La stimolazione del cervello rivela le reti patologiche

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 25 ottobre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Le terapie basate sulla stimolazione del cervello e l’attenta osservazione mediante diagnostica per immagini associata, si sono spesso candidate quali strumenti di indagine fisiologica e fisiopatologica. In realtà, fino ad oggi non si è andati molto oltre il livello dell’osservazione clinica, limitata anche nel numero di casi considerati. Le cose potrebbero cambiare, e il metodo della stimolazione cerebrale potrebbe diventare un utile strumento di ricerca per studiare il cervello in termini di reti neuroniche in una gamma estesa di disturbi neurologici e psichiatrici, oltre che nelle persone sane.

Alcuni elementi emersi in un lavoro condotto da Michael Fox e colleghi, sembrano particolarmente rilevanti nel suggerire la possibilità di un cambiamento di rotta (Fox M. D., et al. Resting-state network link invasive and noninvasive brain stimulation across diverse psychiatric and neurological diseases. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1405003111, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Berenson-Allen Center for Noninvasive Brain Stimulation, Department of Neurology, Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Department of Neurology, Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Department of Psychology, Center for Brain Science, Harvard University, Cambridge, Massachusetts (USA); Cerebral Imaging Centre, Douglas Mental Health Institute, Verdun, Quebec (Canada); Departments of Psychiatry and Biomedical Engineering, McGill University, Montreal, Quebec (Canada); Division of Neurosurgery, Department of Surgery, Toronto Western Hospital, Toronto, Ontario (Canada); Krembil Neuroscience Center, University of Toronto, Toronto, Ontario (Canada).

[Il lavoro è stato presentato da Michael S. Gazzaniga, che attualmente è all’Università della California a Santa Barbara].

La stimolazione cerebrale o brain stimulation è una potente modalità di trattamento per un numero sempre crescente di malattie neurologiche e per vari disturbi psichiatrici. L’insieme delle tecniche è distinto in due grandi categorie, che corrispondono a vere e proprie specializzazioni ormai entrate nella denominazione degli istituti che le insegnano e le adottano: 1) approcci invasivi e 2) approcci non-invasivi.

Fra gli approcci invasivi, i migliori risultati si sono ottenuti con la DBS (deep brain stimulation), che richiede un intervento neurochirurgico sul cervello per l’impianto degli elettrodi che erogano la stimolazione. Ai comprensibili timori suscitati nei pazienti da simili interventi si aggiunge, come elemento che riduce l’indicazione da parte dei medici, il verificarsi, sia pure in un numero limitato di casi, di complicanze quali emorragie (ad es.: nel nucleo subtalamico e nel pallido in pazienti affetti da Parkinson), infiammazione nella sede di impianto degli elettrodi e tentativi di suicidio.

Fra gli approcci non-invasivi, perché consistenti nel semplice accostamento dell’erogatore sulla superficie cranica, il metodo più impiegato è la stimolazione magnetica transcranica (o transcraniale).

A parte i dettagli tecnici, le indicazioni terapeutiche e le valutazioni di efficacia, rimane il fatto che entrambi gli approcci si basano su un razionale sostanzialmente empirico e, in termini neurobiologici, è assolutamente sconosciuto il rapporto che esiste fra le due tipologie di stimolazione. D’altra parte, i meccanismi alla base dell’effetto terapeutico non si conoscono e il sito ideale di stimolazione per una determinata tecnica è spesso ambiguo, in tal modo determinandosi il limitarsi dell’ottimizzazione della stimolazione e la possibile estensione di impiego in altri disturbi.

Michael Fox, con colleghi canadesi e di Harvard, ha 1) individuato malattie trattate con entrambi i tipi di stimolazione, 2) elencato i siti di stimolazione selezionati per la maggiore efficacia in ciascuna malattia, e 3) posto al vaglio sperimentale l’ipotesi secondo cui tali siti corrispondono a differenti nodi all’interno della stessa rete cerebrale, come indicato dalle immagini dello stato di riposo nella risonanza magnetica nucleare della connettività funzionale.

L’osservazione ha chiaramente mostrato che i siti di efficacia elettiva del metodo invasivo DBS erano funzionalmente connessi con i siti in cui risultava efficace la stimolazione cerebrale non invasiva, per le seguenti condizioni patologiche:

 

1) Depressione

2) Disturbo ossessivo-compulsivo

3) Dipendenza da sostanze psicotrope

4) Malattia di Parkinson

5) Malattia di Alzheimer

6) Tremore essenziale

7) Stato minimamente cosciente (MCS)

8) Sindromi dolorose.

 

Una mancanza di connettività funzionale identificava i siti in cui la stimolazione risultava inefficace, e il segno della correlazione corrispondeva al rilievo clinico, cioè se la stimolazione non-invasiva, eccitatoria o inibitoria, risultava efficace.

I risultati ottenuti da Michael Fox e colleghi suggeriscono che la connettività funzionale dello stato di riposo può essere utile per tre distinti obiettivi:

 

1) tradurre la terapia fra le due modalità di stimolazione,

2) ottimizzare il trattamento e

3) identificare nuovi siti di stimolazione.

 

Più in generale, questo lavoro fornisce importanti elementi a supporto dell’assunzione di un’ottica di reti neuroniche, e non semplicemente di neuromediatori e recettori, per la comprensione e il trattamento dei disturbi neuropsichici, ed evidenzia le potenzialità terapeutiche della modulazione diretta delle reti cerebrali.

Nel concludere questa recensione, l’estensore propone una breve riflessione personale. Scontata l’accoglienza favorevole dell’assunzione di un ottica di reti neuroniche da parte della nostra scuola neuroscientifica, che ha sempre ricordato l’importanza dei sistemi neuronici nel determinare il valore fisiologico dei processi cellulari e molecolari, lo studio delle reti di cellule nervose cerebrali umane, in vivo, suggerisce due considerazioni. La prima, strettamente scientifica, consiste nel rilevare l’importanza dello studio dei nostri sistemi che, per molti aspetti, non ha un reale ed utile equivalente nell’osservazione sperimentale che ordinariamente si conduce sul cervello dei roditori: basti pensare ai sistemi di neuroni che elaborano il linguaggio verbale e mediano i suoi rapporti con la cognizione e i sentimenti umani, o al significato fisiologico completamente diverso fra il rinencefalo del topo e i sistemi neuronici della struttura cerebrale omologa dell’uomo. La seconda è di natura etica e deontologica e riguarda la liceità di tutti quegli atti per i quali la proporzione fra l’interesse sperimentale e l’utilità terapeutica è sbilanciata a favore del primo.

 

L’autore della nota invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-25 ottobre 2014

www.brainmindlife.org