Risposte sul Narcisismo

 

 

A cura di  GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 06 luglio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DOMANDE E RISPOSTE]

 

1. Premessa introduttiva. Al termine della relazione dal titolo “Il Narcisismo oggi: deriva del significato e questioni attuali” tenuta il 12 aprile del corrente anno dal presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, i soci intervenuti hanno posto molti problemi e domande al relatore. Qui di seguito si riportano le domande (con le relative risposte) rivolte dalla dottoressa Giovanna Rezzoni, supervisore dei gruppi di studio di psicopatologia della Società. Per una migliore comprensione si raccomanda la lettura  - o la rilettura, se a suo tempo già effettuata - della nota pubblicata il 13 aprile (Note e Notizie 13-04-13 Il Narcisismo oggi - deriva del significato e questioni attuali).

 

D. (Giovanna Rezzoni): Lei ha apertamente criticato l’utilità di conservare la categoria psicologico-psichiatrica del narcisismo, tuttavia dice – se ho ben compreso – che se si decide di conservarla sarà bene che la si definisca in un modo non ambiguo ed utile per la diagnostica o, almeno, per la conoscenza psicologica delle persone…

 

R. (Giuseppe Perrella): Deve avere un senso tirare in ballo Narciso.

 

D.: Appunto, per questo le chiedo se con Havelock Ellis e Paul Näcke il termine narcisista, attribuito dal primo a soggetti dediti ad un’eccessiva masturbazione e dal secondo impiegato per etichettare i pazienti affetti da una perversione sessuale consistente nel preferire se stessi ad un partner naturale, si fosse ancora nei binari di un senso accettabile, e se la deriva sia cominciata con Otto Rank.

 

R.: Direi di no. Mi sembra di poter riconoscere, all’origine della deriva, lo strappo semantico-concettuale operato da Freud nel 1914, e l’attribuzione al narcisista, da parte di Martin Buber e i suoi epigoni, della tendenza a trattare strumentalmente gli altri come fossero oggetti.

Nel saggio  Sul Narcisismo: un’introduzione, Freud abbandona l’idea del narcisismo come conseguenza dell’investimento su se stessi della pulsione erotica normalmente rivolta al partner, e postula l’esistenza di un “narcisismo primario”, come fase di sviluppo normale in cui il bambino è focalizzato su se stesso. Da questo stadio evolutivo deriverebbe l’atteggiamento narcisistico nell’adulto.

Non è una differenza di poco conto, perché implica l’abbandono del paradigma biologico che distingue l’istinto di auto-conservazione da quello di riproduzione. La distinzione non è il retaggio di una ragione naturalistica ottocentesca, ma ha fondamento in una conoscenza che trova innumerevoli riscontri sperimentali e razionali nelle conoscenze attuali. I sistemi cerebrali e dell’intero organismo che presiedono all’autoconservazione, quali quelli dell’alimentazione, della termoregolazione e della risposta “attacco o fuga”, sono distinti da quelli della riproduzione: i bisogni primari derivanti dall’autoconservazione, se non soddisfatti, portano a morte il soggetto; cosa che non accade se non si soddisfa un bisogno secondario come quello espresso dal desiderio sessuale.

La forzatura di Freud, a mio avviso, è notevole: assimilare protezione di sé e desiderio dell’altro, non poteva considerarsi un semplice azzardo bene motivato, ma richiedeva una dimostrazione sulla base di una realtà fattuale scoperta o, in qualche modo, riconosciuta dal padre della psicoanalisi. Ad oggi, non abbiamo nessun dato che giustifichi l’attribuzione allo stato di immaturità di un organismo in formazione una qualità funzionale “narcisistica”: se l’organismo non è maturo per rivolgere all’esterno le pulsioni, fino a prova del contrario, deve considerarsi immaturo anche per rivolgerle all’interno, ossia su se stesso.

In generale le pulsioni, comunque le si definisca, si esprimono attraverso la maturazione delle sinapsi, dei circuiti cerebrali con la loro glia, dei rapporti neuroendocrini fra sistemi, e così via; quando tutto ciò non è ancora compiuto, gli stessi processi alla base dei moti pulsionali non possono ancora disporre delle basi funzionali necessarie alla loro efficace attuazione.

