BM&L-ITALIA: LA CORTECCIA CEREBRALE AGGIORNAMENTO

 

 

FIRENZE, OTTOBRE-DICEMBRE 2009

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

 

Saluto del Professore Giovanni Rossi. Contrariamente al solito, in questo aggiornamento la scheda introduttiva non ha un suo titolo ed un suo testo, perché ho ritenuto la relazione che il presidente ha tenuto con la professoressa Cardon la migliore introduzione ai nostri lavori. Voglio solo aggiungere che auspico, per un argomento così interessante, journal clubs e seminari più frequenti, magari in sedi più idonee ad una partecipazione più estesa. Buon lavoro!

 

LA CORTECCIA CEREBRALE

ORIGINI E CONSEGUENZE DELLA SUA CONFIGURAZIONE

 

 

Fin dall’antichità la superficie del cervello ha incuriosito ed affascinato gli osservatori per il suo aspetto complesso, dovuto al regolare ripiegamento della parte più esterna della sua struttura: il manto corticale o corteccia cerebrale. Alcune intuizioni sulle funzioni di questa estensione liscia e allo stesso tempo convoluta di materia grigia, si possono reperire già nel cosiddetto “Papiro Chirurgico di Edwin Smith”, databile intorno al 3000 a. C.; ma solo negli ultimi due secoli la parte più affascinante dell’encefalo è stata messa direttamente in relazione con l’elaborazione di alto livello della percezione, delle azioni, della cognizione, del linguaggio, dei sentimenti, e soltanto negli ultimi decenni la si è studiata come sede della coscienza.

Gli studiosi di neuroanatomia hanno compreso da tempo che il complesso disegno caratterizzato da sporgenze e rientranze è dovuto alla costrizione nello spazio del neurocranio di un tessuto specializzato che, qualora fosse disteso, occuperebbe una superficie tre volte più grande di quella di cui dispone; tuttavia, gli eventi causali che determinano il formarsi delle circonvoluzioni, sono rimasti fino ad oggi ignoti.

In termini evoluzionistici sembra che il ripiegamento sia stato la conseguenza obbligata  di un’espansione rapida e di gran lunga eccedente la possibilità di aumento di volume della scatola cranica. Ricordiamo che il biologo J. B. S. Haldane per primo notò che lo straordinario incremento di dimensioni del cervello umano è la più rapida trasformazione evolutiva descritta in biologia. Infatti, l’evoluzione da Australopithecus a Homo habilis e quella da Homo habilis a Homo sapiens, si stima che siano avvenute in un arco di tempo che va da 1 milione a 1 milione e 250.000 anni, ossia da 75.000 a 125.000 generazioni[1]. L’esplosivo aumento delle dimensioni encefaliche nei nostri progenitori è in gran parte da attribuirsi all’espansione della corteccia cerebrale per ragioni che rimangono ignote, nonostante il fiorire di numerose ipotesi e teorie non prive di fondamento[2]. 

Gli studi di anatomia descrittiva del passato avevano riconosciuto e caratterizzato delle costanti morfologiche che hanno suggerito ai ricercatori dei nostri giorni un’importante traccia: il ripiegamento non è casuale, ma forma un disegno con una sua definizione globale derivante da necessità biologiche e vincoli comuni[3]. Se è vero che questa configurazione si è consolidata in un programma genetico, è pur vero che non si può sottovalutare il ruolo delle componenti epigenetiche nel corso dell’evoluzione.

Recenti scoperte hanno dimostrato che la tensione meccanica fra neuroni crea le condizioni perché alcune parti siano attratte verso la profondità ed altre spinte a sollevarsi verso l’alto. E’ anche emerso che una rete di fibre nervose esercita una trazione sulla plastica struttura del manto corticale in formazione durante l’embriogenesi, di fatto determinandone l’iniziale plicatura. Sembra che questa stessa rete, nel corso della vita, assicuri il mantenimento della configurazione definitiva e si ritiene che alterazioni di tale network strutturale, sia per patologie dello sviluppo che per disturbi acquisiti nell’età adulta, possano avere conseguenze sulla forma del cervello e sulla comunicazione fra cellule.

La conoscenza dei processi che determinano la morfogenesi macroscopica del manto corticale non si limita a soddisfare una pura curiosità anatomica, ma promette di fornire strumenti utili per la comprensione di alcuni aspetti di patologie quali l’autismo e gli altri disturbi pervasivi dello sviluppo.

Riteniamo utile fornire una breve sintesi di nozioni anatomo-funzionali di base sulla corteccia cerebrale umana, prima di riferire circa gli aspetti più interessanti degli studi che hanno consentito di comprendere come le forze meccaniche derivanti dallo stabilirsi delle connessioni fra aree diverse durante lo sviluppo intrauterino, siano in grado di modellare progressivamente la superficie del cervello.

 

1. LA CORTECCIA CEREBRALE IN SINTESI. La parte più esterna dei lobi del telencefalo è costituita da un tessuto specializzato che prende il nome di corteccia cerebrale, manto o mantello corticale o pallium. All’osservazione anatomica, asportata l’aracnoide[4], il pallio del nostro cervello appare ricoperto dalla pia meninge che si presenta come un foglietto di tessuto molle, semitrasparente, vascolarizzato ed aderente al tessuto nervoso.

L’aspetto caratteristico è conferito dalla presenza di solchi che circoscrivono rilievi detti circonvoluzioni o giri[5], riscontrabili nel cervello dei mammiferi più evoluti o girencefali, e assenti in quelli meno evoluti o lissencefali. Nel nostro telencefalo alcune circonvoluzioni sono costanti[6]. Altre, più variabili, si definiscono nel modo seguente: quando rendono più estesi e irregolari i giri principali prendono il nome di pieghe di complicazione; quando invece formano ponti di passaggio fra formazioni vicine, se uniscono giri adiacenti, sono dette pieghe anastomotiche o di comunicazione (Broca), se si estendono da un lobo all’altro, sono dette pieghe di passaggio (Gratiolet).

