Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 02 novembre 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Scoperto cervello senza claustro
con ipoplasia ponto-cerebellare in un uomo di 63 anni. Deceduto
per una polmonite da aspirazione, il paziente di 63 anni con un’anamnesi di
paralisi cerebrale infantile, disabilità cognitiva, atrofia cerebellare e
convulsioni dalla nascita, ha fatto registrare un peso encefalico di 815g e,
oltre alla prevedibile ipoplasia ponto-cerebellare, ha evidenziato per la prima
volta l’agenesia bilaterale del claustro. Il difetto congenito del claustro è
verosimilmente dovuto ad anomalie dello sviluppo cerebrale da approfondire e,
sulla base dei dati di osservazione necroscopica e di un criterio deduttivo
razionale, si può ipotizzare una responsabilità dell’assenza del claustro nella
genesi delle convulsioni. Gli autori del lavoro sostengono che lo studio di
questo caso potrà dare un contributo alla nostra conoscenza della fisiologia
del claustro. [Cfr. Hayashi K., et al. Neurology
International AOP – doi: 16 (5): 1132-1142, 2024].
Il tronco encefalico plasma
l’architettura funzionale della corteccia cerebrale umana. Bratislav
Misic, Justine Y. Hansen e colleghi, mediante MRI ad
alta risoluzione in 7-Tesla, hanno visualizzato in vivo e studiato il
connettoma funzionale umano di 58 nuclei del tronco encefalico (di bulbo, ponte
e mesencefalo) in rapporto con la corteccia cerebrale.
Il tronco encefalico ha
un’importanza cruciale nella fisiologia dell’encefalo, ma è generalmente
escluso nelle mappature funzionali in vivo, focalizzate quasi
esclusivamente sul cervello (telencefalo e diencefalo). I ricercatori hanno
identificato un set di hub integrativi troncoencefalici con un’estesissima
connettività corticale. I pattern di interconnessione dinamica si
traducono in ritmi oscillatori neurofisiologici, schemi di
specializzazione funzionale cognitiva e organizzazione gerarchica
funzionale unimodale-transmodale. L’allineamento tra topografie corticali
e nuclei troncoencefalici è configurato dall’arrangiamento spaziale di
molteplici recettori e trasportatori. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01787-0, 2024].
Perché un’attività fisica estrema
danneggia il cervelletto nella struttura corticale. Evgenii
Balakin e colleghi hanno studiato nei roditori,
usando il test di nuoto forzato, gli effetti di un eccesso di attività motoria
che superi la capacità funzionale del sistema nervoso centrale. Lo sforzo
estremo determina iperattivazione di strutture cerebellari, cui fa seguito la
deplezione di risorse intracellulari e cambiamenti degenerativi in cellule e
fibre. In particolare, si alterano le cellule piriformi, i neuroni internuciali, cellule gliali cerebellari e le cellule a
granulo che, degenerando, si fondono formando conglomerati. [Cfr.
Biology (Basel) 13 (10): 840, 2024].
Disturbi dello spettro dell’autismo
(ASD): la disfunzione circadiana nuovo target. Le
cause delle alterazioni neuroevolutive sono responsabili anche di una disfunzione
circadiana comune nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD): nuove
evidenze sperimentali indicano tale disfunzione quale corresponsabile della
perturbazione delle plasticità sinaptica. Una rassegna dettagliata di Yuxing Zhang e colleghi riporta le esperienze iniziali delle
seguenti terapie rivolte al target della disfunzione circadiana: 1)
melatonina, 2) fototerapia, 3) modulazione di componenti circadiani, 4)
cronoterapie. [Cfr. Front Psychiatry – AOP doi: 10.3389/fpsyt.2024.1451242,
2024].
Sclerosi multipla: linfociti T CD20+
come marker di stato cognitivo e neurofunzionale. I
linfociti T CD20+ sono associati allo stato di attività e alle forme
progressive della sclerosi multipla (MS). Antonio Esposito e colleghi del
Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II di Napoli hanno
indagato un possibile rapporto fra questo sub-set di immunociti e le
prestazioni cognitive e psico-neurofunzionali in 90 pazienti di MS, 44 dei
quali affetti dalla forma remittente-recidivante e 46 dalla forma progressiva.
Dai test è emerso che la presenza di T CD20+ nel sangue periferico
era associata con le prestazioni cognitive peggiori e lo stadio progressivo.
Gli autori concludono che le cellule T CD20+ possono considerarsi marker
della progressione e dell’affaticamento sperimentato dai pazienti. [Cfr. European Journal of Neurology – AOP doi: 10.1111/ene.16536,
October 30, 2024].
