IL BACIO, LA SUA FISIOLOGIA E LA SUA ORIGINE

 

 

(PRIMA PARTE)

 

 

Il termine osculazione, che in geometria indica il contatto di due curve in un punto determinato, è stato impiegato per designare scientificamente l’atto del baciarsi reciproco; l’esigenza di disporre di uno specifico vocabolo nasce dallo sviluppo della ricerca in questo settore, che promette risultati interessanti non solo in funzione della fisiologia della riproduzione, ma anche dello studio dei processi che intervengono nel formarsi dei legami affettivi.  

Durante il bacio che caratterizza le effusioni più intime di una coppia, intervengono cinque paia di nervi cranici per veicolare al cervello informazioni riguardanti movimenti, temperatura, sapori e odori provenienti da labbra, lingua, guance e naso. Gli eventi fisiologici innescati da questo atto reciproco sono molteplici e non si limitano alla registrazione ed alla elaborazione di sensazioni di base, ma implicano l’attivazione di patterns neurochimici e neuroendocrini specifici, caratterizzati dalla partecipazione dei “sistemi a ricompensa” e di sistemi di segnalazione col ruolo di modulatori della motivazione, dello stress, del legame sociale e della stimolazione sessuale.

Lo studio di questi processi è solo agli inizi ed occorrerà molto tempo perché la sperimentazione ci consenta di comprendere in dettaglio come un bacio possa evocare sentimenti, intense emozioni, reazioni fisiche e modificazioni dell’assetto funzionale neuroimmunologico, tuttavia sono già state acquisite nozioni interessanti e degne di nota anche per i cultori di branche delle neuroscienze apparentemente lontane.

Nel novembre 2007, al meeting annuale della Society for Neuroscience, Wendy Hill e la sua allieva Carey Wilson del Lafayette College, hanno presentato uno studio delle variazioni dei livelli di ossitocina e cortisolo indotte dal baciarsi o dal parlarsi tenendosi per mano (Chip Walters, Affairs of the lips. Sci. Am. Mind 19 (1): 24-29, 2008)[1].

L’ossitocina, ormone dell’ipofisi posteriore e neuropeptide che agisce da mediatore sinaptico, con un ruolo ben noto in eventi della fisiologia riproduttiva quali il parto e l’orgasmo di entrambi i sessi, è stata implicata in processi cerebrali necessari per il riconoscimento sociale e lo stabilirsi di legami fra individui della stessa specie.

Il cortisolo, ormone dello stress i cui livelli ematici si innalzano notevolmente in tutte le situazioni di allarme, può ritenersi un indicatore generico o aspecifico di uno stato di allerta, che riflette un pattern funzionale opposto a quello attivo nel corso di effusioni affettuose ed erotiche.

La ratio dello studio, condotto su 15 coppie di fidanzati, studenti di un college, si è basata sul confronto dell’effetto prodotto dal bacio con quello prodotto da una condizione di comunicazione confidenziale in un atteggiamento che implica un contatto fisico; naturalmente i rilievi relativi ad entrambe le modalità di interazione sono stati rapportati ai livelli fisiologici degli ormoni in assenza di stimoli.

Sulla base della sperimentazione animale e di altre osservazioni condotte in ambito umano, Hill e Wilson si attendevano che il bacio causasse un netto aumento dell’ossitocina (da confrontarsi con quello presumibilmente indotto dal parlarsi tenendosi per mano) verosimilmente più pronunciato nelle ragazze, perché queste avevano riferito un grado di intimità maggiore nel loro vissuto del rapporto di coppia. Inoltre, si prevedeva una caduta dei tassi di cortisolo, come accade negli stati e nelle esperienze che inducono calma, serenità e rilassamento.

Contrariamente alle previsioni, i livelli di ossitocina si sono innalzati solo nei ragazzi, mentre nelle ragazze sono calati notevolmente, sia dopo il bacio, sia dopo aver parlato mano nella mano.

L’interpretazione di questi risultati è difficile, e quella fornita dagli autori del lavoro desta non poche perplessità: secondo loro le donne richiederebbero più di un bacio per sentirsi emotivamente o sessualmente partecipi e, magari, un’atmosfera più romantica di quella data dall’ambiente sperimentale. Tale interpretazione accredita l’ossitocina del ruolo di indicatore affidabile in entrambi i sessi degli stati affettivi che si vogliono esplorare, e non tiene conto della possibilità che esistano profili biochimici diversi nei due sessi per la mediazione delle stesse risposte, come accade per altre funzioni.

