Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXII – 15 novembre 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Corteccia visiva: come si possono
comprendere le risposte di popolazione neuronica? Il
nostro cervello codifica l’ambiente che ci circonda impiegando milioni di
neroni organizzati in reti complesse che elaborano i segnali giunti dalla
retina all’area corticale V1 e, da questa, alle altre aree corticali visive:
tali segnali – high dimensional signals – sono difficili da stimare e ancor più da
caratterizzare in un modo tale da concettualizzarne la fisionomia. Dean A.
Pospisil e Jonathan W. Pillow hanno cercato di
risolvere questo problema con un metodo statistico che rivede le concezioni del
passato circa la complessità di codifica della corteccia visiva primaria. I due
ricercatori hanno accertato che la codifica di popolazione è dominata da
10 elementi, più altri che contano molto meno per la rappresentazione di quanto
si pensasse in passato. Tale codifica di popolazione è più forte della sintonia
del singolo neurone e più facile da caratterizzare. [Cfr. PNAS USA 122 (45) e2506535122,
2025].
Malattia di Alzheimer: leptina e
adiponectina alterate contribuiscono alla patologia. L’obesità
è una concausa accertata di patologie cardiovascolari, artriti, diabete tipo 2
e alcuni tipi di neoplasie maligne; nuove evidenze hanno ora confermato un
ruolo patogenetico in alcune malattie neurodegenerative e, in particolare,
nella malattia di Alzheimer. L’alterata regolazione di leptina e adiponectina
è stata individuata quale elemento centrale nella connessione tra obesità e
neurodegenerazione. Manal Adil e colleghi, in una rassegna sistematica dei
maggiori studi condotti su questo argomento, evidenziano alcuni meccanismi. La leptina,
che insieme con l’insulina regola il bilancio energetico a lungo termine,
favorisce la neurogenesi, la plasticità sinaptica e la sopravvivenza dei
neuroni, e la sua segnalazione si altera con accumulo di β-amiloide e
iperfosforilazione della tau. L’adiponectina, l’adipochina
più abbondante in circolo, ha azione anti-infiammatoria e sensibilizzante
all’insulina, e il suo deficit determina alterazione della neurogenesi,
resistenza neuronica all’insulina e peggioramento dei contrassegni della
malattia di Alzheimer. [Cfr. European Journal of
Neuroscience – AOP doi: 10.1111/ejn.70326, 2025].
Elementi comuni a disturbi dello spettro
dell’autismo (ASD) e disturbi dell’attenzione con iperattività (ADHD). Patricia
Segura e colleghi coordinati da Adriana Di Martino hanno rilevato che la
gravità dell’autismo prediceva le differenze di connettività cerebrale,
indipendentemente dal fatto che un bambino fosse affetto da ASD o da ADHD:
quindi, indipendentemente dai pattern cerebrali corrispondenti ai
sintomi. I cambiamenti di connettività riflettevano l’espressione di geni
neuroevolutivi associati ad entrambi i disturbi. I risultati di questo studio
supportano la tesi dell’importanza di un quadro trans-diagnostico, guidato
dalla biologia, nella ricerca neuroevolutiva. [Cfr. Molecular Psychiatry –
AOP doi: 10.1038/s41380-025-03205-8, 2025].
ADHD in Palestinesi pre-adolescenti:
sintomi più gravi per bassi livelli di omega-3. In
particolare, in Palestina il sottotipo impulsivo-iperattivo dell’ADHD in
ragazzi di 10-12 anni si manifestava con una sintomatologia molto più grave in
presenza di una carente assunzione alimentare di acidi grassi essenziali
omega-3. Gli autori dello studio hanno identificato la causa di questa maggiore
gravità nelle disparità socioeconomiche, che precludono l’accesso a cibi ricchi
di omega-3 molto costosi in Palestina, come salmone, sgombro, sardina, trota,
molluschi, noci e altra frutta a guscio, cavolo nero, spinaci, lattuga, ecc.
Sebbene si speri che programmi scolastici di istruzione per una sana
alimentazione possano ridurre l’impatto dei sintomi dell’ADHD, rimane
l’impossibilità per le numerosissime famiglie povere di acquistare e assumere
regolarmente alimenti contenenti omega-3. [Cfr. Muhanna S. et al., International Journal of
Adolescent Medicine and Health – AOP doi: 10.1515/ijamh-2025-0149, 2025].
