Attività fisica specifica per disturbi mentali e invecchiamento

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 07 dicembre 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Molti studi hanno confermato che l’attività fisica è uno strumento innocuo ed efficace nella prevenzione e nel trattamento dei disturbi psichiatrici, secondo la tesi sostenuta dalla nostra scuola neuroscientifica. I progressi nel campo della psiconeuroimmunologia, che includono acquisizioni psiconeuroendocrinologiche relative allo stress e ai patterns di stati psicofisici determinati da molecole di segnalazione a distanza, hanno reso evidente che la leva dell’esercizio muscolare agisce contribuendo a determinare mutamenti di assetto generale o quadro funzionale, secondo quanto osservato da Giuseppe Perrella.

Fra le vie che si percorrono per il trattamento delle malattie mentali, della sintomatologia psichica di disturbi più lievi e per il declino cognitivo legato all’età, vi è da tempo la pratica di impegno del corpo, ossia dell’apparato muscoloscheletrico in naturale concomitanza con il cardiorespiratorio, per influenzare positivamente stati psichici che si manifestano come evidenti alterazioni degli equilibri fisiologici. Tali pratiche costituiscono una gamma che va dal puro esercizio muscolare alle pratiche psicosomatiche o somatopsichiche volte ad influenzare la fisiologia del rapporto mente-corpo (mind-body trainings).

Secondo l’opinione di molti terapeuti e terapisti formati come medici o come psicologi, alcune di queste tecniche avrebbero un’efficacia specifica od elettiva per alcuni disturbi, ma fino ad oggi non si sono ottenute prove certe della bontà di queste tesi. Anzi, in molti casi, in contrasto con l’abito mentale del medico che tende a considerare tutti gli strumenti terapeutici di cui dispone con razionale equilibrio in funzione dell’obiettivo terapeutico, i fautori di una tecnica sembrano comportarsi da sostenitori partigiani delle sue virtù.

Harris A. Eyre e Bernard T. Baune, nell’interesse dei pazienti e per il progresso delle conoscenze psiconeuroimmunologiche, hanno verificato lo “stato dell’arte” in questo campo, mediante una valutazione dei principali studi recenti condotti nel rispetto delle condizioni essenziali di rigore metodologico (Harris A. Eyre & Bernard T. Baune, Assessing for unique immunomodulatory and neuroplastic profiles of physical activity subtypes: A focus on psychiatric disorders. Brain, Behavior, and Immunity - Epub ahead of print[1]: uncorrected proof readable at www.sciencedirect.com/science/journal/aip/08891591, in print by 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Psychiatry and Psychiatric Neuroscience, School of Medicine, James Cook University, Townsville (Australia); Discipline of Psychiatry, School of Medicine, University of Adelaide, Adelaide (Australia).

La rassegna analitica e critica di Eyre e Baune è pubblicata sulla rivista che esprime la cultura della nuova scienza fondata da Robert Ader nel 1975, ossia la psiconeuroimmunologia, perché è proprio la mediazione del cervello fra movimento ed immunità a renderci conto del tipo di legame che esiste fra le varie componenti degli stati funzionali dell’organismo. Un assetto muscolare non sarebbe “anti-infiammatorio” o “anti-autoimmunità” se non intervenissero forme di regolazione centrale espresse attraverso attività di segnalazione interne al sistema nervoso centrale e a distanza, mediante molecole agenti come ormoni perché rilasciate nel torrente circolatorio.

La nozione più importante che è emersa dagli studi di immunologia dell’esercizio fisico degli ultimi 20-30 anni, è che gli effetti immunologici positivi hanno luogo dopo ciascuna sessione di attività fisica moderata[2]. Questo si traduce nel tempo, con una frequenza quotidiana, in un minor numero di giorni di malattia per raffreddore comune, ad esempio, o per altre infezioni delle prime vie aeree. Un tale effetto, senza entrare nei dettagli, può attribuirsi ad una più efficiente sorveglianza immunitaria.

Un’altra nozione ormai consolidata è che un elevato carico di lavoro muscolare, come quello dell’overtraining di alcuni programmi per atleti o quello di una competizione in gare sportive come la maratona, comporta una temporanea riduzione della sorveglianza immunitaria con un aumentato rischio di infezioni[3]. Molti parametri della funzione immunitaria mostrano cambiamenti sfavorevoli dopo un prolungato e pesante esercizio che duri più di 90 minuti: le alterazioni sono state rilevate in vari compartimenti del sistema immune e del corpo, inclusi il sangue, il muscolo, la cute, la mucosa delle vie respiratorie superiori e il polmone. Durante questa “finestra aperta”, ovvero questo intervallo di inefficienza immunitaria che va dalle 3 alle 72 ore, a secondo del parametro, aumenta la probabilità per virus[4] e batteri di causare infezioni subcliniche e cliniche. Di passaggio, ricordiamo che, fra le varie contromisure proposte e sperimentate, a sorpresa l’ingestione di bevande contenenti carboidrati durante l’esercizio defatigante intenso e protratto, si è rivelata la più efficace nel sostenere il recupero funzionale della risposta immunitaria[5].

Il lavoro di valutazione di Eyre e Baune è principalmente focalizzato sugli effetti prodotti da specifiche tecniche di approccio su specifici disturbi e, per le ricerche che sono state condotte con un accettabile grado di rigore scientifico nelle procedure, si sono trovati a valutare prevalentemente studi sulla depressione e sul declino cognitivo connesso con l’invecchiamento (ARCD, da age-related cognitive decline). D’altra parte, sulla base delle conoscenze attuali, il fondamento teorico è più sicuro in questi casi.

