PROGRESSI PER IL COMA AD OCCHI APERTI

 

 

Il coma seguito ad un danno cerebrale può risolversi rapidamente o portare a morte entro 2-5 settimane, più raramente il paziente si risveglia e riacquista i suoi cicli sonno/veglia, ma non è cosciente ed attivo, configurandosi quello che si definisce stato vegetativo. In questo stato di incoscienza alcuni tengono gli occhi aperti durante la veglia, altri prevalentemente chiusi, aprendoli solo per riflessi come quelli evocati dalla parola udita o dall’essere toccati.

In molti casi i pazienti in stato vegetativo riacquistano la coscienza entro le prime quattro settimane, spesso attraversando uno stato di minima coscienza; se ciò non accade, le probabilità di recupero diminuiscono drasticamente e, dopo un mese, si deve porre diagnosi di stato vegetativo permanente. In queste condizioni la probabilità di reversione è pressoché inversamente proporzionale alla durata dello stato in cui si trova il paziente.

Le metodiche più promettenti per lo studio dei pazienti in stato vegetativo sono quelle basate sulle immagini funzionali dell’attività cerebrale. A lungo le ricerche di tipo clinico sulla fisiologia cerebrale dello stato vegetativo sono state dominate dalla tomografia ad emissione di positroni (PET), che già alla fine degli anni Ottanta consentì ad un gruppo guidato da Fred Plum della Cornell University di rilevare la riduzione del metabolismo encefalico del glucosio alla metà dei valori medi normali.

Nicholas Schiff, anche lui della Cornell, fu il primo ad impiegare la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per lo studio di pazienti in stato di minima coscienza, nei quali rilevò che le reti neuroniche per il linguaggio verbale si attivavano all’ascolto di una voce familiare che leggeva una storia con un particolare significato personale per l’ammalato. L’ascolto della registrazione in senso inverso continuava a stimolare i circuiti neuronici dei soggetti di controllo in buona salute, ma non produceva alcun effetto nelle persone in stato di coscienza minima.

Negli anni recenti la fMRI è diventata la metodica di riferimento per questi studi, e in numerose ricerche è stata impiegata per studiare le differenze nell’attivazione cerebrale fra stimoli dotati di potere evocativo emozionale e stimoli acustici privi di significato. Ad esempio, nei pazienti minimamente coscienti, la scansione di immagini fMRI durante l’ascolto del proprio nome o del pianto di un bambino ha mostrato un’attivazione più estesa di quella prodotta da un semplice rumore (Steven Laureys et al., 2004).

Questi risultati hanno suggerito la possibilità di elaborare uno strumento diagnostico per definire lo stato in cui si trova il cervello di un paziente in fisiologia vegetativa, al fine di prevederne l’evoluzione e favorirne il risveglio con adeguati stimoli. A questo progetto lavorano i neurologi dell’Università di Liegi guidati da Steven Laureys e i collaboratori di Adrian Owen all’Università di Cambridge.

Un caso eccezionale, ancora allo studio, ha recentemente fornito nuovi dati sulle potenzialità del cervello in stato vegetativo, inducendo la comunità medica internazionale a rivedere alcune nozioni classiche ritenute da tempo acquisite. Vediamo, in sintesi, gli aspetti più rilevanti.

Una ragazza di 23 anni, a seguito di un incidente automobilistico, aveva riportato un’estesa lesione traumatica frontale con conseguente coma, evolutosi dopo poco più di una settimana in stato vegetativo: la giovane aveva aperto spontaneamente gli occhi ma, da allora e fino ad oggi, non ha mai risposto a richieste verbali o reagito coscientemente a stimoli non verbali. Venuta all’attenzione di Adrian Owen e Melanie Boly, collaboratrice di Laureys, è stata studiata mediante fMRI a cinque mesi di distanza dall’incidente (Steven Laureys, Eyes Open, Brain Shut. Sci Am. 296 (5): 66-71, 2007).

Durante la scansione delle immagini funzionali del suo cervello, le sono state proposte delle registrazioni di frasi come questa: “Nel suo caffè c’era zucchero e latte”. Alle frasi faceva riscontro l’esecuzione di suoni senza senso, ma acusticamente corrispondenti alle modulazioni della voce. Alla stessa procedura sono state sottoposte persone in buona salute che fungevano da soggetti di controllo.

L’ascolto delle frasi e non quello delle frequenze non-verbali, generava nel suo cervello un pattern di attivazione delle circonvoluzioni temporali superiore e media identico a quello corrispondente all’ascolto cosciente nei soggetti sani di controllo.

Nella circonvoluzione temporale superiore ha sede l’area acustica primaria (area 41) e nel giro immediatamente sottostante sono localizzati circuiti neuronici che intervengono nell’elaborazione uditiva dello stato di veglia; precedenti studi con metodiche di neuroimmagine funzionale hanno dimostrato l’importanza di queste aree corticali nella comprensione del discorso e del significato di singole parole.