La ripartizione in lobi del cervello è data dall’organizzazione del manto in solchi, in passato definiti scissure[7]: 1) solco laterale o scissura di Silvio[8], 2) solco centrale o scissura di Rolando[9], 3) solco parieto-occipitale e 4) solco del cingolo, che delimita il lobo limbico ed è visibile sulla faccia mediale degli emisferi. A questi solchi principali se ne aggiungono altri che si rinvengono sulle facce inferiori e interne dei due emisferi. Per quanto riguarda i giri principali costantemente presenti in ogni cervello, sulla superficie telencefalica esterna si possono riconoscere quattro circonvoluzioni nel lobo frontale e tre in ciascuno dei lobi parietale, temporale e occipitale.

 

1.1. Spessore, superficie e volume. Lo spessore massimo in molti studi corrisponde a 4,5 mm, mentre quello minimo supera di poco il millimetro. Nel cervello senile sono stati rilevati anche dati più bassi. Per molti calcoli relativi alla densità cellulare si adotta un valore di spessore teorico medio di 2,5 mm. Concettualmente è importante sottolineare che lo spessore è il portato della forma di organizzazione morfo-funzionale, pertanto non è proporzionale al peso ed alla massa corporea della specie animale; infatti la corteccia cerebrale dell’elefante è solo quattro volte più spessa di quella del topo, mentre il peso del pachiderma è tremila volte quello del roditore.

L’estensione della superficie è 220.000 mm2, dei quali 75.000 corrispondono alla superficie libera della circonvoluzioni e 145.000 ai versanti e al fondo dei solchi. Il volume della corteccia negli studi tradizionali su popolazioni europee è stimato in 560 cm3, corrispondenti a un peso di 581 grammi; i dati della fonte più autorevole e recente (Mai, Assheuer e Paxinos) sono un po’ più alti: il volume a fresco della corteccia dell’emisfero sinistro è risultato 303 cm3 e quello del destro 297, per un totale di 600 cm3 (da un volume medio cerebrale in toto a fresco di 1316)[10].

 

1.2. Struttura. Nei trattati di anatomia, ai quali si rimanda, è descritta nel dettaglio la citoarchitettonica e la mieloarchitettonica della corteccia con le variazioni in rapporto alla sede topografica (la sottile corteccia polare, la coniocorteccia visiva dell’area calcarina, ecc. ), qui ci limitiamo a qualche cenno sulla morfologia stratificata e sull’organizzazione.

Si riconoscono sei strati (o lamine) nella corteccia cerebrale umana nel suo tipo fondamentale o prevalente[11] detto corteccia omotipica.

1)      Primo strato o strato molecolare.

2)      Secondo strato o strato granulare esterno (o dei granuli esterni).

3)      Terzo strato o strato delle cellule piramidali esterne.

4)      Quarto strato o strato granulare interno (o dei granuli interni).

5)      Quinto strato o strato delle cellule piramidali interne.

6)      Sesto strato o strato delle cellule polimorfe e fusiformi.

 

Sulla base di questa costituzione pluristratificata si rilevano, di tratto in tratto, variazioni degli strati intermedi fra il primo e il sesto (corteccia eterotipica). Tali differenze appaiono ben riconoscibili e circoscritte, costituendo  campi citoarchitettonici diversi in base ai quali Brodmann propose la sua ormai storica classificazione topografica in 48 aree[12], ancora utile in vari campi della ricerca e tuttora impiegata in neurologia e neuropsicologia.

Alcuni dei territori così delimitati, ad esempio le aree motorie e quelle sensoriali primarie, hanno una precisa individualità in termini di connessioni anatomiche e di significato funzionale. Il sistema visivo ci fornisce un esempio in tal senso. L’area visiva primaria detta anche “retina cerebrale” (area 17, corrispondente a V1 della classificazione fisiologica) proietta alla corteccia parastriata (area 18), che a sua volta invia assoni alla corteccia peristriata (area 19). Da qui l’informazione è trasmessa alla regione infratemporale (area 20), che la riverbera al solco temporale superiore, alla corteccia temporale mediale del giro paraippocampale posteriore, e così a varie stazioni del lobo limbico[13]. Un esempio simile a questo ci è fornito dalle connessioni dell’area uditiva primaria (area 41).

La disposizione delle fibre nervose mieliniche all’interno della corteccia segue la ripartizioni in strati con le caratteristiche dell’area, e presenta fibre radiate e fibre tangenziali (plesso tangenziale di Exner, lamina disfibrosa, stria di Kaes, strie esterna ed interna di Baillarger, con la variante occipitale detta stria di Gennari, e la lamina infrastriata).

 

1.2.1. Organizzazione colonnare. Lo studio elettrofisiologico e della connettività dei neuroni corticali ha da tempo rivelato un’organizzazione costituita da moduli verticali che occupano tutto lo spessore della corteccia, con l’asse principale su un piano ortogonale alla superficie piale. Il termine colonna deriva da un’osservazione sperimentale: tutte le cellule incontrate da un microelettrodo che attraversa a tutto spessore il manto corticale, rispondono a un singolo stimolo periferico[14]. Nella corteccia visiva si distinguono pile cellulari di piccolo calibro (50μm) costituite da neuroni che rispondono ad uno stimolo lineare dello stesso orientamento spaziale (verticale, orizzontale, obliquo con varie rotazioni) e sono dette colonne di orientamento; e pile di maggiori dimensioni (500μm) che rispondono prevalentemente agli stimoli percepiti da un occhio (colonne di dominanza oculare).

 

1.3. Microstruttura. Le cellule più importanti, accanto agli elementi gliali, sono i neuroni piramidali, le cellule stellate spinose e numerosi tipi di interneuroni appartenenti a varie tipologie morfologiche (cellule a candeliere, cellule orizzontali, cellule bipolari/fusiformi, ecc.) la cui classificazione, non più basata solo sulla forma, è oggetto di studio e aggiornamenti ratificati da un’apposita commissione.