 

D.: Ha dato importanza anche a Martin Buber…

 

R.: Si, come dicevo, con la monografia del 1923, Ich und Du, Martin Buber attribuisce ai narcisisti la tendenza dell’io immaturo, nelle relazioni interpersonali, a considerare quasi solo se stesso come persona, trattando strumentalmente gli altri come oggetti.

Non mi sembra che prima di allora fosse stata collegata al narcisismo questa tendenza, che poi è stata descritta nella seconda metà del Novecento in donne dalla personalità isterica, in psicopatici e paranoici, secondo le categorie di nosografia psichiatrica di quel tempo. Nella mia esperienza, è una caratteristica che ho spesso rilevato in persone poco sensibili agli stati d’animo e ai sentimenti altrui, spesso incapaci di immedesimazione ed empatia, a volte con tratti marcati di quelle che in passato si definivano personalità psicopatiche.

 

D.: Non si può dire narcisistico uno stile focalizzato egoisticamente su se stessi? Non è narcisistico, per lei, il comportamento di chi è centrato sul proprio lavoro, sui compiti che deve svolgere, sugli obiettivi da raggiungere, trascurando la compagnia di amici e parenti? È narciso solo uno che mostra i segni dell’innamoramento per la propria immagine?

 

R.: Se non c’è proprio un innamoramento per se stessi e per i propri tratti fisionomici, a mio avviso, dovrebbe essere almeno rilevabile la presenza di una predilezione, di una preferenza, di un’attenzione speciale per il proprio aspetto o per il proprio stile, il proprio modo di apparire, di essere ed agire, in quanto tale e non in quanto ispirato a ragioni che traggono il proprio valore da ambiti oggettivi di conoscenza, competenza e abilità. Secondo me, è narcisistico provare piacere per come si appare grazie alla naturale bellezza, alla cura della persona, alla grazia dei modi o al fascino dello stile; non è narcisistico essere soddisfatti e gioire per aver raggiunto, grazie allo studio, al lavoro, al costante esercizio o ad una lunga pratica, degli obiettivi, dei risultati o dei riconoscimenti sociali.

 

D.: Secondo lei una persona che si dedica unicamente al proprio lavoro, per il quale mostra attaccamento e preoccupazione, trascurando gli affetti e le esigenze di un partner, non può considerarsi narcisista?

 

R.: Per passare da una pura descrizione del comportamento ad una riflessione di livello psicologico, credo che sia utile, in questo caso, distinguere fra dovere e piacere. Imporsi a se stesso per senso del dovere, con un impegno straordinario nel lavoro, magari compiendo sforzi e rinunce, denota un’adesione adulta a quello che in psicoanalisi si chiama processo secondario, e si considera ispirato al principio di realtà, in contrapposizione al principio di piacere che ispira il processo primario, volto alla soddisfazione immediata dei desideri. Se, al contrario, l’immersione nel lavoro deriva da un piacere che questo procura, ed è eccessiva rispetto a quanto richiesto e dovuto, allora credo sia lecito interrogarsi sulla natura e le ragioni di questa scelta. Ma, naturalmente, si valuterà caso per caso, indagando la persona reale e le sue relazioni.

 

D.: Dunque, non è narcisistico ogni stile comportamentale centrato su se stessi, sulle proprie esigenze, ma è necessaria la presenza di un particolare tratto: potrebbe precisarne le caratteristiche?

 

R.: Questo tratto di speciale predilezione o attenzione, che definirei più propriamente interesse, perché sia narcisistico, dovrebbe essere rivolto verso se stessi e non verso un oggetto esterno, quale un obiettivo, magari conseguito attraverso sforzi di volontà, come nel caso di un livello di prestazione, di un titolo di studio, di un ruolo lavorativo, di un premio per attività artistiche, sportive o scientifiche. Per inciso, si può osservare che il valore di appartenenza al soggetto dell’oggetto conseguito è misura e funzione del livello di maturazione raggiunta, ossia del grado di sviluppo affettivo-emotivo raggiunto della persona: quanto più si è evoluti, tanto meno si rischia di fondersi o addirittura confondersi con l’oggetto.

