La caffeina rafforza il consolidamento della nostra memoria

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 01 febbraio 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’uso del caffè come bevanda di piacere ha una storia pluricentenaria nel nostro paese e, sebbene inizialmente fosse visto con diffidenza e sospetto, non tardò a diffondersi e radicarsi, divenendo costume privato, dopo essersi affermato come consuetudine sociale nelle sale di vendita che furono appunto denominate Caffè. A Firenze Francesco Redi (1626-1698), medico e scienziato noto per aver scoperto la secrezione ghiandolare del veleno di vipera, nell’esprimere un severo giudizio sulla nuova bevanda stimolante, che a suo avviso avrebbe anche indelebilmente macchiato i denti, così si espresse in rima: “Beverei prima il veleno/ che un bicchier che fosse pieno/ dell’amaro e reo caffè”. Ma, anni dopo, le cronache riportavano che il Redi aveva cambiato opinione, diventando avvezzo all’uso mattutino quotidiano di un infuso della nuova bevanda.

Sembra che il destino di essere sospettato di causare gravi danni ed essere poi riabilitato, abbia avuto per il caffè dei curiosi ricorsi storici. Alcune evidenze sperimentali di oltre mezzo secolo fa, lo fecero ritenere in grado di causare disturbi del ritmo cardiaco e della contrazione, suggerendo la proibizione dell’uso ai cardiopatici e l’impiego del prodotto decaffeinato nei soggetti a rischio. Qualche decennio dopo, dei test di oncologia sperimentale fecero includere il caffè in una lista di sostanze potenzialmente cancerogene. Entrambi gli allarmi sono poi rientrati: studi successivi ridimensionarono molto la sua nocività cardiaca e l’esistenza di un reale potere cancerogeno nell’uomo non ha trovato conferma.

Gli effetti psicotropi del caffè sono attribuiti alla caffeina, un alcaloide xantinico che agisce sul sistema nervoso centrale come stimolante psiconeuromotorio, con effetti molto più blandi rispetto agli stimolanti psicomotori di abuso tossicomanico (amfetamina e cocaina) ma, naturalmente, senza gli effetti tossici e di condizionamento esistenziale che caratterizzano queste droghe.

Come scrivevo oltre un anno fa: “L’effetto di stimolo cognitivo prodotto dalla caffeina è ben noto e in parte spiegato su base molecolare e cellulare, tuttavia si è ancora lontani da una completa conoscenza dei processi che lo generano. Fino a che punto il miglioramento delle prestazioni cognitive è la semplice conseguenza dell’aumento di vigilanza, attenzione e concentrazione o, addirittura, di un effetto “placebo”, e in qual misura si tratta, invece, di processi specifici a sostegno della working memory e di funzioni che possiamo solo indirettamente esplorare misurando parametri quali la velocità centrale di processo, la quantità di operazioni logiche compiute nell’unità temporale di riferimento o l’aumento di efficienza in compiti che richiedono elaborazioni intellettive non banali?[1]. Una risposta all’interrogativo è data da lavori come quello al quale si riferisce la recensione citata: uno studio nel quale si documenta un potenziamento sinaptico nella regione CA2 dell’ippocampo.

Infatti, la ricerca, dopo aver accertato e misurato gli effetti empiricamente noti di stimolo delle funzioni attentivo-cognitive, attualmente tende ad indagare nel dettaglio le proprietà della caffeina in relazione a processi specifici. Ad esempio, sebbene vi siano dati fortemente suggestivi, non si hanno prove sperimentali di un’azione della caffeina che favorisca o migliori la memoria a lungo termine nella nostra specie. Daniel Borota e colleghi hanno esplorato questa possibilità esaminando gli effetti di una dose efficace della molecola durante la fase di consolidamento di memorie visive. Il risultato dello studio sembra confermare l’esistenza di un’azione di rinforzo del consolidamento mnemonico, indipendente da effetti su altri processi cognitivi (Borota D., et al., Post-study caffeine administration enhances memory consolidation in humans. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.3623, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Psychological and Brain Sciences, Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland (USA); Department of Chemistry Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland (USA); Department of Neurobiology and Behavior, University of California at Irvine, California (USA).