Il merito del lavoro di Hill e Wilson consiste nell’aver aperto una via per gli studi volti ad accertare i correlati funzionali specifici del bacio; infatti, per la difficoltà di studiare in forma separata questo atto reciproco, fino ad ora gli si è attribuita la neurofisiologia e la biochimica di processi rilevati nello stato mentale dell’innamoramento, dell’amore o dell’attrazione fisica. Ad esempio, lo studio condotto nel 2005 dall’antropologa Helen Fisher, in collaborazione con ricercatori esperti di diagnostica per immagini, ha di fatto rilevato mediante risonanza magnetica funzionale le risposte cerebrali di 17 volontari (10 donne e 7 uomini) alla vista di persone per le quali provavano amore profondo, ma viene regolarmente citato a proposito della fisiologia del bacio[2].

Lo studio è senz’altro interessante e rivela un’intensa attività nell’area tegmentale ventrale, nel nucleo caudato, nell’insula, nel putamen e nel pallido, ossia aree appartenenti al network che governa piacere, motivazione e ricompensa[3]. Poiché questo sottosistema nella sua componente dopaminergica è notoriamente attivo nel piacere compulsivo ed è studiato da decenni in relazione agli effetti della cocaina e di altri psicotropi stimolanti, si è ipotizzato che nell’attaccamento affettivo operi un sostrato funzionale simile a quello artificialmente attivato e danneggiato dalle droghe.

Se nel bacio si attivano le stesse aree e se il desiderio di ripetere l’esperienza adotti le stesse vie è, però, ancora tutto da dimostrare.

 Gli effetti fisiologici bene accertati di questa effusione reciproca includono aumento della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, della profondità del respiro, del diametro pupillare e di altri parametri della funzione ortosimpatica, mentre si verifica un re-setting cognitivo-emozionale molto interessante: ritiro del pensiero razionale, diminuzione della prudenza e dell’autocoscienza, effetto rasserenante in contrasto con l’apparente attivazione adrenergica e nor-adrenergica. Questa caratterizzazione fisiologica può essere messa in relazione con cambiamenti ed adattamenti volti a preparare una condizione di comunicazione molecolare che, verosimilmente, si svolge al livello genetico. Ma, prima di addentrarci in questi affascinanti argomenti, sarà necessario esaminare ciò che si conosce dell’origine filogenetica e del significato biologico del bacio.

 

[Continua]

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e i colleghi del Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Nicole Cardon

BM&L-Marzo 2008

www.brainmindlife.org

 



[1] Il lavoro era parte della “senior honor thesis” con la quale la Wilson ha ottenuto nel maggio del 2007 il suo B.S. in neuroscienze. Il progetto di ricerca, dal pittoresco titolo “A kiss is Worth a Thousand Words”, è stato condotto sotto la guida di Wendy Hill ed ha esplorato i processi fisiologici associati al baciarsi e alla comunicazione biologica mediata da ormoni e ferormoni.  

[2] Si veda alla pagina 27 di Chip Walters, Affairs of the lips. Sci. Am. Mind 19 (1): 24-29, 2008.

L’antropologa Helen Fisher si è occupata a lungo di rapporti fra biologia e comportamento nell’amore, dedicando una parte considerevole dei suoi scritti alle basi biochimiche dei sentimenti, pur non avendo alcuna preparazione in questo campo e, pertanto, proponendo una divulgazione rozza ed approssimativa che risente di errori di impostazione vecchi di una quarantina d’anni, come l’attribuzione ad un singolo neuromediatore di funzioni complesse, frutto dell’interazione di sistemi neuronici costituiti da milioni di cellule comunicanti con svariati mediatori, oppure di strane invenzioni come affermare che esistano almeno 12 serotonine diverse! (si può ipotizzare che qualcuno le abbia parlato dei numerosi recettori della serotonina e lei abbia “tradotto” così…). Per farsi un’idea di come la Fisher, annoverata spesso fra gli esperti più autorevoli di antropologia biologica degli USA, tratti questi argomenti neurochimici – a quanto pare senza mai aver nemmeno sfogliato il primo capitolo di un manuale di questa disciplina –  si può leggere un suo best-seller: Helen Fisher, Why We Love. The Nature and Chemistry of Romantic Love. Henry Holt & Co., New York 2004.

Per fortuna, negli studi del cervello mediante risonanza magnetica funzionale, come quello qui citato, la sua partecipazione va poco oltre il sostegno morale del progetto e, pertanto, la possibilità che la sua fantasia divulgatrice interferisca con i risultati è molto limitata.

 

[3] Aron A., Fisher H., Mashek D.J., Strong G., Li H., Brown L. L. Reward, motivation, and emotion systems associated with early-stage intense romantic love. J Neurophysiol. 94 (1): 327-337, 2005.

Sullo stesso argomento gli autori avevano presentato un poster all’Annual Meeting of the Society for Neuroscience del 2003: Fisher H., Aron A., Mashek D.J., Strong G., Li H., Brown L. L. Early stage intense romantic love activates cortical-basal-ganglia reward/motivation, emotion and attention systems […]. New Orleans, 11 novembre 2003.