 

1.4. Connessioni. La corteccia cerebrale propriamente detta, mediante gli assoni dei suoi neuroni ricoperti di guaina mielinica oligodendrocitica, trapassa nella massa di sostanza bianca che costituisce il centro ovale (di Vieussens). Qui i cilindrassi sono organizzati secondo una disposizione costante:

1)      fibre di associazione, che collegano territori corticali di uno stesso emisfero;

2)      fibre commessurali, che uniscono fra loro gli emisferi;

3)      fibre di proiezione, che costituiscono la corona radiata e collegano la corteccia ai centri sottocorticali;

4)      fibre centripete o terminali, che si distribuiscono alla sostanza grigia corticale.

 

Ci soffermiamo brevemente solo sulle fibre di associazione che sono distinte in brevi e lunghe:

a) fibre di associazione brevi. Sono anche dette fibre arcuate di Arnold, fibre ad “U” di Meynert o fibre proprie delle circonvoluzioni. In genere, prendono origine dalla sommità o dai versanti di una circonvoluzione e terminano sulle parti corrispondenti della circonvoluzione vicina, descrivendo un arco o una “U” che circonda il solco interposto. Più raramente saltano uno o più solchi unendo giri non consecutivi.

b) fibre di associazione lunghe. Costituiscono cinque fasci: il cingolo, che appartiene al rinencefalo, il fascicolo uncinato, le fibre di associazione proprie del lobo occipitale, e i fascicoli longitudinali superiore e inferiore.

 

2. COME SI FORMANO LE CIRCONVOLUZIONI. Oggi, quando ci si interroga sull’origine della conformazione del cervello, si è portati a pensare ad omeogeni come Emx1 ed Emx2[15] ma, allo stato attuale delle conoscenze, non troviamo nella genetica la risposta a questa domanda semplice e diretta: come si formano le circonvoluzioni della corteccia cerebrale? Lo studio meccanico di forze che operano durante lo sviluppo sembra fornire elementi  per rispondere esaurientemente al quesito.

E’ interessante notare che tale prospettiva metodologica ha avuto degli antecedenti illustri in Wilhelm His e D’Arcy Thompson. His, celebre anatomista svizzero cui si devono importanti osservazioni e scoperte, verso la fine dell’Ottocento sostenne che il cervello si sviluppa secondo una sequenza di eventi guidati da forze fisiche. Thompson, studioso britannico che si occupò di morfogenesi, dimostrò che la forma di molte strutture, biologiche e inanimate, è il prodotto di processi di auto-organizzazione fisica.

Quasi un secolo dopo, le intuizioni di His e le dimostrazioni di Thompson hanno trovato conferma negli studi condotti dal neurobiologo David Van Essen della Washington University a St. Louis (1997)[16], il quale ipotizzò, sulla base di evidenze sperimentali, che le fibre responsabili dell’associazione funzionale delle diverse regioni ed aree della corteccia, sono portatrici di piccole forze di tensione in grado di esercitare un’azione meccanica variabile sui territori connessi. Secondo tale visione, l’aspetto della superficie corticale è un epifenomeno fisico del pattern di connessione intrinseco della corteccia che agisce, durante lo sviluppo, arricciando il tessuto di consistenza gelatinosa costituito dalla glia contenente i pirenofori delle cellule nervose e le altre componenti vasculo-connettivali in formazione.

Si è infatti osservato che la corteccia del feto, liscia e molle nei primi sei mesi di sviluppo, verso la fine del secondo trimestre comincia a solcarsi ripiegandosi e, nelle settimane successive, continua in progressione fino a raggiungere il suo tipico aspetto poco prima della nascita. Schematicamente si può dire che, nel corso delle prime 25 settimane, i neuroblasti embrionari si differenziano e si accrescono inviando gli assoni che formano le connessioni principali fra aree diverse; successivamente, le sinapsi selezionate secondo il piano genetico di sviluppo consolidano la loro adesione creando dei punti di ancoraggio che, all’aumentare del volume per la continua neurogenesi e migrazione delle cellule negli strati corticali, fissano gli assoni principali tendendoli come elastici, fino ad un limite di resistenza della massa cellulare  in formazione, oltre il quale il tessuto si piega. Secondo Van Essen i principali fasci di associazione intracorticali determinano lo schema delle scissure e delle circonvoluzioni principali, al quale si aggiunge il gioco complesso delle forze determinate dalla miriade di connessioni minori che completano il disegno dei giri presente alla nascita.

Questa ricostruzione consente di spiegare così il formarsi di ogni singola piega: due territori prossimi collegati più saldamente per la presenza di un maggior numero di assoni, rimangono vicini durante lo sviluppo e, il loro accrescersi, comprime il volume del complesso cellulare che tende a sporgere formando un rilievo; al contrario, due aree contigue le cui connessioni sono in proporzione più deboli, tendono a rimanere più lontane durante l’embriognesi, formando una trama più lassa che non si solleva, generando un avvallamento.

Il modello proposto dal neurobiologo della Washington University, che risulta compatibile con ogni simulazione che calcoli l’entità delle forze in gioco rispetto al complesso delle caratteristiche fisiche del tessuto embrionario cerebrale, non ha sollevato grandi obiezioni, tuttavia è stato negletto da molti perché la sua rispondenza alla realtà non era sostenuta da chiare prove sperimentali.

In questi ultimi anni, grazie a tecniche che consentono di tracciare le vie nervose con elevata precisione, Claus Hilgetag ed Helen Barbas hanno sottoposto a verifica sperimentale le ipotesi di David Van Essen.

 

3. LA VERIFICA DELL’IPOTESI DI VAN ESSEN. Per verificare l’ipotesi secondo cui il sistema di connessioni è responsabile della conformazione esterna degli emisferi, era necessario definire alcune conseguenze anatomiche di questo assunto ed accertarne la presenza nel cervello dei mammiferi. Secondo un semplice modello meccanico, la forza di tensione dei singoli assoni che collegano due territori cerebrali si somma e, pertanto, quanto maggiore è il calibro di un fascio di connessione, tanto più questo dovrebbe tendere ad essere rettilineo. Stabilita questa relazione, Hilgetag e Barbas hanno ritenuto di dover valutare questi elementi: 1) la densità di una connessione, 2) la sua direzione assoluta, ossia il profilo del suo tragitto, e 3) la provenienza  dei suoi cilindrassi.

