Fonti endogene di variazione per apprendere la lingua

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 23 gennaio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Fin dalla nascita e durante l’infanzia, i bambini sono immersi nella realtà verbale della propria lingua madre. Tale condizione espone il loro cervello, attraverso la percezione, ad una grande quantità di dati che contengono gli elementi strutturali chiave della lingua che apprendono con la nota rapidità ed efficienza. Un interrogativo fondamentale che si pongono gli studiosi dei processi di apprendimento verbale in età evolutiva può essere così formulato: questi elementi strutturali sono estratti dai dati che il cervello del bambino raccoglie, oppure sono imposti ai dati da una conoscenza posseduta dal cervello del bambino che apprende?

Chung-hye Han, Julien Musolino e Jeffrey Lidz hanno condotto un ingegnoso ed accurato studio mediante il quale hanno identificato “un pezzo di conoscenza grammaticale” che è sistematico in un singolo parlante ma varia imprevedibilmente all’interno di una popolazione di parlanti una sola lingua. Tale studio ha rilevato anche che la conoscenza dei genitori in questo dominio non consente di prevedere quella dei figli. L’indipendenza dalla conoscenza dei genitori indica che le strutture grammaticali rilevanti - esaminate in questo studio - non sono acquisite per esperienza, ma fornite dal cervello dei bambini che apprendono.

Osservano gli autori dello studio che la dissociazione fra la conoscenza grammaticale dei bambini e quella dei loro genitori dimostra che, nel complesso processo che porta all’acquisizione della lingua madre, il cervello in età evolutiva attivamente costruisce conoscenza grammaticale da evidenze altamente ambigue (Han C., et al., Endogenous sources of variation in language acquisition. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1517094113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Linguistics, Simon Fraser University, Burnaby (Canada); Department of Psychology, Rutgers University, Piscataway, NJ (USA); Department of Linguistics, University of Maryland, College Park, MD (USA).

Nello studio dell’acquisizione della lingua verbale da parte dei bambini, ossia i piccoli dell’unica specie che ha creato culture basate su codici linguistici, un problema fondamentale riguarda la ripartizione della forza esplicativa fra l’esperienza di chi apprende e la conoscenza intrinseca già posseduta, che permette di rappresentare tale esperienza. Lo studio qui recensito fornisce un tipo di dati non identificato in precedenza, che consente di riconoscere il contributo dei bambini all’acquisizione del linguaggio.

Si ricorda che l’apprendimento della lingua nelle fasi più precoci dell’età evolutiva segue un pattern universale, caratterizzato da uno specifico periodo critico, durante il quale hanno luogo con rapidità ed efficienza i processi alla base della naturale acquisizione della lingua madre. In tal modo, si creano una competenza linguistica ed una proprietà di espressione che difficilmente potranno essere eguagliate dall’apprendimento in età adulta, anche con anni di costante esercizio. Ad una osservazione superficiale, infatti, la capacità straordinariamente maggiore degli infanti rispetto agli adulti di apprendimento della lingua può sembrare un paradosso, considerato il superiore bagaglio di conoscenze, abilità cognitive e concetti linguistici posseduti dalle persone mature ed istruite. Si ricorda, in proposito, l’ormai storica tesi avanzata da Eric Lenneberg: fattori maturativi nella pubertà causerebbero un cambiamento nei meccanismi neurali responsabili dell’apprendimento nei primi mesi ed anni di vita (1967)[1]. In effetti, una vasta mole di studi nel corso dei decenni ha cercato di definire le cause di questa apparente perdita di abilità che si verifica con la crescita e, verosimilmente, con l’esperienza e l’istruzione. Le prime osservazioni di oltreoceano sono quelle condotte sugli immigrati cinesi e coreani negli USA, immersi nella lingua inglese ad età comprese fra i 3 e i 39 anni. Quando richiesti di identificare errori grammaticali in frasi scritte in inglese – un compito estremamente facile per i bambini di madrelingua, che lo eseguivano alla perfezione – la prestazione degli immigrati declinava al crescere dell’età alla quale erano giunti negli USA. Una rappresentazione grafica del declino, molto simile a questa, si aveva nel paragone fra bambini che avevano visto fin dalla nascita i gesti del linguaggio dei segni americano (ASL, American Sign Language o Ameslan)[2] e altri volontari esposti dai 5 ai 12 anni ed oltre. Coloro che avevano esperienza dei segni dalla nascita erano pressoché perfetti nell’identificare gli errori presentati nelle prove sperimentali; gli esposti dall’età di 5 anni erano già un po’ meno bravi, mentre quelli che avevano conosciuto l’ASL dopo i 12 anni avevano una prestazione decisamente scadente.