Ruolo della dopamina (DA) nel movimento:
evidenze in contrasto con le nozioni classiche. Fin
dalla scoperta della degenerazione dei neuroni dopaminergici della substantia
nigra che proiettano allo striato quale base patologica della malattia di
Parkinson, si è ritenuto che alla dopamina (DA) si potesse attribuire in gran
parte la funzione di conferire vigore – ossia velocità e ampiezza – agli atti
motori. Uno studio di Haixin Liu
e colleghi ha rilevato che le fluttuazioni temporanee di DA nello striato di
topo in realtà non sono né necessarie né sufficienti per specificare il vigore
dei movimenti degli arti anteriori.
Se questi risultati saranno confermati,
si dovranno rivedere alcuni capisaldi delle basi neurotrasmettitoriali della
fisiologia del movimento. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-025-02102-1,
November 10, 2025].
Passare da un vecchio schema o forma di
movimento a uno nuovo risulta spesso arduo. Imparare un
nuovo passo di danza che sostituisce un modo consolidato, apprendere un nuovo
movimento delle dita, sostituendolo a quello consueto nell’esecuzione
strumentale di una frase musicale, sono due esempi particolarmente evidenti di
un piccolo problema che si verifica anche per forme di apprendimento motorio
più banale, e che oggi viene studiato nell’ambito delle ricerche sulla
flessibilità cognitiva. Kahori Kita e colleghi hanno
dimostrato che gli errori nell’eseguire il nuovo apprendimento motorio si
verificano perché entra automaticamente in esecuzione il pattern precedente;
e hanno anche provato che lo switch nell’usare una nuova abilità motoria
è più difficile dello switch tra prassi motoria intuitiva e prassi
motoria appresa di recente.
Il dato interessante – e intuitivamente
conosciuto dai musicisti – è che la pratica paziente e ripetuta può rinforzare
anche la capacità di switch rapido e flessibile tra istintive, vecchie e
nuove abilità motorie. [Cfr.
The Journal of Neuroscience – AOP doi: 10.1523/JNEUROSCI.1311-24.2025, 2025].
Il multilinguismo protegge dall’invecchiamento
cerebrale: studio in 27 paesi d’Europa. Agustin Ibanez, Lucia
Amoruso e numerosi colleghi hanno condotto uno studio in 27 nazioni europee su
un totale di 86.149 partecipanti, valutando e quantificando l’accelerato o il
rallentato invecchiamento cerebrale in termini bio-comportamentali. Le persone
che parlavano più di una lingua presentavano una probabilità 2.17 volte minore
della popolazione media di presentare invecchiamento rapido. Interessante anche
il rilievo del “beneficio da accumulo”: ciascuna lingua in più conosciuta
accresceva di un fattore la protezione dal rischio di accelerare i processi
biologici involutivi. [Cfr. Nature Aging – AOP doi: 10.1038/s43587-025-01000-2,
November 10, 2025].
Demenza: il rischio epidemiologico
cresce con la povertà, la cecità e l’isolamento sociale. Un
nuovo studio epidemiologico ha evidenziato che l’innalzamento al di sopra del
livello di povertà nel 100% dei casi ha ridotto del 9% il rischio di demenza;
per coloro che vivono al di sotto del livello di povertà la perdita della vista
e l’isolamento sociale sono tra i fattori che maggiormente contribuiscono ad
accrescere la probabilità di base (definita da fattori di rischio neurologici)
di sviluppare demenza in età senile. Fattori di rischio noti come diabete e
deficit di esercizio motorio erano presenti in percentuale maggiore tra gli
Americani di origine africana, messicana e, in genere, ispanica. [Fonte: American Academy of Neurology – AOP in
Neurology, November 12, 2025].
Falco pellegrino: un’occasione unica per
studiare l’animale più veloce del pianeta. Con i suoi 390
km all’ora in picchiata, il Falco pellegrino è l’animale più veloce del pianeta,
superando l’aquila reale, che non va oltre i 320 km/h, e raggiungendo il triplo
della velocità del più veloce tra i terrestri, ossia il ghepardo che può
toccare i 130 km/h. Ma non è interessante questa specie di falconide di medie
dimensioni, classificato anche fra le più piccole aquile, solo per aspetti
relativi al volo, ma anche per il comportamento in generale, sempre molto
difficile da studiare. Un’occasione unica per osservarlo, data da una femmina
che ha fatto il nido su un grattacielo di Melbourne (Australia), è stata colta
da Nestflix, un canale televisivo che documenta la
vita animale, collocando delle videocamere sul grattacielo e realizzando il
primo bird reality della storia, che da
fine settembre, ossia da quando si è verificata la schiusa di tre uova e si è vista
la mamma-falco intenta ad aiutare i piccoli a rompere il guscio, sta ottenendo
un successo di audience straordinario.
