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LA CONCEZIONE
DEI DISTURBI MENTALI NELLA STORIA
(CRONOLOGIA DELL’EVOLUZIONE
DELLA CONCEZIONE NELLA STORIA DELL’ESPERIENZA UMANA DELLE ALTERAZIONI PSICHICHE)
Sintesi per spunti brevi proposta il 7
settembre 2013
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SERIE DEI MATERIALI A DISPOSIZIONE DEI
SOCI COME STRUMENTI VOLTI AD INCENTIVARE APPROFONDIMENTI, DISCUSSIONI ED USO
PARADIGMATICO DELLE CONOSCENZE ACQUISITE
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Premessa. Il testo che segue
è stato tratto dalla registrazione della relazione introduttiva all’attività
del gruppo strutturale di “Brain, Mind & Life Italia” sulla storia delle idee,
tenuta in Firenze il 7 settembre 2013 dal presidente Giuseppe Perrella. Monica
Lanfredini, responsabile del gruppo di studio, ha tagliato il testo in vari
punti, ed escluso tutti i commenti, gli approfondimenti e le considerazioni
personali proposte in quella sede, per esplicita richiesta del presidente, che
ha manifestato l’intenzione di offrire questa cronologia come un “materiale
minimo e grezzo” per lo sviluppo individuale di approfondimenti, riflessioni ed
elaborazioni. L’autore, nella parte contemporanea della cronologia, ha scelto
di limitare l’interesse alle psicosi, e in particolare alla psicosi
schizofrenica, per l’impossibilità di contenere in un testo breve le note
salienti su tutti i tipi di patologia psichica che l’immaginario collettivo può
accostare alla follia e all’alienazione. Dal settembre 2013 ad oggi sono già
stati redatti brevi testi che integrano questa cronologia e possono costituire un
piccolo “ipertesto” con le altre “finestre di approfondimento” elaborate nel
corso del 2014. Buona lettura! (M. L.)
3400 a.C. - Gli
Egizi consideravano malattie i disturbi mentali.
La concezione psicopatologica ante litteram espressa da questa antica
civiltà si può evincere da numerosi documenti, ma la più antica testimonianza
sembra essere costituita dal documento che va sotto il nome di Papiro di Ebers.
La data più probabile di redazione del manoscritto, trovato e venduto a Luxor
(Tebe), è intorno al 1550 a.C., con altre possibili datazioni che variano dal
1400 al 2000 a.C., ma si ritiene che il documento giunto fino a noi sia una
copia di un originale databile con metodo storico-linguistico 3400 a.C.
L’opera, che affida ai segni
geroglifici la più antica testimonianza dell’interpretazione in chiave di
malattia delle alterazioni psichiche, fu acquistato nell’inverno 1873-1874 da
Georg Ebers ed è attualmente custodito nella biblioteca dell’Università di
Liepzig in Germania. Accostato per importanza al Papiro di Edwin Smith, il
Papiro di Ebers è un saggio di argomento medico composto da 110 pagine, per un
totale di 20 metri di lunghezza, scritto in geroglifico ieratico e ripartito in
sezioni di argomento specialistico (urologico, ginecologico, ecc.) fra le quali
figura quella dedicata alla malattia mentale. Questa sezione, che possiamo
considerare come un capitolo del trattato, è nota agli studiosi con il nome di
“The Book of Hearts”, e svolge l’argomento considerando e descrivendo la
malattia mentale alla stregua delle patologie fisiche.
Fra i quadri clinici descritti si
possono agevolmente riconoscere la depressione
e la demenza. Nell’esposizione delle
ipotesi causali si propongono delle congetture eziologiche che attribuiscono la
responsabilità dei sintomi ad avvelenamenti, problemi legati alla materia
fecale e demoni.
1440 a.C. – Gli spiriti maligni degli Hindu Vedas.
Secondo alcune ricostruzioni
storico-antropologiche, gli antichi Hindu Vedas espongono in un’epoca databile
intorno al 1400 a.C. la loro concezione dei fenomeni legati alle alterazioni
della mente. In particolare, descrivono malattie dovute a spiriti maligni e
caratterizzate da comportamento bizzarro, mancanza di autocontrollo, tendenza
ad oscenità, sudiciume e nudità.
400 a.C. – Le
forze soprannaturali dei Cinesi.