L’esito di studi come questo è stato tradizionalmente interpretato sulla base di un ruolo svolto dall’apprendimento della prima lingua. Secondo questa tesi, l’acquisizione della lingua madre determinerebbe un neural commitment espresso prevalentemente nella restrizione specializzata degli schemi acustici di rilevazione della parola udita. Tale specializzazione restrittiva nella recezione acustica e potenzialmente anche visiva, considerata la concordanza degli studi condotti sull’ASL, interferirebbe in maniera negativa con l’acquisizione della seconda lingua.

Attualmente si ritiene che l’importanza prevalente sia da attribuire alla maturazione neurologica, secondo la cronologia evolutiva che prevede un’epoca specifica - così come accade per ogni altra linea dello sviluppo neurologico - per le tappe di sviluppo delle abilità linguistiche. Secondo gli studi più recenti, il periodo critico per lo sviluppo del linguaggio è influenzato dalla maturazione che definisce il tempo in cui la “finestra” di apprendimento si apre, e dall’esperienza che sembra avere un ruolo non trascurabile nel determinare l’epoca in cui tale “finestra” si chiude.

A partire da queste nozioni, si sono condotti e si conducono studi che stanno ridefinendo sia le basi neurali delle funzioni comunicative verbali, sia il quadro di conoscenze e teorie sullo sviluppo di tali facoltà. Per una introduzione al riguardo, che esulerebbe dai limiti di questa recensione, si rimanda a manuali e trattati[3].

Come già accennato, i tre autori dello studio hanno identificato un aspetto della grammatica che varia in modo non prevedibile in una popolazione di parlanti che impiega una sola lingua. Lo studio rileva e dimostra in maniera convincente che la conoscenza grammaticale dei genitori e quella dei figli in età evolutiva, sono fra loro indipendenti. La combinazione di questi due caratteri, ossia l’imprevedibilità della variazione e l’indipendenza genitori-prole, suggerisce che l’elemento strutturale rilevante è fornito da ciascun bambino che apprende la lingua, indipendentemente dall’esperienza linguistica quotidiana.

Lo studio ha anche accertato e dimostrato che l’elemento strutturale in questione è astratto, perché controlla variazioni in più di una costruzione.

Il caso particolare, esaminato da Han, Musolino e Lidz, è la posizione del verbo nella clause structure del Coreano. Poiché l’idioma parlato in Corea per la sua costruzione è considerato un head-final language, l’evidenza per la posizione sintattica del verbo è sia rara che indiretta. Quanto accertato dai ricercatori si può così sintetizzare:

     1) i parlanti la lingua coreana presentano una sostanziale variabilità riguardo questo aspetto della grammatica;

     2) questa variabilità è attestata fra parlanti diversi, ma non nell’esecuzione individuale della lingua da parte dello stesso parlante;

     3) questa variabilità controlla l’interpretazione in due costruzioni superficiali;

     4) questa variabilità è indipendente fra genitori e figli.

Secondo quanto rilevato dagli autori dello studio, quando l’esposizione alla lingua è compatibile con più grammatiche, coloro che apprendono acquisiscono un singolo sistema grammaticale. L’osservazione dell’indipendenza della variazione fra genitori e figli suggerisce che la scelta della grammatica è in parte guidata da un processo operante internamente in ogni singolo bambino che apprende la lingua.

 

L’autore della nota ringrazia il dottor Lorenzo L. Borgia per la collaborazione e la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-23 gennaio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr. Lenneberg E., Biological Foundation of Language. Wiley, New York 1967. Si ricorda che l’ultimo capitolo di questo classico della linguistica contemporanea fu scritto da Noam Chomsky, le cui idee hanno influenzato gli ultimi cinquant’anni di studi linguistici, costituendo il principale riferimento, insieme con l’analisi strutturale di Fernand De Saussurre, per gli approcci sincronici, ovvero per lo studio che prescinde dalla storia degli idiomi e del loro etimo.

[2] Una vera e propria semìa sostitutiva della lingua, secondo la definizione di Virginia Volterra, adoperata in tutto il territorio degli Stati Uniti ed anche in altre regioni del mondo, insegnata negli USA fin dalle scuole primarie ed adottata come standard nell’insegnamento ai sordomuti.

[3] Si veda, ad es.: PatriciaK. Kuhl & Antonio R. Damasio, Language, pp. 1353-1372, in Kandel et al. (editors) Principles of Neural Science, fifth edition, McGrawHill, New York 2013.