Il pubblico televisivo, che può
sintonizzarsi 24 ore su 24 sulla “vita del nido”, si è abituato a vedere crescere
e saltellare in un solco-canale prossimo al nido i tre lanosi pulcini, e ha
assistito tante volte alle imbeccate di cibo e alle cure amorevoli prodigate
dalla mamma-falco, ma ora attende un evento straordinario: assistere ai primi
tentativi di spiccare il volo e ai primi esercizi che consentiranno ai tre
giovani falchetti di apprendere le procedure esecutive di un programma che è
memoria della specie.
La BBC ha realizzato un video con le
immagini salienti della vita dei quattro volatili fino a questo punto, in
attesa e che Nestflix venda i diritti delle “lezioni
di volo” che dovrebbero aver luogo nei prossimi giorni. [Fonti: BBC e
BM&L-International, novembre 2025].
Simbolizzazione e cognizione linguistica
nei nativi dell’America latina in un seminario. Nasciamo
in un ambiente visivo e acustico di simboli in cui rimaniamo immersi per tutta
la vita; fin dai 5-6 anni cominciamo a leggere e scrivere simboli linguistici e
aritmetici, che vanno a costituire memorie paradigmatiche intimamente fuse con
le tracce delle varie forme di senso che compongono la nostra esperienza del
mondo circostante e della comunicazione in tutte le sue forme, al punto che ci
riesce difficile anche solo immaginare come possano avvenire processi di
simbolizzazione e cognizione ideativa senza codici come quelli. Una possibilità
per entrare nella dimensione dell’esercizio di simbolizzazione analogica spinto
in ambiti che esistono nella nostra mente solo attraverso le forme del
linguaggio-pensiero, è costituita dai documenti che narrano di come i nativi
dell’America latina, senza la più pallida traccia di un’istruzione alfabetica,
abbiano cominciato ad apprendere lo spagnolo e il latino.
Questa settimana la nostra società
scientifica ha tenuto un seminario durante il quale si è ripresa una sessione
di studi condotta a tal proposito a fine settembre del 2022, le cui tematiche principali
furono riportate in una “Notula” del primo di ottobre 2022 (Le civiltà precolombiane dell’America latina
avevano sistemi di scrittura?); qui di seguito riprendiamo i
contenuti di quell’incontro che hanno costituito la base per le riflessioni e
le discussioni di questi giorni.
Numerosi studi
hanno dimostrato che la precoce acquisizione dell’abilità di leggere e scrivere
la lingua madre migliora l’efficienza di vari processi cognitivi, oltre a
conferire una migliore strutturazione del pensiero, un arricchimento dei suoi
contenuti e una maggiore capacità di comunicare intenzioni, ragionamenti,
dettagli descrittivi, fino all’esercizio dell’arte retorica di persuasione
degli interlocutori. L’apprendimento e l’uso della scrittura determinano un’espansione
letteralmente esplosiva del lessico individuale, e lo studio di testi scritti
consente di apprendere interi procedimenti logici da impiegare come paradigmi o
come strumentalità operazionali in circostanze e contesti diversi. Per tale
ragione, quando si cerchi di studiare le caratteristiche mentali dei popoli nel
corso della storia, è molto importante sapere se ci si trova di fronte a un
popolo in possesso di una scrittura. Tuttavia, anche in assenza di una
scrittura alfabetica, popoli come quelli dell’America Meridionale precolombiana
e post-colombiana hanno esercitato in modo straordinario le abilità di
simbolizzazione.
In un incontro
della nostra società scientifica si è affrontato il problema della scrittura
dei nativi del continente americano, con particolare riferimento alle civiltà
precolombiane dell’America Meridionale e Centrale.