Queste esigenze erano soddisfatte da una metodica di tracciatura retrograda, che i ricercatori hanno impiegato per lo studio della corteccia di macaco rhesus (Macaca mulatta)[17]: iniettando un colorante in una piccola area corticale, si ha la sua captazione da parte dei terminali assonici ed il successivo trasporto retrogrado lungo l’asse dei neuriti fino al soma cellulare di origine. In tal modo è possibile risalire alle regioni di provenienza dei cilindrassi, alla densità della connessione e all’andamento assunto dalle fibre lungo il loro decorso.

Lo studio ha dimostrato che molte delle principali connessioni studiate, seguivano tragitti rettilinei o lievemente curvi, e quanto più densi risultavano i fascicoli assonici, tanto più apparivano diritti.

Il potere di modellamento delle connessioni, secondo Hilgetag e Barbas, è particolarmente evidente nell’asimmetria fra l’emisfero di destra e quello di sinistra, nelle aree importanti per le funzioni di comunicazione verbale che, estendendosi dal piede della terza circonvoluzione frontale[18] all’area di Wernicke, includono nella compagine sottocorticale il planum temporale[19]. Osservando questa regione, appare evidente che la profondità della scissura di Silvio (o solco laterale) di sinistra è minore di quella di destra. L’asimmetria sarebbe da attribuirsi, secondo i due ricercatori, al maggiore sviluppo del fascicolo arcuato di sinistra, un importante fascio di sostanza bianca cerebrale che collega le aree anteriori e posteriori del linguaggio, passando intorno al solco laterale. Questa via è stata a lungo ritenuta l’unico collegamento fra aree di produzione e recezione della parola e, anche se negli anni recenti si è accertata l’esistenza nell’uomo di una seconda connessione, detta “via indiretta” perché il suo percorso si interrompe (Note e Notizie 08-10-05 Nuove vie e nuove basi neurali del linguaggio), rimane uno dei principali tratti di sostanza bianca telencefalica. Su questa base, in un lavoro pubblicato nel 2006, Hilgetag e Barbas hanno ipotizzato che il fascicolo arcuato di sinistra abbia una densità maggiore di quello di destra.

Numerosi studi condotti con metodiche di neuroimaging hanno confermato l’inferenza deduttiva dei due studiosi, rilevando una compagine più densa nell’emisfero sinistro.

Se l’ipotesi di Van Essen è giusta, il fascicolo arcuato sinistro -almeno in tutte le persone con dominanza cerebrale sinistra- oltre che più denso dovrebbe essere più rettilineo di quello di destra. Un tale riscontro, non ancora attuato, potrà avere un peso decisivo nel confermare il modello basato sulla tensione delle connessioni.

Se gli studi citati sembrano confermare che l’azione meccanica di forze legate ai collegamenti macroscopici del telencefalo determina l’aspetto della corteccia, altri studi forniscono, con un grado di certezza maggiore, la prova di una straordinaria influenza di queste forze sulla morfologia microscopica e perfino su alcuni aspetti della fisiologia neuronica.

 

4. IL MODELLO ISOMETRICO E LA REALTA’ SPERIMENTALE. Come abbiamo ricordato nella descrizione strutturale della corteccia cerebrale, la composizione laminare tipica in sei strati (corteccia omotipica) presenta variazioni area per area, che costituiscono campi citoarchitettonici ai quali si è attribuito un significato funzionale. Le osservazioni microscopiche più recenti confermano molte delle differenze strutturali descritte in passato e collegate al ruolo fisiologico, ad esempio: lo strato di spessore maggiore nelle aree preposte al controllo dei movimenti volontari è il V (cellule piramidali interne), nelle aree sensoriali primarie è il IV (granuli interni), e nelle aree associative è il III (cellule piramidali esterne).

Il ripiegarsi della corteccia nell’embriogenesi modifica lo spessore relativo degli strati, come ci si può facilmente rendere conto provando a piegare in forma di circonvoluzioni un pezzo di spugna basso e largo -come un foglio piuttosto spesso- preventivamente dipinto sulla faccia dell’altezza con sei fasce parallele di colore diverso. In tal modo si può verificare che le strisce colorate superiori, corrispondenti agli strati più esterni delle circonvoluzioni, sono maggiormente stirate e perciò più sottili, mentre quelle inferiori sono meno tese e, conseguentemente, più spesse. Il contrario, naturalmente, accade nei solchi. Ma queste caratteristiche dovute all’azione meccanica delle connessioni, possono spiegare differenze qualitative legate alla quantità di un tipo neuronico posto in una determinata lamina con le sue tipiche connessioni? La risposta di molti ricercatori a questa domanda è negativa, soprattutto per considerazioni che si fondano su un modello isometrico della configurazione corticale.

Tale modello si basa sull’assunto che i programmi embriogenetici, cruciali per le destinazioni morfo-funzionali delle singole sotto-componenti strutturali, prevedano che la migrazione dei nuovi neuroni nelle sedi specifiche, si compia quando l’abbozzo corticale è ancora liscio. Se questo assunto è vero, la variazione degli strati conseguente alla plicatura, che li assottiglia o li espande, non deve interessare il numero totale dei neuroni e, dunque, secondo il modello isometrico le parti più spesse, dove le cellule sono meno compresse, dovrebbero contenere meno neuroni di quelle sottili. Per avere un riscontro visivo di quanto detto, si può prendere un foglio di cellophane, riempirlo di grani e richiuderlo formando un pacchetto basso e molto ampio, che simuli un pallio disteso, poi piegarlo come a formare un giro fra due solchi ed osservare in trasparenza la distribuzione dei grani.

Modelli matematici più sofisticati consentono di realizzare al computer delle suggestive immagini tridimensionali, che rendono tale modello decisamente convincente, tuttavia in molti studi sull’embriogenesi del cervello dei mammiferi, sono emersi elementi che portano a dubitare che la migrazione termini prima che si formino le pieghe.

Hilgetag e Barbas hanno sottoposto a verifica il modello isometrico, ottenendo risultati molto interessanti.