Se pensiamo all’assetto funzionale della persona che soffre un disturbo d’ansia con iperattivazione dell’asse simpato-adrenomidollare, con ipercortisolemia da picchi di CRH dovuti anche al corto circuito locus coeruleus-amigdala, ci riesce facile comprendere la ratio di un intervento mind-body inducente rilassamento, con un assetto in cui prevale il parasimpatico cardiomoderatore, stimolatore gastroenterico e della vasodilatazione periferica. Infatti, se la tecnica è attuata con successo, si ottiene uno stato dell’innervazione somatica e del controllo vegetativo opposto a quello dello stress, che è tipico dei disturbi d’ansia. Una ratio simile è in questione per le sindromi depressive, particolarmente per i disturbi depressivi causati da stress e/o associati a manifestazioni di scompenso riconducibili a stress[6]. Meno diretta e intuitiva è la modalità dell’azione terapeutica di tecniche fisiche o mind-body per la risoluzione di parafilie, di disturbi sociopatici di personalità o psicopatie, di psicosi schizofreniche con manifestazioni sintomatologiche organizzate come formazioni deliranti croniche in connessione con allucinazioni e intuizioni patologiche, e così via.

Nei lavori esaminati le tecniche basate sull’attività fisica sono suddivise in 3 grandi categorie: 1) la prima rivolta prevalentemente alla funzione motoria (motor trainings); 2) la seconda diretta alle attività di collegamento ed influenza reciproca degli stati del corpo e della mente (mind-body techniques); 3) la terza costituita da procedure miste (mixed type trainings).

Le prime due categorie contemplano vari sub-tipi che, nella prima includono la ginnastica aerobica, l’esercizio basato sulla resistenza, le tecniche basate sulla flessibilità, e i programmi neuromotori (suddivisi in esercizi di equilibrio, agilità e coordinazione); nella seconda i sub-tipi sono costituiti soprattutto da “tai chi”, “qi gong” e “yoga”.

Evidenze tratte da trials clinici suggeriscono che specifici sottotipi di attività fisica possono avere effetti positivi rilevabili con procedure obiettive, ma l’azione sulla sintomatologia può variare al variare dei sottotipi. È perciò fondata l’ipotesi secondo cui i singoli sottotipi possono modulare il sistema immunitario e i processi neuroplastici in maniera differente. Si ricorda che i principali targets nello studio dei processi neuroimmunitari sono costituiti da citochine, chemochine, microglia, astrociti, linfociti T e macrofagi; mentre per la neuroplasticità si studia principalmente la neurogenesi, la plasticità sinaptica e LTP/LTD.

Nella loro disamina, per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale dell’articolo originale, Eyre e Baune si propongono il fine di definire i profili immunomodulatorio e neuroplastico dei singoli sottotipi impiegati nei trattamenti, in particolare dell’ARCD e della depressione monopolare.

Sono emersi vari profili specifici ed esclusivi, ad esempio per tecniche di resistenza, aerobiche o mind-body, sia nella depressione che nell’ARCD.

Nella depressione i tassi di varie citochine ai livelli di base possono predire la risposta al trattamento con le specifiche tecniche e con vari farmaci.

Un dato che è emerso con un grado di certezza notevole riguarda gli effetti pro-neuroplastici, ovvero le azioni in grado di indurre compenso attraverso la formazione di nuove connessioni, il rafforzamento sinaptico e, in breve, la risposta plastica del sistema nervoso centrale all’impoverimento strutturale e alla vera e propria atrofia senile. Si è accertato che gli effetti pro-neuroplastici degli esercizi basati sulla resistenza e delle tecniche aerobiche nell’ARCD variano al variare del profilo delle neurotrofine.

Dopo una valutazione attenta, i due autori osservano che a questo stadio delle evidenze conosciute, è molto difficile trarre delle precise conclusioni circa le vie fisiologiche e biochimiche seguite dalle attività immunomodulatorie e neuroplastiche per effetto delle singole tecniche di attività, soprattutto a causa del basso numero di studi comparativi e dell’eterogeneità metodologica fra gli studi (studi sull’invecchiamento della popolazione, sulla gravità della malattia, così come sulla durata e l’intensità dell’intervento mediante tecniche di attività fisica).

Concludiamo, d’accordo con Eyre e Baune, che questo importante campo di ricerca richiederebbe studi bene progettati, meglio definiti, di maggiore qualità di quelli attualmente condotti, e realizzati in un’adeguata forma comparativa per ottenere profili realmente affidabili degli effetti sulle capacità plastiche del cervello e sulle proprietà terapeutiche del sistema immunitario.

 

L’autore della nota invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-07 dicembre 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] All’atto della estensione di questa recensione, l’articolo è disponibile come bozza non ancora corretta della quale si prevede la pubblicazione per il 2014.

[2] Per sessione di attività fisica moderata si intende, ad esempio, una marcia o una corsa a bassa velocità della durata di 45 minuti al 60-75% della frequenza cardiaca massima.

[3] Un certo numero di studi su atleti di specialità che richiedono resistenza nello sforzo protratto, ha documentato anche un’aumentata attività infiammatoria, verosimilmente indipendente dalle infezioni.

[4] Studi epidemiologici hanno riconosciuto i rinovirus come responsabili del 40% delle infezioni delle prime vie aeree.

[5] Il supplemento di carboidrati durante l’esercizio fisico intenso e protratto modera l’aumento nel plasma di citochine e ormoni dello stress, ma è assolutamente inefficace verso la funzione delle cellule NK (natural killer) e dei linfociti T.

[6] Per una trattazione di base degli effetti cellulari e molecolari della depressione sulle funzioni del sistema immunitario si veda in Robert Ader, (editor-in-chief) Psychoneuroimmunology (2 voll), IV edition, Academic Press, Elsevier 2007.