Perché i pappagalli sono così
colorati? Scoperto il mistero. Analisi
genetiche e biochimiche hanno rivelato la ragione della policromia spesso
sgargiante e sorprendente di questi uccelli, considerati tra gli animali più
colorati della terra. Roberto Arbore e colleghi hanno scoperto che lo stato di
ossidazione del “gruppo terminale” di un pigmento specifico dei pappagalli, la psittacofulvina,
ha un ruolo chiave nei viraggi di colore. Ad esempio, dal giallo al rosso si
possono avere tinte diverse in base alla ratio del rapporto tra residui
carbossilici e aldeidici nel gruppo terminale delle molecole di
psittacofulvina. Il verde e il giallo brillante sono dovuti ad alti livelli di
carbossil-psittacofulvina, mentre il rosso intenso delle piume è dovuto a
grandi quantità di molecole di psittacofulvina aldeidiche. L’enzima ALDH3A2
codificato dal gene ALDH3A2 dei pappagalli è in grado di convertire rapidamente
la psittacofulvina rossa in gialla. [Cfr. Science 386 (6721): adp7710, 1
November 2024].
Le specie animali con maggiore
attitudine sociale vivono più a lungo. Il
primo studio su questo argomento condotto su uno spettro di 152 specie animali
che va dalla medusa all’uomo è stato presentato in questi giorni
dall’Università di Oxford. L’indagine ha valutato per ogni specie il rapporto
tra socialità e parametri quali tempo di generazione, aspettativa
di vita, durata del periodo riproduttivo. La valutazione della
tendenza comportamentale delle specie fa riferimento a una classificazione che
individua 5 tipologie che, in realtà, costituiscono uno spettro continuo fra le
specie: 1) solitaria; 2) gregaria; 3) comunale; 4) coloniale; 5) sociale.
È emerso che le specie sociali
vivono più a lungo, hanno un tempo generazionale maggiore e una finestra
riproduttiva più ampia. [Cfr.
Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences 379
(1916): 0459, 2024].
Il segreto in pittura: dall’etica
del mistero all’estetica della verginità (seconda e ultima parte)[1].
Se il “segreto” non è semplicemente
ciò di cui si tace, il “non detto”, ma è ciò che esiste e non si conosce perché
non appare ai sensi, allora la sua natura è nella dimensione del nascosto,
ovvero di quella gamma di significati che nella cultura greca – come abbiamo
prima ricordato – costituiva il polo opposto della verità rivelata, dell’a-lētheia, che è precisamente il non-nascosto. È
questa una dimensione dell’esperienza umana e della riflessione filosofica
presente in ogni cultura e affrontata dall’arte, invece che con lo strumento
analitico della logica, con il mezzo sintetico dell’imitazione: imito la natura
e la realtà, che contengono segreti che non posso disvelare, ma che posso
trasferire in un altro sembiante del reale che è la pittura; così agli occhi
miei e di chiunque guardi l’opera appare ciò che contiene i segreti della
natura e della pittura.
Guardare,
e in generale percepire, ciò che contiene un segreto è una prova di senso non
da poco, perché riguarda l’evocazione di ciò che non si conosce ma si sa che
c’è. Si può guardare un paesaggio illuminato dal sole senza minimamente pensare
ai segreti della natura che nasconde, rimanendo alla forma e al colore della
materia che la luce ci rivela; e questo sia per stato d’animo sia per totale
insipienza. Si può invece scrutare e ammirare la superficie pensando a ciò che
è in profondo e non appare, all’infinitamente piccolo che compone il
macroscopico evidente, a ciò che ha preceduto quanto si percepisce nel
presente; in altri termini, si può pensare a ciò che è nascosto, solo in quanto
la sua esistenza è presente alla nostra mente ed è evocata dalla materialità
attuale percepita.
Si
comprende che, allora, il “nascosto per eccellenza” è Dio: impossibile da
vedersi con gli occhi ma segreto onnipresente che può rivelarsi per epifanie,
per manifestazioni della sua essenza o segni della sua presenza, solo alla
mente di chi ne ammette l’esistenza custodendola con la fede. Non è un caso che,
nella tradizione ebraica, la latenza sempre presente del Dio nascosto costituisca una prova essenziale per l’uomo: se
sei giusto hai Dio nel tuo cuore e ne riconosci la presenza
in ogni circostanza e in ogni esperienza; tu sei nel suo segreto e il suo segreto
è in te, sua creatura, messa alla prova nell’accettare l’impenetrabilità di
questa verità.