Al primo requisito dell’interesse rivolto verso se stessi, che mi sembra una condizione necessaria ma non sufficiente alla definizione della qualità narcisistica, aggiungerei il prodursi, in questo stato “riflessivo”, di una sorta di desiderio soddisfatto, paragonabile a quello di cui si fa esperienza nell’ammirazione. Se non vi è proprio l’appagamento che si sperimenta nella soddisfazione reciproca del desiderio fra innamorati, dovrebbe esservi almeno compiacimento.

 

D.: Mi può indicare qualche elemento per distinguere questo tratto da altri?

 

R.: Lei vuole elementi per una diagnosi differenziale fra “tratto narcisistico espresso come interesse per se stessi” ed altri tratti o atteggiamenti psicologici?

 

D.: In un certo senso si. Ma mi basta una caratterizzazione, scontando quello che ha già detto. In altri termini, d’impronta, che cosa vedo nel narcisista che mi deve saltare agli occhi… Così, di getto…

 

R.: Di getto le dico questo: l’atteggiamento di interesse per se stessi non è reattivo, temporaneo, indotto dalle circostanze, conseguente al desiderio di un altro che si vuol compiacere. Non è riducibile ad uno stile comportamentale diffuso e comune a tutti i membri di un gruppo sociale, di una comunità  o di una categoria professionale. Ha radici nella psicologia individuale, perciò è motivato da una tendenza psicologica che è parte integrante dei processi psicoadattativi della personalità e dell’economia psichica del soggetto; non è un abito comportamentale facilmente rinunciabile.

 

D.: Ottimo. Ora credo di avere le idee un po’ più chiare. Ma cosa mi dice della consueta interpretazione psicologica come narcisistiche delle attenzioni rivolte al proprio corpo e delle preoccupazioni ipocondriache che si manifestano nei disturbi d’ansia e nella depressione?

 

R.: La conosco bene: è un’applicazione dell’idea freudiana che riporta alla radice del presunto “narcisismo primario”, che abbiamo già discusso, ogni forma ed espressione del rivolgersi verso il proprio sé corporeo. È un’interpretazione coerente con una concezione che non distingue la pulsione indotta dalla fisiologia riproduttiva da quella indotta dalla fisiologia dell’autoconservazione, e finisce per ricondurre ogni moto pulsionale ad una presunta matrice erotica comune che prescinde da una ragionevole base neurobiologica.

 

D.: Dunque, secondo lei, le preoccupazioni di ansiosi e depressi non sono narcisistiche ma autoconservative?

 

R.: In generale, si. Poi si devono considerare i casi particolari, le persone che esprimono maggiormente un tratto narcisistico in condizioni di sofferenza psichica, ad esempio.

 

D.: Ma come faccio, da psichiatra, se voglio seguire la sua visione e la sua logica, a distinguere l’interesse autoconservativo da quello narcisistico?

 

R.: Perché siano narcisistici, l’interesse, l’attenzione e la cura di sé devono essere suscitati e motivati da una forma di piacere. È evidente che non possono essere considerate narcisistiche un’attenzione e una cura che siano sollecitate da paura, preoccupazione, malattia temuta o conclamata, o dalla condizione di portatore di uno stato morboso…

 

D.: Portatore di uno stato morboso, cioè una persona non attualmente ammalata che abbia subìto l’amputazione di un arto, la perdita di un occhio, l’asportazione di una mammella, vero?

 

R.: Certo.

 

D.: Interessante. Si, mi interessa perché richiama l’attenzione critica su un’abitudine interpretativa che può allontanarti, invece che avvicinarti al paziente. Liquidare come narcisistica l’attenzione indotta da una perdita che può comportare discriminazione sociale, disagio relazionale, e tante altre conseguenze, è assurdo. Non trova?

