Nuova acquisizione nella patogenesi della malattia di Alzheimer
ROBERTO COLONNA & DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 15 dicembre 2018.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE E AGGIORNAMENTO]
Wang, Liu,
Chen e Ye hanno recentemente dimostrato che la δ-secretasi (AEP) è in
grado di scindere tanto l’APP quanto la Tau, promuovendo la formazione sia
degli aggregati di peptidi β-amiloidi alla base della formazione delle
placche neuritiche, sia delle alterazioni della proteina associata ai
microtubuli, responsabili della degenerazione neurofibrillare intraneuronica.
Nei
modelli murini di malattia di Alzheimer, in cui sono stati sottoposti a
verifica i dati emersi dall’analisi dall’attività della δ-secretasi, si è
osservata la riduzione dei tratti della neurodegenerazione alzheimeriana e il
recupero delle prestazioni cognitive fisiologiche per effetto dell’eliminazione
di questa nuova secretasi.
Wang e
colleghi hanno rilevato che C/EBPβ, una citochina infiammatoria o fattore
di trascrizione attivato da β-amiloide,
detta l’espressione di δ-secretasi durante l’invecchiamento. Gli
esperimenti di iper-espressione di C/EBPβ hanno fatto rilevare una
facilitazione dei processi patologici della malattia di Alzheimer attraverso l’upregulation della δ-secretasi, a
fronte di una riduzione della progressione neurodegenerativa con lo “svuotamento”
dal fattore di trascrizione C/EBPβ. In un nuovo studio, Wang e colleghi,
hanno esaminato i ruoli patologici dell’asse C/EBPβ/δ-secretasi in
diversi modelli murini, in differenti fasi temporali, e in differenti regioni
cerebrali. La sperimentazione ha mostrato che questa via svolge un ruolo
critico nel mediare patologie alzheimeriane e processi associati alla
fisiologia cognitiva. In sintesi, i risultati di questo studio provano che
l’asse C/EBPβ/δ-secretasi media spazio-temporalmente la patogenesi
della neurodegenerazione nella malattia di Alzheimer.
(Wang H., et al., Spatiotemporal
activation of the C/EBPβ/δ-secretase axis regulates the pathogenesis
of Alzheimer’s disease. Proceedings of the National Academy of
Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1815915115, Dec. 10, 2018).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Pathology and Laboratory Medicine,
Emory University School of Medicine, Atlanta (USA); Department of Neurology, The
First Hospital of Hebei Medical University, Hebei (Cina);
Tongji Hospital, Tongji University School of Medicine, Shanghai (Cina);
[Edited by
Solomon H. Snyder Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore,
Maryland, USA].
Seguendo le scelte fatte in una recensione dello scorso anno[1] si propone qui di seguito, in una
sintesi estrema, un’introduzione tratta da una monografia scritta in passato
per i membri della nostra società scientifica e presentata mediante vari brani
nella sezione “In Corso” del sito[2].
Nel
1906 il neuropatologo tedesco Alois Alzheimer studia
al microscopio preparati istologici ricavati da sezioni sottili del cervello di
una sua paziente affetta da una complessa e invalidante malattia neuropsichica,
caratterizzata da una grave forma di deterioramento mentale ad insorgenza
precoce ed andamento rapidamente ingravescente. Descrive due tipi di lesioni
che ricollegherà all’eziopatogenesi della malattia: le placche e le alterazioni
neurofibrillari. La pubblicazione di questi dati, nel
1907, avvierà la ricerca su quale sia il primum movens patogenetico, le placche amiloidi
o la degenerazione neurofibrillare[3].
All’originario
lavoro di Alzheimer, Perusini aggiunse nel 1909 tre
nuove osservazioni anatomocliniche molto dettagliate[4] e i suoi studi negli anni
successivi (1910-1911) consentirono la comprensione di alcuni rilevanti aspetti
clinici e patologici, così che la malattia detta in Germania “morbo di
Alzheimer”, divenne nota in Italia come “morbo di Alzheimer-Perusini”.
Il grande nosografista Kraepelin
la ritenne una forma grave e precoce di demenza senile, secondo il concetto di
senilità precoce di Fuller, anche se già nel 1910 le
riconosceva autonomia nosografica costituendo la nuova categoria diagnostica
della malattia di Alzheimer[5].