Garcilaso de
la Vega non ha dubbi: “No alcanzaron a conocer las letras”[1] (non
giunsero a conoscere le lettere) e dello stesso parere è Waman Puma: “sin letras ningunas”[2], ma
gli Spagnoli e gli Indi di cultura ispanica intendevano per lettere le
forme di esperienza culturale nate dalla scrittura alfabetica delle lingue del
Vecchio Continente. In realtà, gli indi avevano dei sistemi per rappresentare
simbolicamente dei concetti a scopo mnemotecnico o comunicativo. Tra le
mnemotecniche più note vi è il quipu, un sistema costituito da una serie
di cordicelle annodate e riunite in un ordine definito, usato dagli Inka e dai
popoli da loro assoggettati o influenzati, per tenere la contabilità[3], fare
da calendario, raccogliere informazioni di interesse sociale o politico; il
sistema adoperato per la comunicazione a distanza era una “scrittura per
oggetti”, i cosiddetti chuj, costituiti
prevalentemente da pietruzze, semi di vegetali distinti per colore e denti di
animali.
Un esempio
particolare di scrittura per oggetti è stato tramandato dai Guaranì, che ne hanno
custodito il codice e l’impiego tradizionale fino a tempi relativamente
recenti. I Guaranì di lingua tupì vivevano nel Brasile dell’Est, ossia sulla
costa dove poi sorse Rio de Janeiro, e nel Brasile Meridionale, dove ancora
esiste una numerosa rappresentanza di questa etnia[4], ma
erano e sono presenti anche in aree di Paraguay, Argentina, Uruguay e Bolivia.
Ancora oggi, i loro miti e i loro riti pubblici attraggono l’interesse degli
studiosi e la curiosità dei turisti. La loro scrittura parejhara
consisteva nell’uso di un repertorio di significati convenzionalmente associati
a oggetti, pietruzze, semi, denti animali e altro, in grado di trasmettere
valori semantici di sostantivi e verbi. La realizzazione di un messaggio
richiedeva la soluzione di problemi di ambiguità, sempre incombenti in assenza
di una grammatica, e la diligente composizione degli oggetti da collocare in
una particolare borsa di pelle, che veniva affidata ad un messaggero esperto.
Il destinatario apriva la borsa e, seguendo un criterio generale, disponeva in
terra il suo contenuto; solo quando aveva ricomposto lo schema simbolico
seguito dal mittente, aveva inizio quel lavoro di interpretazione, non sempre
semplice, che equivaleva alla lettura del messaggio.
Una suggestiva
testimonianza seicentesca del padre José de Acosta ci fa comprendere come in
Perù utilizzassero l’associazione di frasi udite a pedrezuelas,
cioè pietruzzelle o pietruzze, come mnemotecnica per
imparare le preghiere: “Ed è cosa da vedere come vecchi cadenti imparino il padrenostro
con una ruota fatta di pietruzze e con un’altra ruota l’avemaria, e con
un’altra ancora il credo, e come sappiano quale pietruzza sia ‘che fu concepito
per opera della Spirito Santo’ e quale ‘patì sotto Ponzio Pilato’, e come si
correggano se sbagliano, semplicemente guardando le loro pietruzze”[5].
José de
Torquemada, narrando come gli Indi imparavano la Dottrina cristiana, riporta
che contavano le parole delle preghiere da imparare, e poi, a ciascuna
parola, facevano corrispondere un grano di mais o una pietruzza[6]. Per
avere uno strumento permanente, equivalente a un nostro testo, fissavano i
piccoli elementi simbolici su dischi di argilla, chiamati dagli Spagnoli ruedas, ruote, ognuna delle quali conteneva una
preghiera.
Ma i reperti
che più impressionano nel vederli dal vero sono stati trovati soprattutto in
Bolivia, nel Dipartimento di Chuquisaca, a San Lucas:
figurine modellate in argilla di pochi centimetri di altezza fissate su dischi
con un andamento a spirale dall’esterno verso il centro, come quello del
microsolco dei vecchi dischi musicali di vinile. Di cosa si tratta? Le
popolazioni di area quechua e i Guaranì nella lingua tupì avevano elaborato una
scrittura pittografica dell’idioma parlato, costituito da figure umane e
oggetti con significato prevalentemente analogico; tale scrittura pittografica
era rappresentata in tre dimensioni sui dischi di argilla trovati in Bolivia[7].
Molto
interessante lo studio della matrice bidimensionale per comprendere i criteri
di simbolizzazione di queste piccole opere di artigianato. In generale, si
tratta della resa pittografica del quechua o del tupì-guaranì ma, i contatti
con la cultura europea dei conquistatori, portarono a delle integrazioni con
segni che esprimono soluzioni innovative. Ad esempio, la figurina femminile costituisce
una resa analogica del termine quechua huarmi,
che vuol dire appunto donna; la schematizzazione dell’albero rappresenta
invece, in senso figurato, l’eternità, il crescere e il moltiplicarsi.