Si è ipotizzato che in quel cervello in stato vegetativo avessero luogo processi di elaborazione linguistica cosciente (si veda: Adrian M. Owen, Martin R. Coleman, Melanie Boly, Mattew H. Davis, Steven Laureys and John D. Pickard, Detecting Awareness in the Vegetative State. Science 313, 1402, 2006).

A questa ipotesi si può obiettare che lo stato cosciente è la condizione in cui normalmente gestiamo la comunicazione verbale, ma la maggior parte dei processi che ci assiste nella produzione del nostro eloquio e nell’ascolto di quello altrui, è costituito da procedure automatiche. Infatti, il confronto con altri studi del cervello mediante fMRI, ha dimostrato che simili schemi di attivazione si possono talora riscontrare durante il sonno e perfino in anestesia generale.

I ricercatori hanno allora definito il protocollo per una nuova sperimentazione allo scopo di accertare se la risposta cerebrale della paziente potesse in qualche modo appartenere all’ordine dei processi mentali consapevoli, ossia se vi fosse una trasmissione di senso attraverso le parole ed una conseguente comprensione del significato da parte della ragazza.

A questo scopo si è deciso di farle delle richieste simili a quelle che si rivolgono a persone in stato ipnotico o in profondo rilassamento mentale. Lo scopo era quello di sollecitare un’eventuale esecuzione della richiesta attraverso l’immaginazione; una risposta che, anche se non ritenuta possibile sulla base delle attuali conoscenze, avrebbe avuto qualche possibilità di attuazione.

Quando le si è chiesto di immaginare di giocare a tennis, la fMRI ha mostrato l’attivazione dell’area motoria supplementare -una regione in cui si ritiene avvenga la programmazione del movimento- secondo un pattern di attività identico a quello dei soggetti normali in stato di veglia. Allora le si è chiesto di immaginare di andare in giro per le stanze di casa sua: una tale prestazione mentale attiva una rete complessa e caratteristica di aree che includono parti della corteccia premotoria, parietale e paraippocampale. A questo complesso di gruppi neuronici attivi nella perlustrazione o quando si va a passeggio seguendo delle mete definite, si dà convenzionalmente il nome di navigation network.

La risposta del cervello della ragazza è stata identica a quella dei soggetti di controllo con attivazione dello stesso pattern di navigation network.

Questi risultati, così apertamente in contrasto con i principi della definizione neurologica di stato vegetativo, hanno portato gli autori dello studio ed altri osservatori esperti ad ipotizzare un errore diagnostico. Si è deciso, perciò, di procedere ad una rivalutazione accurata di tutti i parametri.

Gli esami da parte di specialisti indipendenti hanno rilevato che gli occhi della giovane potevano brevemente fissare un oggetto. Un tale riscontro, sebbene sia raro, è già stato segnalato in pazienti la cui diagnosi per altri aspetti non poteva essere messa in dubbio; tuttavia, trattandosi di un segno atipico, si è ritenuto opportuno procedere ad ulteriori approfondimenti.

Dai vari esami si è ottenuta conferma della presenza di uno stato vegetativo all’epoca del primo studio, ma si è deciso di verificare se non vi fosse stata una transizione in uno stato di coscienza minima.

Sei mesi dopo l’ultimo studio, la paziente è risultata in grado di fissare gli occhi su un oggetto per una durata maggiore di 5 secondi (fissazione sostenuta) e seguire la propria immagine allo specchio. Questi segni indicano la transizione in uno stato mentale minimamente conscio, secondo i criteri della semeiotica neurologica della coscienza.

Attualmente la paziente sembra persistere in uno stato di consapevolezza minima, talvolta obbedendo a dei comandi, ma rimanendo ancora del tutto incapace di comunicare.

Come si è osservato all’inizio, la diagnosi di stato vegetativo permanente va posta già dopo un mese, e non si riteneva, prima di questo caso, che fosse possibile una transizione verso uno stato di minima coscienza dopo un tempo così lungo.

E’ difficile, se non impossibile, dire quanto di questa evoluzione sia da attribuire alle caratteristiche specifiche del trauma cerebrale subito dalla ragazza, e quanto sia da ascrivere alle sollecitazioni che ha ricevuto durante gli esperimenti. Per certo, la stima delle possibilità di un suo recupero funzionale è attualmente del 20%.

Adrian Owen e i suoi collaboratori stanno mettendo a punto un protocollo per parlare ai pazienti in stato vegetativo nel modo più efficace possibile. Fra le ambizioni del gruppo di Oxford c’è quella di giungere ad un modo per ottenere indirettamente un “si” od un “no” a delle domande (Karen Schrock, Freeing a Locked-In Mind. Sci Am. MIND 18 (2): 40-47, 2007).

Sebbene sia ancora presto per dire quando sarà possibile giungere ad una terapia che favorisca l’uscita dallo stato di coma ad occhi aperti, si può certamente affermare che questi risultati hanno aperto una breccia di speranza nel muro dell’irreversibilità.

 

La nota sintetizza una relazione che l’autrice ha realizzato in collaborazione con Giuseppe Perrella. Per la revisione del testo in italiano si ringrazia Isabella Floriani.

 

Diane Richmond

BM&L-Giugno 2007

www.brainmindlife.org