Impiegando preparati di tessuto di corteccia prefrontale di macacus rhesus, i due ricercatori hanno studiato la densità neuronica in campioni significativi di giri e solchi. Il confronto fra gli strati profondi della parte sporgente delle circonvoluzioni e del fondo dei solchi, ha rivelato una densità uguale di cellule nervose. Poiché gli strati in corrispondenza dei giri sono più spessi, questo reperto ci dice che una unità di tessuto proveniente da una circonvoluzione contiene più neuroni di una equivalente prelevata da un solco[20].

E’ evidente che questa scoperta invalida il modello isometrico e, come sostengono gli autori dello studio, suggerisce che le forze fisiche che modellano la superficie del cervello influenzano anche il processo di migrazione neuronica.

Vari studi condotti nel campo della neurobiologia dello sviluppo cerebrale umano sembrano supportare l’idea che le forze fisiche generate dalle connessioni influenzino l’andamento dei flussi di cellule in via di maturazione. Infatti, risulta che la migrazione cellulare nel corso dello sviluppo e l’increspamento dell’abbozzo corticale, non si succedono come processi sequenziali che avvengono in fasi distinte, ma, almeno in parte, sono contemporanei. La coesistenza della migrazione dei neuroblasti e dei movimenti che determinano la morfogenesi delle ondulazioni della sostanza grigia, con conseguenti compressioni e stiramenti delle lamine neuroniche, può certamente influenzare il percorso e la disposizione dei neuroni neonati, particolarmente nelle fasi più avanzate dello sviluppo.

L’entità e le caratteristiche dell’azione meccanica in grado di condizionare la composizione cellulare delle micro-aree corticali, deve ragionevolmente avere effetti anche sul citoscheletro e sulla massa protoplasmatica delle singole cellule. L’osservazione ha infatti rilevato che, negli strati interni dei giri, uno stesso tipo neuronico appare allungato, come se fosse spremuto da una forza che agisce sui due lati, mentre nella profondità dei solchi appare appiattito come se fosse stato stirato orizzontalmente[21].

Lo studio fisico della conformazione di queste cellule ha dimostrato che la loro sagoma è il risultato di un’azione meccanica compatibile con gli eventi che hanno determinato il ripiegamento della corteccia nella loro zona di appartenenza.

Ma è lecito chiedersi: la presenza di questi caratteri morfologici, che rivelano uno schema costante per i neuroni delle circonvoluzioni e dei solchi, ha una ripercussione funzionale?

Simulazioni al computer suggeriscono che le conseguenze dell’azione meccanica del ripiegamento sulla morfologia microscopica hanno anche ripercussioni sulle funzioni delle singole cellule. Infatti, poiché lo spessore corticale è maggiore nelle circonvoluzioni rispetto ai solchi, i dendriti dei neuroni della profondità dei giri costituiscono, per il segnale in entrata, percorsi fino al corpo cellulare molto più lunghi di quelli delle ramificazioni riceventi delle cellule nervose del fondo dei solchi, dove la corteccia è più sottile. La differente estensione del percorso si riflette verosimilmente in una differenza temporale dendriti/soma che dovrebbe condizionare i tempi di scarica secondo un profilo topografico[22].

Questa ed altre differenze desunte dal modello, dovranno essere sottoposte a verifica sperimentale, registrando l’attività elettrica di singoli neuroni corticali nei territori-campione (sommità delle circonvoluzioni, fondo dei solchi, montanti dei giri, ecc.) e confrontando i risultati  di cellule nervose omologhe, conformate diversamente per la loro sede[23].

Nel complesso, questi studi relativi all’influenza delle connessioni sulla morfologia e le funzioni corticali, hanno fornito nuovi elementi alla ricerca sui rapporti fra struttura cerebrale e manifestazioni di patologia, quali le psicosi schizofreniche e l’autismo.

 

5. UN LEGAME CON LA PATOLOGIA. Rispetto ai tentativi pionieristici ed erronei di mettere in relazione la morfologia cerebrale con le funzioni mentali, compiuti nel XIX secolo ed esitati in una pseudoscienza che prese il nome di organologia o frenologia[24], oggi non solo abbiamo una conoscenza molecolare, cellulare e sistemica dell’encefalo che ci pone al riparo da quelle grosse sviste, ma abbiamo anche la possibilità di studiare un numero altissimo di cervelli umani di persone in vita, mediante una metodica poco invasiva e di alta fedeltà anatomica come la risonanza magnetica nucleare.

Poiché è stata più volte rilevata l’esistenza di chiare differenze nel disegno della superficie corticale fra soggetti sani e persone affette da disturbi psichici che si fanno risalire allo sviluppo, si è ipotizzato che la perdita del fisiologico rapporto meccanico fra connessioni e circonvoluzioni, possa avere un ruolo patogenetico.

 

5.1. Schizofrenia e psicosi correlate. La ricerca che esplora questo legame potenziale è ancora nelle sue fasi iniziali, ma un elemento comune è emerso dal lavoro di numerosi gruppi di ricerca in questi ultimi anni: nel suo complesso, il cervello di pazienti diagnosticati di schizofrenia, presenta un numero minore di circonvoluzioni di quello delle persone non affette. L’interpretazione di questo dato rimane però controversa, perché le presunte aberrazioni morfologiche che giustificherebbero un legame fra struttura e funzione alterata, variano enormemente da caso a caso. Ad oggi, sembra che si possa escludere l’esistenza di un’alterazione corticale patognomonica della schizofrenia, ma anche l’esistenza di segni diacritici certi[25]. Con sicurezza si può solo affermare che il cervello degli schizofrenici differisce dal prototipo in cui rientrano tutti i cervelli delle persone non affette da gravi disturbi psichici o da alterazioni dello sviluppo cerebrale.

Al livello microscopico, lo studio delle differenze nelle caratteristiche e nella composizione cellulare degli strati corticali non deve essere sottovalutato, anche se il miglior antecedente di questo genere di correlazioni non riguarda un disturbo psichiatrico, ma una disabilità dell’apprendimento, quale la dislessia. Negli anni Settanta, infatti, il neurologo Albert Galaburda della Harvard Medical School rilevò che i neuroni piramidali, ossia le cellule costituenti il principale sistema di comunicazione della corteccia, nei dislessici risultavano spostati dalla sede che normalmente occupano nelle lamine corticali, proprio in corrispondenza di aree legate al controllo del linguaggio e della funzione uditiva.