Le nuove parole spagnole, riferite ad astrazioni non presenti nella realtà
india, non potevano rimandare a concetti già conosciuti e il loro
riconoscimento doveva includere qualche elemento della fonetica spagnola, così
i nativi addetti alla scrittura escogitarono nuovi modi per nuovi simboli. Ecco
un esempio: il suono quechua della parola ichu,
che vuol dire ciuffo d’erba, assomigliava al suono principale della
pronuncia spagnola del nome Jesus, così la rappresentazione pittografica
del ciuffo d’erba entra come hichu in quella
di Gesù. Con un riferimento fonologico si spiega anche perché nella resa
tridimensionale della frase finale del Padre Nostro “liberaci dal male”
si trova, in corrispondenza del “liberaci”, un pezzetto di vetro infisso: un
cognome quechua ancora molto diffuso in Perù è Quispe, e vuol dire
“libero”, quispi, quasi omofono, significa
“vetro”.
Colpisce
particolarmente un aspetto dell’influenza della cultura europea su questi
popoli: prima della colonizzazione gli Indi usavano le mnemotecniche e gli
altri antecedenti della scrittura per vari usi strumentali a supporto del
ricordo, quali quelli già menzionati, ma non adoperavano questi sistemi per
prendere nota delle azioni morali e dei fatti dello spirito riguardanti la vita
di un singolo. Con l’evangelizzazione, si diffonde in modo straordinario
l’abitudine ad annotare pittograficamente l’elenco dei peccati da confessare; e
si sono trovate innumerevoli testimonianze di questo uso. Tradizionalmente gli
storici hanno ricondotto questa pratica alla raccomandazione di Sant’Ignazio di
Loyola, fondatore dei Gesuiti che avevano evangelizzato l’America latina. Ma è
interessante notare l’aspetto di crescita della consapevolezza morale
attraverso la notazione permanente dei peccati commessi: la consuetudine, oltre
a scongiurare il rischio di dimenticanza, accresceva la coscienza morale di sé
stessi.
In
conclusione, sebbene quei popoli antichi mancassero di una scrittura alfabetica
e del supporto allo sviluppo e all’esercizio cognitivo che questa rappresenta,
erano sicuramente sollecitati a compiere esercizi di inferenza, associazione e
deduzione nell’interpretazione dei loro messaggi sui generis, senza
contare l’impegno creativo di tutti coloro che contribuivano alla realizzazione
di nuovi simboli e alla scelta di criteri per superare le inevitabili
ambiguità, dovute alla multi-significatività degli oggetti e dei prototipi di
riferimento. [BM&L-Italia, novembre 2025].
Notule
BM&L-15 novembre 2025
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Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Cfr. Garcilaso de la Vega, Commentarios reales,
Madrid 1723.
[2] Giorgio R. Cardona, Storia
Universale della Scrittura, p. 249, CDE su licenza Mondadori, Milano 1986.
[3] L’uso del quipu per le
registrazioni contabili era prevalente, al punto che il suo nome era tradotto “cuenta” o “manera de cuenta”
dagli storici spagnoli del tempo (Lope de Atienza, 1570). Nel 1614 il
depositario del sapere necessario all’uso del quipu è chiamato da Waman
Puma “contador”.
[4] I Guaranì o Tupì-Guaranì,
secondo stime federali e di ONG, nel solo Brasile sono circa 55.000. Discendono
da antiche popolazioni del XII secolo a.C., anche se ritrovamenti archeologici
brasiliani di chiara cultura Guaranì risalgono solo al 400 d.C.. Sono distinti
in 3 sottogruppi: Guaranì-Kaiowa, Guaranì-Mbya, Guaranì-Nandeva.
[5] Giorgio R. Cardona, op. cit., p.
249.
[6] José de Torquemada lo attribuisce a nativi messicani e non peruviani, ma
nessuna altra fonte conferma che in Messico si impiegasse questo sistema tipico
del Perù.
[7] Le prime interpretazioni di
pittografie come quelle di San Lucas sono riportate già nel 1956: per dire
“uomo forte” si dipinge una bottiglia di alcool e una figura maschile; donne e
uomini sono rappresentati da sagome nude, mentre la Vergine Maria è resa con
una forma triangolare che rende una veste che scende sotto il ginocchio e, al
posto della testa, ha una croce (D. Ibarra Grasso, La escritura
indigena andina, Annali Lateranensi 12, 113, 1956).