Il
pensiero di questa cultura religiosa, da cui originano per via abramitica le
tre grandi religioni monoteiste, ha prodotto una perla: il Nistar, il “Giusto Nascosto”, che non solo è l’esatto
opposto del fariseo che vive di forme e di apparenze, essendo invece la sua
spiritualità fatta di essenza e sostanza, ma è egli stesso un dono e una prova: chi può riconoscerlo? Può riconoscerlo chi dentro
di sé vive la vita del giusto.
Questo
nucleo di esperienza antropologica è trasferito nella tradizione cristiana come
attenzione ai segni che, allo stesso tempo, nascondono e svelano la presenza
divina. Per i cristiani, l’epoca dominata esclusivamente dal “Dio nascosto” termina
al compiersi dei giorni della sacra gravidanza di Maria Vergine. La pittura,
che è stata prevalentemente pittura sacra per gran parte dei due millenni
trascorsi dalla nascita di Cristo, celebra l’assoluto del segreto, ossia il
mistero, che si presenta nelle varie forme dei misteri di fede, attraverso la
“rappresentazione del sensibile” che rimanda ai significati spirituali e si
attua grazie ai più terreni e tecnici segreti dei maestri.
Non si creda, però, che il segreto
sia una prerogativa dell’arte dei secoli cristiani: sicuramente lo si ritrova
nella concezione greca di quell’elemento in più che l’ingegno conferisce al
talento: la vernice nera “segreto di Apelle”.
Molti pittori rinascimentali
provarono, sulla scorta dei racconti tradotti dal greco antico, a ricostruire
le tecniche di quella speciale branca della pittura che si chiamerà “trompe l’oeil”, inganno
dell’occhio. Quando Apelle dipingeva una vigna all’esterno di una casa o
grappoli d’uva su una tavola imbandita, gli uccelli si posavano sul dipinto per
beccare i chicchi. Come faceva? Riprodurre ogni cosa nelle esatte dimensioni
del reale, porre tutti gli oggetti rappresentati in primo piano, studiare
accuratamente il modellato e le luci non sembrava essere sufficiente. E poi, da
quanto si leggeva, Apelle rendeva vive le figure umane rappresentate, con le
espressioni del viso e i gesti che rivelano i moti dello spirito. Qual era il
suo segreto?
Quando i Veneti del Cinquecento
scoprirono che il bitume di Giudea o asfalto o preparato nero
dalla pianta dell’aloe era il segreto di Apelle, vi fu una vera
rivoluzione nella pittura a olio su tela: gli artisti veneti, che già
adottavano imprimiture in nero per esaltare la saturazione e la luminosità
cromatica, dovettero aumentare l’intensità e la consistenza delle tinte chiare
perché il segreto consisteva nello stendere, a opera compiuta e asciutta, un
velo trasparente di vernice d’asfalto su tutto il dipinto, che dava una luce
calda capace di conferire uno straordinario realismo alle figure e un’atmosfera
suggestiva e mai vista prima su una tela.
Il segreto, così inteso, era una
trovata dell’ingegno che l’osservatore dell’arte considerava come un bonus
che si concedeva al talento per esaltarne il valore d’essenza nel merito di chi
lo aveva messo a frutto. Un modo di pensare rinascimentale, questo, che
richiama alla mente l’aggiunta di premio che viene data nel Vangelo a chi mette
a frutto i talenti.
La grande pittura figurativa
richiedeva una disciplina di esercizio rigorosa e severa con dedizione quotidiana
e totale, che consentiva non solo di perfezionare sempre più la destrezza nel
disegno ma anche di esercitare l’occhio a riconoscere le più piccole variazioni
di tono e di tinta, e a realizzare le mestiche per imitarle. Solo i garzoni più
disciplinati e affidabili erano ritenuti degni dal maestro di ricevere la
trasmissione dei segreti: solo chi si mostrava in grado di vivere la disciplina
dell’artista poteva garantire che avrebbe custodito il segreto senza
propalarlo, per farne la sua forza, perché sapeva e poteva vivere da pittore. Dai
tempi più remoti fino al secolo scorso si sono tramandate delle “regole di
vita” che il pittore avrebbe dovuto seguire per onorare degnamente la più
esigente delle muse. Alcune di queste “regole” furono raccolte da Gregorio Sciltian, pittore realista del Novecento, che riferisce
vari esempi, fra cui quello del pittore ritrattista inglese Reynolds che
riusciva, seguendo un’assoluta disciplina dietetica e oraria, a studiare
dipingendo fino a 15-16 ore al giorno. Diventare abile e non perdere le abilità
acquisite richiedeva ore di esercizio quotidiano, come e più dei concertisti
nell’arte della musica, ma soprattutto un’assoluta dedizione che portava ad
organizzare tutta la vita in funzione dell’arte.