L’identificazione di un profilo di alterazione citoarchitettonica della schizofrenia non sembra facile, tuttavia nel cervello degli schizofrenici sono già state documentate delle aberrazioni nella densità neuronica degli strati corticali di vari territori del lobo frontale.

Si può ipotizzare che l’alterata distribuzione dei neuroni corticali precluda lo sviluppo del normale pattern di connessioni e, in tal modo, preceda e condizioni la formazione delle sinapsi anomale ritenute la principale origine delle manifestazioni sintomatologiche.   

 

5.2. Il Disturbo Autistico. Il disturbo pervasivo dello sviluppo indicato come autismo infantile e definito dall’American Psychiatric Association Disturbo Autistico (F84.0 del DSM-IV-TR, corrispondente al 299.00 della classificazione ICD dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), è stato messo da tempo in rapporto con alterazioni delle circonvoluzioni cerebrali. In particolare, nel cervello di coloro che ne sono affetti, alcuni solchi appaiono più profondi e il loro disegno si discosta, sia pur lievemente, da quello fisiologico (Note e Notizie 14-10-03 Autismo: mappa in 3D dei solchi corticali realizzata per la prima volta). Proprio queste evidenze hanno supportato il progressivo affermarsi di una visione nuova della patogenesi di questa sindrome che, attualmente, è considerata il risultato di un’alterazione delle principali connessioni strutturali. Numerosi studi funzionali del cervello autistico hanno infatti dimostrato una riduzione della comunicazione fra aree distanti ed un’accentuazione dei collegamenti funzionali fra aree prossime.

 

Concludendo questo paragrafo sui rapporti fra morfologia corticale e patologia, pur consapevoli della scarsità di risultati finora ottenuti, vogliamo sottolineare l’importanza di questa angolazione visuale per tutti coloro che studiano il sistema nervoso centrale, soprattutto perché l’attenzione alle strutture ci ricorda che un’alterazione psichica è sempre una disfunzione dei sistemi neuronici, anche se la ricerca molecolare delle cause e lo studio farmacologico dei trattamenti, porta spesso a descrivere, e persino a concepire, i disturbi mentali come semplici squilibri neurochimici[26].

 

6. GENETICA E SVILUPPO AIUTERANNO A TROVARE DELLE RISPOSTE. I cervelli di persone legate da stretti vincoli di parentela, presentano una somiglianza morfologica che consente talora di distinguerli agevolmente da quelli di persone estranee alla famiglia. Questa similarità, che richiama la somiglianza fisionomica e quella di ogni altra espressione fenotipica, denuncia una chiara origine genetica. E’ dunque certo che specifici programmi genetici contengano il piano degli eventi che porta alla definizione delle parti, ma non è ancora noto il modo in cui tale programmazione sia attuata. Si ipotizza che i processi genetici controllino la temporizzazione dello sviluppo della corteccia ma, dopo la nascita delle cellule nervose, la loro migrazione nelle sedi di maturazione e l’interconnessione nei circuiti, entrino in funzione semplici forze fisiche in grado di dare forma al cervello, mediante l’auto-organizzazione delle reti in quell’insieme definito connectoma. Questa combinazione, secondo Hilgetag e Barbas, potrebbe spiegare la costanza con la quale sono presenti le circonvoluzioni principali in tutti i cervelli e la notevole variazione individuale dei giri minori, diversi anche fra gemelli monozigoti[27].

In questa ottica, si attribuisce una notevole importanza a conseguenze ed epifenomeni di quanto è specificato dall’azione dei geni. Tali processi, sviluppandosi simultaneamente, sono verosimilmente interdipendenti nei loro effetti che, pertanto, è difficile ricondurre a semplici fattori causali. Per queste ragioni è probabile che presto si possa giungere a definire il programma genetico che stabilisce la forma e la posizione, ad esempio, delle circonvoluzioni pre-centrale e post-centrale, ma più difficilmente si troverà il motivo della dimensione e della conformazione di specifiche pieghe anastomotiche e di passaggio della corteccia di un singolo individuo. Per quest’ultimo scopo è infatti necessario avere nozioni generali sul peso delle forze in gioco, e poi provare ad applicarle, come si fa con le regole matematiche per la risoluzione di un problema. Alcuni gruppi di ricerca stanno provando a ricavare tali nozioni da modelli computazionali dello sviluppo cerebrale che si basano su una grande quantità di dati descrittivi, e su pochissimi elementi che possano consentire di decifrare la logica dei microprocessi[28]. Perché le simulazioni possano fornire nuovi indizi utili a compiere passi decisivi, dovremmo disporre di dati che ci consentano fini distinzioni tipologiche e temporali nella miriade di processi che collegano le varie aree e strutture corticali in formazione.

Sulla base delle conoscenze attuali, le malformazioni corticali umane sono descritte come disturbi della migrazione dei neuroni (neuronal migration disorders, NMD) e generalmente raggruppate in due classi: lissencefalia e microgiria.

La lissencefalia costituisce un’ampia classe di malformazioni caratterizzate da una superficie emisferica liscia che ricorda quella degli animali lissencefali, con circonvoluzioni scarse o virtualmente assenti. Lo spessore corticale è normale, ma il numero dei neuroni è sensibilmente ridotto. In alcune forme della disgenesia, la proteina LIS-1, espressa nel neuroepitelio ventricolare e responsabile della regolazione dei livelli del messaggero lipidico PAF (platelet activating factor), è mutata. In particolare, nella sindrome di Miller-Dieker,  caratterizzata da lissencefalia classica (tipo 1) e segni facciali tipici, si hanno delezioni contigue in 17p13.3 che interessano LIS1: come questa mutazione si traduca in un difetto di migrazione cellulare non è ancora noto.