 

R.: È vero, considerare narcisistica l’attenzione forzata e dolorosa per una parte mancante del proprio corpo, misconoscere come narcisismo la battaglia quotidiana per sentirsi normali e non disturbare, rattristare od offendere la vista degli altri, non è solo professionalmente erroneo, ma anche umanamente sciocco e ingiusto. Tutta la vita può essere condizionata: cercare di ridurre gli effetti negativi derivanti da una perdita è cosa diversa, nel senso e nella sostanza, da un vanesio compiacersi di sé. Ho discusso questi argomenti per la prima volta tanti anni fa, poco più che ventenne, quando da studente partecipai ad un convegno di oncologia mammaria al quale intervenne Ada Burrone, fondatrice della prima associazione italiana a sostegno delle donne mastectomizzate: “Attive come prima”.

Ricordo il racconto di una donna che aveva subìto da ragazza, per un cancro, un intervento notevolmente demolitivo di asportazione di una mammella: dovette rinunciare a formarsi una famiglia, dopo essere stata lasciata da ben sei fidanzati che, più o meno apertamente, le avevano manifestato i loro problemi nell’accettare il suo corpo mutilato. In quegli anni le protesi mammarie erano ancora considerate un’inutile vanità e il loro impiego era stato perfino tacciato di “narcisismo mistificante”.

 

D.: I criteri attualmente impiegati per definire il narcisismo in psicologia e il disturbo narcisistico di personalità in psichiatria, non consentono di porre argine alla deriva in atto. Se pure non si condivide la sua ottica, che tende a restituire un senso al concetto di narcisismo secondo il significato della metafora originaria, si dovrebbe porre mano ad una revisione della ridondante e incoerente pubblicistica sull’argomento, al fine di risolvere almeno le più stridenti contraddizioni e la facile attribuzione di un’etichetta che, con la deriva attuale, non si può negare a nessuno. Ad esempio, oggi si sente spesso, purtroppo anche in ambiente clinico, definire narcisista qualcuno che, per un semplice dissenso con un interlocutore, lo aggredisce verbalmente, comportandosi come se avesse subito un grave attacco personale. Come si dovrebbero inquadrare questi comportamenti?

 

R.: Credo che lei si riferisca a forme di difesa eccessiva di sé che denotano una immaturità caratterizzata da fusione con l’oggetto. In altre parole, lei fa il caso di una persona che non ha evoluto una distanza fisiologica adulta da ciò che le appartiene, ad esempio in termini di idee, scelte, opinioni o azioni compiute, e si comporta come se la confutazione, la disapprovazione o il dissenso espresso per alcuni di questi oggetti astratti, costituisca una minaccia per la propria integrità fisica. La reazione, spesso giustificata in termini di tutela della propria reputazione o immagine sociale, appare qualitativamente inadeguata, perché si verifica in assenza di qualcosa che metta in pericolo il soggetto o la sua identità, e quantitativamente eccessiva, perché la circostanza è priva di elementi oggettivi di provocazione.

 

D.: Si, mi riferivo a questo genere di casi. La persona si sente ferita e percepisce coscientemente un’avversione dell’altro, un’intenzione malvagia…

 

R.: Una persona che percepisce, per immaturità affettiva, una critica o una divergenza di opinione come un oltraggio o un vilipendio, e reagisce con una veemenza degna di una “questione di vita o di morte”, non è escluso che possa presentare un tratto narcisistico, sia come si intende correntemente sia nella mia accezione…

 

D.: Ma è una coincidenza o coesistenza non obbligatoria, vero?

 

R.: Sicuramente. Non credo che nella sua esperienza tutte le persone permalose, intolleranti delle critiche, tendenti a “fare corpo” anche con l’oggetto più periferico nel raggio di influenza della propria identità, presentassero tratti narcisistici…

 

D.: Certo, è ovvio. Dunque possono coesistere, magari con una preferenza di associazione come quella che si rilevava fra immaturità affettiva e personalità isterica, nella semeiotica psichiatrica del passato. Ma si tende a considerare narcisiste le persone immaturamente concentrate sull’Io.

