi dalla sperimentazione, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo del lavoro originale, gli autori dello studio desumono che i patterns di attività neuronica di CA1, ma non quelli di CA3, includono un codice che può essere usato per distinguere fra intervalli temporali su una scala estesa. Tali risultati e tale interpretazione sono coerenti con quanto emerso da studi comportamentali, che hanno dimostrato che l’area CA1 è selettivamente richiesta per la codifica temporale in questi intervalli di tempo.

 

Gli autori della nota invitano alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Lorenzo L. Borgia & Nicole Cardon

BM&L-17 novembre 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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