Nella polimicrogiria la superficie cerebrale, che appare densamente convoluta, non si discosta molto dal normale, ma la corteccia è estremamente sottile. Si ritiene che in questa disgenesia il numero di unità proliferative e di colonne ontogenetiche sia normale, ma ciascuna colonna contenga un basso numero di neuroni a causa di un tasso ridotto di proliferazione e/o migrazione, o per un aumentato livello di morte cellulare.

Molto c’è ancora da scoprire per poter avviare su basi sicure uno studio che decifri tutti i meccanismi che portano all’organizzazione strutturale della corteccia cerebrale.

In cima alla lista dei desideri dei morfologi dell’evoluzione corticale c’è il poter disporre di una tavola cronologica completa dello sviluppo di tutti i tipi di connessioni. Marcando le cellule nervose di animali, si potrebbe determinare l’esatto momento in cui nel cervello fetale compare una determinata area; cosa che consentirebbe di modificare lo sviluppo dei singoli strati della corteccia o di specifici neuroni, studiandone le conseguenze. Disporre di dati dettagliati e certi sulla sequenza degli eventi che portano alla costituzione dell’organizzazione microscopica della corteccia potrebbe aiutare a comprendere, oltre alle condizioni già citate[29], numerosi disturbi di interesse neurologico[30] e psichiatrico, comprese differenze individuali nella risposta psichica a frustrazioni, traumi, variazioni di parametri fisiologici e malattie generali.

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Aprile 2009/Rev. Ottobre 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE DI AGGIORNAMENTO]

 

 

 

 

 

 

 



[1] Haldane J. B. S., On being the right size. Oxford University Press, London 1986.

Attualmente altri studiosi di paleoantropologia hanno proposto stime numeriche diverse, ma la sostanza rimane invariata.

[2] Vogliamo solo di passaggio fare riferimento a tesi avanzate negli ultimi vent’anni da Peter Wheeler in Gran Bretagna, Konrad Fialkowski in Polonia e Dean Falk negli USA, secondo i quali l’assunzione della stazione eretta, modificando la risposta allo stress da calore solare, avrebbe creato condizioni nel flusso ematico in grado di fare aumentare i neuroni della corteccia che, espansa, sarebbe riuscita a disperdere il calore (fatale per neuroni e glia) agendo da radiatore cerebrale. L’aumento di neuroni, dovuto a questa necessità adattativa, avrebbe preceduto e facilitato lo sviluppo delle funzioni psichiche umane. Accolta inizialmente come una delle tante trovate “eccentriche” in cui ci si imbatte in questo campo, l’ipotesi, suffragata da dati emersi in vari studi, è attualmente accettata da molti.

[3] Come vedremo più avanti, il disegno dei solchi principali e delle principali circonvoluzioni segue uno schema identico in tutti gli individui di una specie, e presenta dei tratti comuni a specie diverse anche filogeneticamente distanti.

[4] La dura meninge o “dura madre” rimane quasi sempre aderente alla teca cranica.

[5] L’International Anatomical Nomenclature Committee o IANC ha scelto da tempo di adottare questo termine (gyrus) per la nomenclatura unificata, tuttavia gli autori italiani conservano l’uso parallelo del termine circonvoluzione, come del resto accade fra gli anatomisti di altri paesi non di lingua inglese.

[6] La loro presenza è fissa e in alcuni casi consente una precisa localizzazione funzionale: si pensi alle circonvoluzioni pre-centrale (motoria) e post-centrale (sensitiva), al piede del giro frontale inferiore dove ha sede l’area 44 di Brodmann o area motoria del linguaggio di Broca, la cui lesione determina afasia motoria pura.

[7] Il termine scissura è stato abolito dall’IANC perché appropriato solo in alcuni casi (ad esempio, nel caso del solco di Rolando e di Silvio).

[8] Separa il lobo frontale e, in parte, il parietale dal lobo temporale; nella sua profondità presenta un opercolo che nasconde l’Insula (Insula di Reil). Fu descritto da Françoise du Bois (italianizzato in Francesco de Le Boe) che scriveva sotto il nome latino di Silvius.

[9] Separa in alto il lobo frontale da quello parietale ed è compreso fra la circonvoluzione pre-centrale caratterizzata dalla rappresentazione somatotopica motoria di tutto il corpo (omuncolo motorio) e la circonvoluzione post-centrale con la rappresentazione sensitiva di tutto il corpo (omuncolo sensitivo).

[10] Mai, Assheuer, Paxinos, Atlas of Human Brain, 2nd edition. Elsevier Academic Press, 2004.

[11] Economo aveva suddiviso la corteccia in 10 strati fra principali e secondari; l’attuale descrizione ricalca ancora la sua impostazione, mentre la classificazione in 7 lamine di Cajal, che caratterizzava gli strati su una distribuzione delle cellule in base alle dimensioni, è stata definitivamente abbandonata perché rivelatasi inesatta.

[12] Il metodo messo a punto da Brodmann fu reso più analitico ed accurato da Economo che suddivise la corteccia in 109 aree.

[13] A questo riferimento morfo-funzionale di base si deve aggiungere che, complessivamente, le aree che partecipano all’elaborazione della percezione visiva sono 32, molte delle quali non presentano una costante configurazione anatomica della localizzazione, pertanto è utile in taluni casi, come ad esempio nello studio della fisiologia della visione, distinguere le aree corticali sulla base del ruolo funzionale (V1, V2, V4, V5, ecc.).  

 

[14] Fenomeno riscontrato per la prima volta nella corteccia somatosensoriale.

[15] Antonio Simeone, lavorando con Edoardo Boncinelli all’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli, nel 1991 isolò nel topo e nell’uomo Emx1, Emx2, Otx1 e Otx2, quattro omeogeni filogeneticamente correlati con ems e otd che controllano lo sviluppo della testa di Drosophila. Emx1 è espresso quasi esclusivamente nella regione della corteccia cerebrale, mentre Emx2 è espresso in una regione proencefalica un po’ più ampia.

[16] David C. Van Essen, A Tension-Based Theory of Morphogenesis and Compact Wiring in the Central Nervous System. Nature 385, 313-318, 1997.