Anche
se l’identificazione di questa nuova malattia da parte di Alois
Alzheimer destò l’interesse di neurologi e ricercatori dell’epoca, per molto
tempo fu vista solo come una curiosità medica perché rarissimamente
diagnosticata. Per decenni, le ipotesi sulla sua eziologia e le opinioni sulle
caratteristiche della patologia e della clinica hanno ispirato filoni di
ricerca ed acceso dibattiti, senza però migliorare la conoscenza e la
comprensione dei processi alla base di questa grave ed inesorabile perdita
delle funzioni mentali e più in generale cerebrali, che termina con esito
infausto.
“Si
può dire che il primo reale progresso fu compiuto nel 1984, quando George G. Glenner dell’Università della California a San Diego riuscì
ad isolare dal materiale amiloide delle placche un corto peptide, costituito da
40 o 42 aminoacidi, cui si diede il nome di peptide β-amiloide (Aβ).
Poco
tempo dopo quattro diversi gruppi di ricerca sequenziarono il gene che codifica
la proteina da cui il peptide origina. Così come erano parse sorprendenti le
piccole dimensioni del peptide in grado di formare fibrille e accumuli di sostanza
extracellulare, sorpresero le grandi dimensioni della proteina codificata dal
gene di recente individuato. Il peptide beta-amiloide era un frammento di una
macromolecola di membrana cui si diede il nome di precursore del peptide beta
amiloide o beta-amyloid
precursor protein o βAPP. […]
Nel
1991, studiando il DNA di una famiglia con Alzheimer ad insorgenza precoce, un
gruppo della St. Mary’s Hospital Medical
School di Londra localizzò il gene per la βAPP sul cromosoma 21 e dimostrò
che la mutazione puntiforme si verificava proprio nel frammento di DNA
codificante il polipeptide precursore. All’incirca in quello stesso periodo
altri studi indicavano che in famiglie in cui ricorreva la malattia di
Alzheimer il cromosoma 21 poteva essere portatore di un difetto. Questa
correlazione era molto suggestiva perché da tempo era noto che i soggetti
affetti da sindrome di Down o trisomia 21, quando vivono sufficientemente a
lungo, invariabilmente sviluppano i sintomi di una patologia simile
all’Alzheimer.
L’idea
che il peptide Aβ fosse all’origine della cascata di eventi determinante
la progressione della malattia era ormai opinione dominante, nota come “teoria
dell’amiloide”, e i dati genetici sembravano confermarla in pieno. Ben presto
si formò una vera e propria scuola di pensiero che ebbe, ed ha tuttora, in
Dennis Selkoe uno dei maggiori esponenti. […]
Nel
1992 Allen Roses sfidò l’ortodossia β-amiloide:
annunciò di aver identificato un gene di suscettibilità per lo sviluppo delle
forme più frequenti, ad insorgenza nell’età media e avanzata. Si trattava del
gene per l’allele “ε4” dell’apolipoproteina E (APOE), cioè una variante di
una lipoproteina che trasporta il colesterolo. […]
La
teoria dell’amiloide sembrò avere una conferma decisiva nel 1995 quando Peter
H. St George Hyslop, con i suoi collaboratori, clonò
due geni cui diede il nome di presenilina 1 e presenilina 2. Le alterazioni di questi geni erano
state messe in relazione con una forma della malattia estremamente aggressiva e
ad insorgenza molto precoce, in cui la sintomatologia talvolta esordiva già
intorno ai 28 anni, divenendo presto molto grave. […]
Nel
1998 Rudolph Tanzi, genetista di Harvard, ritenne di aver identificato sul
cromosoma 12, in un gene detto A2M, un altro importante fattore di
suscettibilità: la sua tesi era che questo gene fosse in grado di determinare
il tasso di produzione di β-amiloide da parte dei neuroni. L’ipotesi fu
respinta, non solo da coloro che dubitavano del valore della ricerca sui geni
di suscettibilità, ma dallo stesso Allen Roses, il quale
aveva lavorato a quel locus del cromosoma 12, addirittura registrando un
brevetto sull’A2M e, successivamente, si era convinto della mancanza di un
legame diretto con la patologia. […]
Il
precursore della proteina β-amiloide (βAPP) è sintetizzato da molte
specie cellulari ed è una proteina di membrana, la cui lunghezza varia da 695 a
770 aminoacidi. Le due estremità idrofile della macromolecola sporgono l’una
nel citoplasma e l’altra, la più lunga, nello spazio extracellulare. Da
quest’ultima proviene il peptide beta-amiloide.
La
funzione fisiologica non è nota[6] ma si sa che va incontro ad un
processo di scissione enzimatica secondo due diverse modalità. […]
La
prima modalità prevede una tappa
catalizzata da un enzima detto α-secretasi,
in grado di scindere dal precursore un peptide che sarà attaccato da un secondo
enzima, la γ-secretasi, la cui
azione dà origine ad un frammento fisiologico, definito p3.