La caffeina, isolata da Runge nel 1820, fu studiata sistematicamente quasi un secolo dopo da Hollingworth che, nel 1912, ne documentava gli effetti sull’efficienza mentale e motoria di soggetti normali, fornendo il primo esempio di indagine psicofarmacologica. Nelle epoche successive, classificata con la nicotina[2] fra gli psicoanalettici semplici, i suoi effetti sono stati valutati soprattutto confrontandoli con l’amfetamina e verificandoli attraverso l’influenza sull’elettroencefalogramma e la stima dell’azione antagonista del neurodeprimente reserpina. Gli effetti sull’EEG, con una inibizione della risposta reclutante, sono qualitativamente simili a quelli dell’amfetamina ma notevolmente inferiori, così come l’effetto antireserpinico che è di 10 volte più basso.

Ma vediamo un profilo sintetico della molecola. La caffeina è chimicamente una metilxantina (1,3,7-trimetilxantina; formula grezza: C8H10N4O2), farmacologicamente caratterizzata come alcaloide stimolante del sistema nervoso centrale con un’emivita di 5 ore, un legame alle proteine del 17-36%, una biodisponibilità del 99%, demetilazione ad opera di CYP1A2 ed eliminazione da parte dell’emuntorio renale. Oltre che nei chicchi di caffè è contenuta in proporzioni variabili nella noce di kola, nelle foglie di tè, nelle fave di cacao, nelle bacche di guaranà e ancora in guayusa, yaupon holly e yerba maté. Molti degli effetti sul cervello, incluso quello sul sonno e sui processi psichici, presentano una grande variazione individuale e, come l’effetto diuretico per azione sul glomerulo, tendono a ridursi con l’assunzione abituale[3].

Gli effetti di stimolo sulle prestazioni cognitive con aumento dell’allerta, dell’attenzione, della concentrazione e dell’efficienza intellettiva, sebbene presentino notevoli variazioni individuali nel rapporto dose/effetto, sono bene noti e documentati, ma sull’esistenza di un’azione diretta sulla memoria di lungo termine nell’uomo non vi sono prove sperimentali. Un aspetto farmacodinamico bene accertato è l’azione antagonistica esercitata dalla caffeina sui recettori A1 dell’adenosina (A1R) che sembra determinare un potenziamento selettivo della trasmissione sinaptica nei neuroni dell’area CA2 dell’ippocampo[4].

Daniel Borota e colleghi hanno valutato un possibile effetto positivo della caffeina sul consolidamento di memorie visive, somministrando a dei volontari una dose della metilxantina a breve distanza da una sessione di studio di immagini usate per una prova comportamentale di discriminazione. Un giorno dopo (a 24 h di distanza dalla somministrazione) è stata valutata l’abilità di identificazione implicata dalla prova, confrontando le prestazioni con quelle ottenute senza la caffeina. La metilxantina migliorava la performance secondo una curva ad “U” dose/risposta invertita.

I ricercatori hanno valutato anche gli effetti sul richiamo mnemonico, ossia sulla rievocazione cosciente, non registrando, in questo caso, miglioramenti.

Da questi esiti delle prove si deduce che la caffeina è in grado di determinare un’azione positiva nel consolidamento delle memorie a lungo termine, con un meccanismo indipendente da quelli che producono effetti di stimolo e rinforzo su altri processi cognitivi.

La brief communication di Borota e colleghi a Nature Neuroscience propone alla ricerca di base un lavoro impegnativo: definire quale sia lo specifico meccanismo che realizza questo rinforzo selettivo.

 

L’autore della nota invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-01 febbraio 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Note e Notizie 03-12-11 La caffeina induce un potenziamento sinaptico.

 

[2] L’accostamento alla nicotina è stato poi abbandonato in farmacologia, per la differenza nel meccanismo d’azione che, come è noto, nella molecola contenuta nel tabacco si basa sul legame con i recettori nicotinici dell’acetilcolina.

[3] Per ulteriori dati si veda la recensione citata nella nota precedente.

[4] V. nota precedente.