[17] Macaca mulatta è il terzo primate, dopo l’uomo e lo scimpanzé, il cui genoma è stato interamente sequenziato: la somiglianza con la nostra specie è risultata pari al 97,5%, v. Zahn Laura M., et al. A Barrel of Monkey Genes. Science 316 (5822): 215, 2007.

[18] Parte opercolare del giro frontale inferiore o area motrice del linguaggio di Broca (area 44 della mappa di Korbinian Brodmann).

[19] Le aree di sinistra, dove ha sede nella maggior parte delle persone il controllo corticale del linguaggio, sono maggiormente espanse, con la conseguente riduzione dell’ampiezza e della profondità del solco. Questa asimmetria tipicamente umana, già nota ai morfologi del XIX secolo, ha avuto un rigoroso approfondimento anatomico ed un’interpretazione funzionale negli studi di Norman Geschwind (per una sintesi, v. Norman Geschwind, Specialization of the Human Brain, Scientific American, September 1979). Si noti, tuttavia, che il neoconnessionismo col quale Geschwind interpretava la fisiologia cerebrale è stato oggetto di una revisione critica, per la quale si rimanda a un link presente nella nostra nota più avanti citata nel testo (Note e Notizie 08-10-05 Nuove vie e nuove basi neurali del linguaggio).

[20] Hilgetag C. C. & Barbas H., Role of Mechanical Factors in the Morphology of the Primate Cerebral Cortex. PloS Computational Biology 2 (3) e22, March 24, 2006; Hilgetag C. C. & Barbas H., Sculpting the Brain. Scientific American 300 (2), 56-61, 2009.

[21] Vedi referenze della nota precedente.

[22] Si veda p. 59 di Claus Hilgetag & Helen Barbas, Sculpting the Brain, Scientific American 300 (2), 56-61, 2009; e in Hilgetag C. C. & Barbas H., Role of Mechanical Factors in the Morphology of the Primate Cerebral Cortex. PloS Computational Biology 2 (3) e22, March 24, 2006.

[23] Uno studio neurofisiologico di questo genere non è stato ancora compiuto e, a conoscenza di Hilgetag, Barbas e di chi scrive, non è attualmente in corso in alcuno dei laboratori più noti.

[24] Nel 1825 un famoso anatomista, Franz Joseph Gall, pubblicò la sua teoria degli organi mentali che chiamò Organologia – poi ribattezzata Frenologia da Johan Kasper Spurzheim – nella quale si postulava la ripartizione del cervello in un certo numero di organi mentali indipendenti, che corrispondevano ad istinti e facoltà, quali l’istinto di riproduzione, l’amore per la propria progenie, il senso del linguaggio, il gusto per le risse e i combattimenti, ecc. (Vedi “Alfred Binet e l’eredità di Gall”, relazione su neurobiologia e neuropsicologia del senso dei numeri, tenuta da Giuseppe Perrella al “Cognitive Science Club” il 22 settembre 2002, e rielaborata per il “Seminario sul senso dei numeri” della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia nel marzo 2003. Il testo è a disposizione dei soci per la consultazione).

[25] Questo dato sembra concordare con l’insegnamento della nostra scuola che, facendo propria una tesi sostenuta da Giuseppe Perrella già tre decenni or sono, ha spostato l’attenzione sull’organizzazione funzionale microscopica del cervello degli psicotici. In particolare, si ritiene che le alterazioni strutturali e funzionali delle psicosi non secondarie, vadano ricercate prevalentemente nel disegno generale delle connessioni, al livello delle sinapsi e nelle funzioni dei singoli sottosistemi, studiandone le anomalie cellulari e molecolari. Un altro aspetto importante del rapporto fra dato anatomo-patologico ed espressione clinica delle psicosi è dato dalla costante osservazione di manifestazioni dello stesso tipo per condizioni cerebrali diverse. Fin dagli anni Ottanta, il nostro attuale presidente ha sottolineato la caratteristica di stereotipi di disfunzione dei quadri di patologia psicotica primitiva o secondaria. In proposito si pensi ai casi descritti da Silvano Arieti, come quello del paziente schizofrenico che all’autopsia rivelò un grande glioma del lobo frontale. Cause diverse possono determinare identici quadri psicotici; questo aspetto è una traccia per indagare su una sorta di “reazione globale” del “sistema encefalo” che, quando va oltre un certo grado di gestibilità delle sottocomponenti alterate, si scompensa secondo stereotipi fisiopatologici, che danno luogo alle varie espressioni cliniche caratteristiche delle psicosi.

[26] In molte trattazioni divulgative, ma anche in alcune sintetiche descrizioni concepite per fini didattici, sembra quasi che le alterazioni di recettori e trasmettitori non avvengano nel sistema più complesso che si conosca in natura, ma in un vaso di soluzioni in equilibrio chimico.

[27] Vedi i già citati articoli di Hilgetag C. C. & Barbas H.                               

[28] In proposito vogliamo notare, anche per un doveroso riconoscimento dello straordinario lavoro che è stato compiuto nel campo della neurobiologia dello sviluppo da quando Rakic nel 1971 dimostrava la migrazione dei neuroblasti lungo le fibre radiali della glia, che si dispone di un vasto corpus di conoscenze, nell’ambito del quale si tenta di mettere in rapporto le azioni di singoli geni con i meccanismi dell’organizzazione evolutiva. Si consiglia, a chi voglia introdursi allo studio dello sviluppo del sistema nervoso, il capitolo Development of the nervous system (pp. 241-274) dell’ultima edizione del Gray’s Anatomy [Susan Standring (editor in chief) Gray’s Anatomy – The Anatomical Basis of Clinical Practice. Elsevier, 2005]. In questo trattato sono anche descritti i due principali modelli che sono stati proposti per spiegare l’origine complessa dell’organizzazione corticale.

[29] schizofrenia, autismo, sindrome di Williams ed altri disturbi simili a questi per manifestazioni cliniche.

[30] Si ritiene che alcuni tipi di epilessia che insorgono nell’infanzia potrebbero avere spiegazione patogenetica in un’alterata morfogenesi corticale.