 

R.: Se è per questo, l’immaturità è stata chiamata in causa in molte manifestazioni, come nell’autoritarismo quale tratto del carattere: l’origine nell’immaturità teorizzata dalla psicoanalisi, ha avuto un antecedente pre-psicologico in Immanuel Kant.

La questione cruciale è data dal modo in cui si esprime il giudizio, dai criteri su cui si fonda la valutazione: siamo sicuri che nelle scuole di psicologia e psichiatria, ad esempio, si insegni in modo adeguato l’analitica dei tratti che consentano di distinguere per conoscere la persona che si studia, e non si trasmetta solo il modo più sbrigativo per far corrispondere, attraverso elementi emergenti, una persona ad un prototipo? Ricordo che tanti anni fa, prima di intraprendere gli studi di neuroscienze di base, quando collaboravo alla didattica della semeiotica psichiatrica, proponevo tre griglie paradigmatiche di tratti corrispondenti, rispettivamente, ad un ipotetico e psicoanalitico “Ego pure pleasure”, ad un egotismo immaturo e ad un egoismo razionale in persone apparentemente mature in termini affettivi. Vede, se si semplifica in termini di tratti comportamentali - stile sintomi del DSM, per intenderci - ogni difesa di sé e spinta all’autoaffermazione può essere considerata narcisistica, nel senso di “immatura”. Ma non è così, e basta un po’ di buon senso applicato all’esperienza umana per rendersene conto.

 

D.: Difesa di sé e spinta all’autoaffermazione narcisistiche e non narcisistiche, ovvero da immaturità affettiva o da altre cause… Come si distingue?

 

R.: È semplice: nel primo caso, l’agire in difesa di sé e per autoaffermazione origina da una spinta psicologica individuale che tende a manifestarsi in ogni occasione; nel secondo caso, il comportamento è strettamente dipendente da particolari contenuti di esperienza che possono indurlo.

 

D.: Mi fa un esempio del secondo caso?

 

R.: Certo. Nel primo caso, quei comportamenti che attualmente sono da molti ritenuti segno di narcisismo, possono emergere in ogni circostanza sociale, in maniera più o meno evidente, per effetto di stimoli evocatori, prescindendo dai contenuti d’oggetto in questione. Nel secondo caso, il comportamento non è il portato di un’esigenza psicologica individuale, ma dipende strettamente da un quadro di esperienza e di ruolo in cui si viene a trovare il soggetto. Ad esempio, una persona stabile, equilibrata, che mostra la giusta distanza affettiva dagli oggetti della propria esperienza, può assumere un atteggiamento combattivo, cimentoso e perfino aggressivo, in circostanze in cui ritiene di star rappresentando o difendendo una verità di interesse collettivo, un valore sociale, religioso, politico o culturale.

 

D.: Una persona dall’umore euforico e un paziente in condizione di eccitazione, cioè nella fase ipomaniacale della vecchia semeiotica psichiatrica, tendono a sopravvalutare se stessi e a presentare spesso un evidente egocentrismo ideativo e comunicativo. Come si distinguono queste manifestazioni dall’egocentrismo narcisistico?

 

R.: Innanzitutto dal quadro complessivo emergente: nell’eccitazione si ha in genere marcata espansività, tendenza all’esaltazione, umore euforico, smisurata fiducia in se stessi, tachipsichismo, tachilalia, tendenza alle associazioni superficiali, difficoltà nel concentrare l’attenzione per seguire il filo dell’interlocutore, così da restituire l’impressione di un funzionamento accelerato ed efficace solo in uscita. Poi, considero un aspetto particolare che mi ha guidato spesso nelle distinzione: l’apprezzamento e la sopravvalutazione di sé, come parte dell’esaltazione del giudizio, nell’eccitato può facilmente estendersi ad altri, cosa particolarmente difficile per il narcisista. Ad esempio, una persona in stato di eccitazione psichica può, senza problemi, riconoscere e apprezzare in un altro doti di abilità o bellezza che ritiene di possedere in grado elevato. In genere, con la stessa facilità con la quale si sopravvaluta, può sopravvalutare altri.

