Il glioblastoma altera il midollo osseo cranico e la risposta immune

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 11 ottobre 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Due settimane fa nelle “Notule”[1] abbiamo proposto un risultato di grande rilievo di uno studio condotto da Simona Migliozzi e colleghi sul glioblastoma: le cellule del glioblastoma, la più frequente e maligna neoplasia del cervello in età adulta, si presentano in due forme, una aggregata e l’altra dispersa, che hanno mostrato comportamenti biologici differenti[2]. Queste due forme potrebbero costituire un paradigma fisiopatologico dei tumori solidi e, quindi, interessare tutta l’oncologia[3]. Le cellule associate in blocchi del glioblastoma sono più statiche e meno aggressive di quelle disperse, che appaiono più plastiche e tendono a resistere meglio. Atteso che più strategie di intervento (terapia radiante, terapie farmacologiche, ecc.) sembrano in grado di accrescere le forme cellulari disperse[4], la scoperta e gli ulteriori studi su queste due forme potrebbero radicalmente cambiare la clinica di questa malattia.

Oggi ci occupiamo di uno studio, condotto da Abhishek Dubey e numerosi colleghi coordinati da Jinan Behnan, che ha rilevato e dimostrato che i tumori cerebrali, e il glioblastoma umano in particolare, induce un’alterazione diffusa della struttura ossea della volta cranica e della funzione immunitaria del midollo osseo del cranio.

(Dubey A. et al., Brain tumors induce widespread disruption of calvarial bone and alteration of skull marrow immune landscape.  Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-025-02064-4, 2025).

La provenienza degli autori è la seguente: The Leo M. Davidoff Department of Neurological Surgery, Albert Einstein College of Medicine, Montefiore Medical Center, Bronx, NY (USA); Marilyn and Stanley M. Katz Institute for Immunotherapy for Cancer, Department of Microbiology & Immunology, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA); Department of Immunology and Cell Biology, Graduate School of Medicine & Frontier Biosciences, Osaka University, Osaka (Giappone); Department of Cellular Dynamics, WPI-Immunology Frontier Research Center, Osaka University, Osaka (Giappone); The Leo M. Davidoff Department of Neurological Surgery, Albert Einstein College of Medicine, Montefiore Medical Center, Bronx, NY (USA); Marilyn and Stanley M. Katz Institute for Immunotherapy for Cancer, Department of Microbiology & Immunology, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA); Biophysical Analytics, German Rheumatism Research Center (DRFZ), Berlin (Germania); Genomics Core Facility, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA); Department of Neurosurgery, University Hospital Southampton, Southampton (Regno Unito); Dominick P. Purpura Department of Neuroscience, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA); The Leo M. Davidoff Department of Neurological Surgery, Albert Einstein College of Medicine, Montefiore Medical Center, Bronx, NY (USA); Marilyn and Stanley M. Katz Institute for Immunotherapy for Cancer, Department of Microbiology & Immunology, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY (USA).

Più dell’80% dei pazienti affetti da glioblastoma non sopravvive più di un anno dopo la comparsa dei primi sintomi. Un tempo si riteneva che questa neoplasia maligna del cervello fosse originata da cellule embrionali, poi verso la fine del ventesimo secolo fu avanzata l’ipotesi dell’anaplasia sviluppata durante la maturazione di cellule astrocitarie. Numerosi dati sono coerenti con l’origine in una cellula primitiva; Sanai e colleghi hanno sostenuto la tesi dell’origine in una cellula staminale, ma altri oncologi, fra cui Reid e collaboratori, hanno mosso fondate critiche a questa possibilità e, d’altra parte, gli eventi genetici ed epigenetici che porterebbero all’evoluzione cancerosa di queste cellule progenitrici non sono noti. Nei pazienti più anziani, con tumori che iniziano interamente come glioblastomi, è caratteristica l’amplificazione del gene EGFR, mentre le mutazioni acquisite del gene p53 tendono a verificarsi negli individui più giovani, il cui tumore si evolve da astrocitoma a glioblastoma. La progressione da oligodendroglioma e astrocitoma a forme più maligne di glioblastoma è stata messa in relazione con l’enzima isocitrato deidrogenasi, codificato dai geni IDH1 e IDH2: Yan e colleghi hanno dimostrato che pazienti con mutazioni in questi geni hanno una migliore risposta alla terapia e più lenta evoluzione clinica. Più di recente sono stati studiati i processi di molte associazioni genetiche (EGFR, MGMT, PTEN, ecc.), ma l’impatto clinico di queste acquisizioni è rimasto minimo[5].

Studi recenti hanno identificato le nicchie del midollo osseo quali sedi di una riserva che fornisce all’encefalo monociti e neutrofili nel contesto di stati patologici o di lesioni cerebrali, ma il ruolo delle nicchie nelle neoplasie cerebrali e particolarmente nei tumori maligni dell’adulto rimane un ambito pressoché inesplorato.

Gli autori dello studio qui recensito hanno cercato di colmare questa lacuna allestendo un lavoro sperimentale su modelli murini e su pazienti affetti da glioblastoma. Abhishek Dubey e colleghi hanno accertato che il più maligno dei tumori cerebrali induce anomalie della volta ossea del cranio sia nei topi che nei pazienti, alterando la fisiologica attività degli osteoclasti e, nel topo, aumentando il numero dei canali nelle ossa craniche.

Il sequenziamento RNA da singola cellula ha rivelato alterazioni glioblastoma-mediate nel panorama immunitario del midollo osseo del cranio e del femore; in particolare, l’espansione dei neutrofili e il deterioramento di vari sub-set di linfociti B.

L’inibizione in vivo del riassorbimento osseo ha ridotto le anomalie ossee, ma ha promosso la progressione tumorale nei sotto-tipi mesenchimali del tumore. Questa inibizione ha anche abolito il beneficio di sopravvivenza dell’inibitore di checkpoint anti-PD-L1, mediante la riduzione delle cellule T attivate e un massiccio incremento numerico di granulociti neutrofili infiammatori.

Nell’insieme, tutti i dati emersi da questo studio, per il cui dettaglio si rinvia al testo integrale dell’articolo originale, forniscono nuova conoscenza circa il modo in cui i tumori del cervello, e in particolare il glioblastoma, agiscono sulle ossa piatte della teca cranica e sull’ambiente immunitario presente al loro interno.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-11 ottobre 2025

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 27-09-25 Notule: Glioblastoma: una scoperta che potrebbe interessare tutta l’oncologia.

[2] Migliozzi S. et al., Cancer Cell - AOP doi: 10.1016/j.ccell.2025.08.009, Sept. 18, 2025.

[3] Studi di oncologia mammaria da tempo hanno evidenziato questa caratteristica in istotipi di tumori del seno.

[4] La frequenza e la gravità delle recidive del glioblastoma dopo trattamento si potrebbe spiegare in questo modo.

[5] Per le prospettive terapeutiche, si veda nelle “Notule” di questa settimana (Note e Notizie 11-10-25 Notule): Glioblastoma: individuazione di un FAK inibitore macrociclico per il trattamento.