Questa
modalità, ossia la scissione mediante
α-secretasi/γ-secretasi, dà sempre luogo ad un peptide non
patogeno.
La seconda modalità differisce per l’enzima
che interviene nella prima tappa, in questo caso è la β-secretasi: uno dei frammenti prodotti, costituito da 99
aminoacidi, il C99-βAPP, sottoposto all’azione della γ-secretasi dà
luogo alla formazione del peptide β-amiloide[7]. La successione beta-secretasi/gamma secretasi
genera per il 90% molecole di 40 aminoacidi e, per la parte rimanente, peptidi
di 42 aminoacidi. Solo questa piccola frazione sembra in grado di innescare la
successione di eventi che determina la formazione delle placche”[8].
Se la specie
fibrillare dei peptidi β-amiloidi rappresenta il maggiore costituente
delle placche neuritiche, i filamenti appaiati ad elica (PHF) costituiscono la
parte principale dei grovigli di fibre della degenerazione intraneuronica (NFT,
neurofobrillary tangles). La
proteina Tau, in tutte le sei isoforme iperfosforilate, è il principale costituente delle PHF. Le
ripetizioni della regione della Tau che si lega ai microtubuli formano la parte
principale del filamento, mentre le regioni amino- e carbossi-terminale
creano un addensamento molecolare periferico. Dopo l’assemblaggio, la Tau è
troncata all’estremità aminica per poter essere ubiquitinata. L’evento chiave,
che precede l’assemblaggio dei filamenti, è l’iper-fosforilazione.
In breve, la
neuropatologia della malattia di Alzheimer è caratterizzata dalle due lesioni
istopatologiche tipiche, da un’estesa perdita di neuroni cerebrali e da
neuroinfiammazione cronica.
Dopo
questa introduzione, a beneficio del lettore non specialista, ritorniamo al
lavoro di Wang, Liu, Chen e Ye.
I
ricercatori hanno dimostrato che l’asse C/EBPβ/δ-secretasi è attivato
in una modalità età-dipendente in varie regioni cerebrali del modello murino
3xTg AD, con un’elevazione dell’APP troncata dalla δ-secretasi e della Tau
troncata per proteolisi, la promozione della formazione di placche amiloidi
senili e di degenerazione neurofibrillare. Questi eventi molecolari apparivano
associati alla graduale perdita di neuroni e all’infiammazione cronica.
L’eliminazione nei topi 3xTg del fattore di trascrizione regolato da citochine
infiammatorie C/EBPβ reprime l’espressione di APP, Tau e
δ-secretasi, con la conseguente
inibizione della scissione di APP e Tau. A tali eventi molecolari segue un
effetto mitigante sulla neuropatologia.
Il knockout della δ-secretasi nei topi
3xTg contrasta in modo evidente i processi patogenetici della malattia
neurodegenerativa. Conseguentemente, come hanno osservato Wang e colleghi,
l’inattivazione dell’asse C/EBPβ/δ-secretasi migliora le disfunzioni
cognitive nei topi affetti, bloccando l’espressione di APP, Tau e della loro
frammentazione patologica.
In
conclusione, la sperimentazione dimostra un ruolo cruciale nella patogenesi
della malattia di Alzheimer dell’asse C/EBPβ/δ-secretasi.
Gli autori
della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della
bozza e invitano alla lettura delle numerosissime recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto
Colonna & Diane Richmond
BM&L-15 dicembre
2018
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 04-02-17 Il Gleevec mima una mutazione che protegge dalla malattia di Alzheimer.
[2] Perrella G., La Malattia di Alzheimer – un’introduzione. BM&L-Italia, Firenze 2004.
[3]
Alzheimer A., Ueber eigenartige
Erkrankung der Hirnrinden, Allg. Ztschr. Für Psychiat. 1907.
[4] Perusini
G., Ueber klinisch und histologisch eigenartige psychische Erkrankungen des spateren Lebensalters, Hist. und Histopathol.
Arb. Nissl. 3: 297, 1910.
[5] Cfr. Kraepelin E., Lehrbuch der Psychiatrie, Barth, Leipzig 1912.
[6] Numerosi studi hanno fornito nel frattempo (il testo monografico è del 2004) evidenze che indicano ruoli fisiologici della βAPP; di questi studi si trovano recensioni nelle “Note e Notizie” di questi anni.
[7] Su questa base si impiegano in terapia gli inibitori di BACE (Beta-secretase cleaving enzyme).
[8] Perrella G., op. cit.