Gli antichi maestri di pittura e
scultura di epoca classica avevano tramandato un’igienistica dell’artista,
studiata per mantenere il suo corpo sempre efficiente per le esigenze
dell’esercizio della pratica, ma avevano anche notato che l’autore di opere
aveva bisogno della protezione degli dei per almeno tre motivi principali:
mantenere sempre un’ottima salute, avere sempre vena creativa e ottenere
commesse, senza le quali sarebbe caduto nell’indigenza. Fra le misure adottate
dagli antichi per ottenere la protezione delle divinità più potenti vi era il
voltar la faccia a Bacco e Venere e “consacrarsi” rinunciando alle ebbrezze, ai
piaceri della carne e della tavola. La verginità compiva un’ascetica pagana di
elevazione dello spirito nel rendere il proprio corpo specchio del segreto custodito
nella psiche: nascosti entrambi per preservarne e accrescerne il potere.
Nella visione giudaico-cristiana la
verginità è legata alla purezza, in quella greca e greco-romana è legata
all’altezza dello spirito e alla sua forza morale; potremmo dire che in
entrambe le visioni è considerata uno stato ammirevole, ma questo può
farci sfuggire una differenza sostanziale: presso i Greci era ritenuta un
pregio che rendeva degna di stima e rispetto la persona che, custodendo questo
stato inviolato del corpo, mostrava una non comune forza d’animo, che loro
indicavano come forza del carattere[2];
presso gli Ebrei e i cristiani era invece un dovere, per l’ordinaria obbedienza
a un comandamento, la cui trasgressione costituiva peccato, ossia uno stato di
colpa davanti a Dio.
Anche se si è sempre dato più
risalto alla verginità delle donne, e in particolare a quella delle
sacerdotesse di Estia, che in epoca romana diventano ministre della dea Vesta,
le celebri vestali, o quella delle vergini al seguito di Artemide, Diana per i
Romani, bisogna ricordare anche l’importanza e il prestigio che la verginità
conferiva agli uomini: erano vergini i sacerdoti di Apollo, ad esempio. Se la
verginità in epoca classica era associata alla cura del corpo, in epoca
cristiana era indissolubilmente legata alla doverosa cura dello spirito, per la
conservazione dello stato di grazia.
I tre motivi per cui i pittori
antichi chiedevano la protezione degli dei sussistevano anche in epoca
medievale, ed erano una buona ragione per pregare rendendosi degni con castità,
digiuno e carità. La verginità dei pittori tra Medioevo e Rinascimento era
comune, anche perché grandi scuole di pittura nascevano presso i conventi dove
erano ospitati gli orfani a cui si dava nutrimento e istruzione, spesso compiendola
con l’insegnamento di un’arte che consentisse loro di guadagnarsi da vivere.
Valga per tutti l’esempio di Andrea del Sarto, allevato presso il convento di
Maria Santissima Annunziata in Firenze, dove a soli ventiquattro anni era
maestro di altri due celebri orfani, quali Jacopo Pontormo e Rosso Fiorentino.
È questo il motivo dello scandalo
della sensualità in pittura, che si vuole introdotta nella scuola veneta da
Giorgione, che aveva una condotta libertina e tendeva a dipingere i nudi di
donne per suscitare non più ammirazione ma desiderio. Giorgione custodiva il
segreto di fare tinte e incarnati con due soli colori, la terra di Siena
bruciata e il blu di cobalto, e lo aveva rivelato al suo giovane e casto
allievo, Tiziano, che a sua volta, per riconoscenza, gli aveva rivelato i
segreti dell’affresco, diventando maestro del suo maestro e affrescando con lui
il Fondaco dei Tedeschi, dove Giorgione impiega i santi segreti
michelangioleschi della Sistina per dipingere la “Nuda”, emblema di un corpo
non più inviolabile tempio dello spirito ma comune oggetto di desiderio. [BM&L-Italia, novembre 2024].
Notule
BM&L-02 novembre 2024
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La Società
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of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] La prima parte è stata
pubblicata nelle “Note e Notizie” della scorsa settimana: 26-10-24.
[2] La parola greca che traduciamo
“carattere” designava piuttosto ciò che oggi chiamiamo “personalità”, essendo
il carattere solo quella parte della personalità che si esprime nelle
relazioni, nei rapporti umani come modo, appunto, “caratteristico” della persona.