Nella maggior parte dei casi, il narcisista non è particolarmente propenso ad occuparsi delle qualità altrui e, quando costretto, o manifesta un’estrema severità o elabora razionalizzazioni in grado di “neutralizzare la minaccia” che deriverebbe da un confronto perdente.

 

D.: Grazie. Un prezioso elemento di diagnosi differenziale. L’egocentrismo dell’eccitato è dunque solo apparente?

 

R.: L’accentuata attenzione per se stessi è parte di un’enfasi più generale che si manifesta in numerosi modi e circostanze, e può riguardare ogni aspetto dell’ambiente e della vita sociale, oltre che individuale. È caratteristico che, nella persona eccitata, opinioni, stime, valutazioni, previsioni, aspettative e progetti, siano sempre ispirati ad un notevole e non sempre giustificato ottimismo. Tutto ciò sembra essere la conseguenza di uno stato funzionale globale del sistema nervoso e, direi, di tutto l’organismo. Per inciso, non sono recenti gli studi che hanno dimostrato nell’eccitazione maniacale un assetto caratteristico nel controllo delle funzioni digestiva, respiratoria, cardiovascolare, eccetera. In questo stato neurofunzionale, definito in psichiatria metonimicamente dal tono dell’umore, la persona appare instancabile e si sente meravigliosamente in forma, felice di vivere, pronta ad intraprendere qualsiasi impresa e capace di riuscire in ogni cosa…

 

D.: Una distinzione netta ed efficace…

 

R.: Un momento, ho proseguito la descrizione perché intendevo evidenziare che, almeno secondo i criteri classificativi della clinica psichiatrica, i due termini a confronto – narcisismo ed eccitazione – sono come due grandezze incommensurabili, due specie diverse: un tratto e una sindrome…

 

D.: Che vuol dire?

 

R.: Che possiamo avere un narcisista in eccitazione maniacale o ipomaniacale!

 

D.: Giusto. Le cose non sono mai semplici nella realtà. D’altra parte, ricordo bene di aver imparato da lei che uno dei problemi della semeiotica psichiatrica attuale consiste nell’essere orfana dell’idea dominante nel secolo scorso, che considerava i quadri psicopatologici in rapporto costante con il tipo di personalità. Ma, mi chiedo, come posso distinguere una persona che ha preso un po’ lo stile narcisistico, voglio dire che abbia acquisito delle abitudini comportamentali che, come lei diceva prima, appartengono al suo gruppo sociale di riferimento o all’insieme relazionale di influenza, da qualcuno che narcisista lo sia per davvero.

 

R.: Nel secondo caso esiste efficacia adattativa. Vuol dire che gli atteggiamenti e gli atti mentali e materiali di tipo narcisistico sono parte integrante dell’economia psichica o, come si diceva un tempo, contribuiscono a reggere un adattamento. Non sono facilmente rinunciabili e, in caso vi si debba rinunciare, è necessaria una sostituzione adeguata per efficacia e per appartenenza allo stile della personalità.

 

[La serie di domande e risposte è proseguita con questioni poste da altri soci, riguardanti numerosi spunti tematici, fra cui l’uso strumentale di sé, e del proprio corpo in particolare, per ottenere vantaggi materiali, oggetti sociali astratti e concreti con valenze psicoadattative. La trascrizione si interrompe perché termina qui la registrazione audio di cui si dispone]

 

La già raccomandata lettura della relazione “Il Narcisismo oggi: deriva del significato e questioni attuali”, oltre ad essere indispensabile per una migliore comprensione del testo di queste domande e risposte, è più in generale interessante, in quanto demolisce a rigor di logica le costruzioni interpretative dominanti, rivelandone limiti e paradossi, e propone una visione linearmente coerente del concetto di narcisismo.

Si invita anche alla lettura degli altri scritti di argomento psicologico e psichiatrico (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

A cura di Giovanna Rezzoni

BM&L-06 luglio 2013

www.brainmindlife.org