CELLULE DEL FETO
ENTRANO NEL CERVELLO DELLA MADRE
E’ noto da anni che cellule fetali possano entrare nel
sangue materno e, nella specie umana, rimanervi almeno 27 anni dopo che è stato
partorito il bambino, ma fino ad oggi non si sapeva che potessero attraversare
la barriera emato-encefalica e svilupparsi nel sistema nervoso centrale della
madre.
La scoperta è avvenuta nel corso di una ricerca condotta da
Gavin S. Dawe della National University of Singapore e Zhi-Cheng Xiao del
Singapore General Hospital in collaborazione con colleghi cinesi e giapponesi,
nell’ambito di un progetto finalizzato alla ricerca di nuove terapie per il
danno cerebrale da incidente vascolare e da malattie neurodegenerative come
l’Alzheimer e il Parkinson. Il resoconto del lavoro, pubblicato su Stem
Cells (Xiao Wei-Tan et al Fetal
Microchimerism in the maternal Mouse Brain: A Novel Population of Fetal
Progenitors or Stem Cells Able to Cross the Blood-Brain Barrier? Stem Cells
23 (10), 1443-1452, 2005) è stato
presentato ai ricercatori americani da Charles Q. Choi ed ha stimolato, tra i
soci di BM&L-Italia, un’interessante discussione sul significato
filogenetico ed ontogenetico di questo fenomeno biologico.
Gli esperimenti sono stati condotti nei topi facendo
accoppiare femmine normali con maschi geneticamente modificati perché
esprimessero uniformemente una proteina fluorescente verde. In tal modo era
possibile distinguere nella madre le cellule di provenienza fetale, perché
marcate dalla fluorescenza verde.
Le cellule fetali rinvenute nel cervello della madre variavano
in numero assoluto nei singoli animali e nelle diverse regioni cerebrali
esaminate, con un rapporto che andava da 1/1000 a 10/1000 (1%). Le potenzialità
differenziative di queste cellule sono prossime a quelle degli elementi totipotenti
embrionari, perciò non stupisce che si siano differenziate in vari tipi di
neuroni e cellule gliali. Quattro settimane dopo il parto sulle base di
caratteristiche di localizzazione, morfologiche ed immunocitochimiche sono
stati riconosciuti neuroni, astrociti, oligodendrociti e macrofagi
perivascolari. Per la distinzione fra cellule di origine fetale e cellule
materne, gli autori si sono avvalsi anche della PCR quantitativa in real-time
per la zona determinante il sesso del cromosoma Y.
Inducendo un danno chimico nel cervello delle topoline, le
cellule fetali che raggiungevano le aree cerebrali lese erano circa sei volte
più numerose della media normale. Questo dato suggerisce che la migrazione
possa essere indotta da molecole agenti da segnale di distress prodotte
dal tessuto nervoso danneggiato.
Il meccanismo che consente alle cellule provenienti dal prodotto del concepimento di superare la barriera emato-encefalica non è noto, anche se gli autori hanno formulato delle ipotesi sul ruolo di molecole di superficie, da verificare in una prossima ricerca. Se questo meccanismo sarà chiarito e la barriera emato-encefalica in animali non gravidi non si rivelerà tanto diversa da quella delle topoline degli esperimenti di Singapore, si potranno nutrire buone speranze per la messa a punto di terapie del danno cerebrale basate sull’iniezione intra-venosa di precursori o cellule stem.
E’ biologicamente ovvio, ragionando ex-post, che una
straordinaria riserva di energia e materiale biologico prodotta dalla madre stessa,
quale è il feto, possa costituire una risorsa per il corpo generante e,
particolarmente, per il suo organo più importante. E’ facile, quando la
scoperta è avvenuta, riconoscere alla sua base quella logica economica ed
adattativa che caratterizza l’equilibrio funzionale fra i sistemi di un
organismo e ne garantisce il successo nei suoi rapporti con l’ambiente. Il
sistema madre-feto si comporta come un organismo unico, perciò non sorprende
che dal prodotto del concepimento giungano alla madre cellule in grado di
riparare danni cerebrali, rimpiazzando glia e neuroni distrutti e fagocitando
detriti tossici e microrganismi eventualmente presenti. Tuttavia, i meccanismi
che rendono possibili questi eventi sono tutt’altro che evidenti e facili da
individuare, perciò il superamento selettivo della barriera emato-encefalica e
l’entrata in funzione del sistema di segnalazione in grado di attirare i precursori
fetali nelle aree patologiche, costituiranno due grandi sfide per la ricerca
dei prossimi anni.