Un antico testo medico della
tradizione cinese, databile intorno al 400 a.C. e denominato in inglese The Yellow Emperor’s Classic of Internal
Medicine, testimonia un’interpretazione focalizzata su un’origine
trascendente la carne e la materia. In sintesi, la trattazione attribuisce
tutti i disturbi con riduzione o perdita di facoltà cognitive, sia quelli
riportabili ai quadri psicotici della moderna psichiatria, sia quelli
riconducibili a sindromi neurologiche come le crisi epilettiche (in
particolare, si riconosce la fenomenica del grande
male), alla possessione demoniaca e ad altre forze soprannaturali.
IV sec. a.C. – La medicina ippocratica includeva le
malattie mentali.
La scuola medica greca fondata da
Ippocrate di Kos (460-370 a.C.), e perciò detta ippocratica, si distingueva
dalla medicina egiziana ed assiro-babilonese per una concezione non più
statica, ma dinamica della malattia, della quale studiava lo sviluppo e il
decorso, descrivendone le fasi, la maturazione, i parossismi e le crisi.
L’uscire fuori di sé era considerato, ad esempio, come la manifestazione di uno
sviluppo, generalmente grave, di un quadro patologico.
Dai frammenti dell’opera Pathos aitia therapeia (“Malattia,
causa, cura”) del medico ippocratico Diocle di Caristo, attivo ad Atene intorno
al 360 a.C., si evince un particolare interesse per le malattie psichiche,
delle quali si indicano le cause.
La mania era riportata da Diocle ad un ribollire del sangue nel cuore,
in quanto (v. fr. 38 W.) dall’organo cardiaco, dal quale muoveva lo spirito
vitale, dipendeva il pensiero e il senno (phronēsis).
Degli affetti da mania, i maniōdeis,
si dice che si sono riscaldati, e se ne consiglia la cura mediante impacchi
freddi ed altre misure refrigeranti. Diocle prova a spiegare l’assenza di
febbre, pur in presenza di un ribollire del sangue, ipotizzando l’assenza di
un’ostruzione, o emphraxis, al flusso
ematico. In generale, infatti, secondo una teoria di Diocle, perché si produca
la febbre è necessaria emphraxis.
Anche per Prassagora di Kos, capo della scuola medica ippocratica nella seconda
metà del IV secolo, la mania avrebbe cause simili ma, secondo questi, il primo
movente causale sarebbe costituito da un gonfiore del cuore e non dal ribollire
del sangue: in tal modo riteneva si spiegasse l’assenza di febbre.
Nell’opera di Diocle altre due
malattie psichiche avevano un notevole rilievo: la frenite e la melancolia.
La frenite, descritta eminentemente come disturbo del pensiero, veniva
spiegata come un’infiammazione del diaframma (perciò “frenite”, da phrenes = diaframma) che, interessando
anche il cuore, era in grado di alterare le costruzioni della mente (v. fr. 38
W.).
La melancolia, caratterizzata da un umore depresso, si riteneva fosse
causata dall’addensarsi intorno al cuore della bile nera o melaina kholē (da cui melancolia)
che avrebbe “deviato” le funzioni psichiche dell’organo cardiaco. Diocle aveva
evidentemente osservato le frequenti somatizzazioni gastroenteriche delle
persone depresse e ansiose, perché descrive un tipo particolare di melancolia che riteneva interessasse la
cavità addominale e potesse essere denominata affezione flatulenta.
In altri scritti ippocratici, la maniē viene menzionata come
fenomeno connesso con la frenite e la
melancolia (Sulle Malattie I, 30),
e la perdita del controllo di sé si
considera manifestazione di epatite, dovuta ad una eruzione della bile dal
fegato, provocata da un afflusso di flegma e sangue (Sulle Affezioni Interne, 29).
La possibilità che siano in gioco
forze soprannaturali non è esclusa per l’epilessia, come si evince dal trattato
Sul Male Sacro, il cui ignoto autore
ippocratico approfondisce le reazioni psicologiche, quali la paura al
sopraggiungere della crisi di grande male epilettico. La sindrome neurologica,
che in epoca romana diventerà il “male comiziale” perché le crisi si rendevano
evidenti in occasioni di assemblee pubbliche quando era difficile per gli
ammalati appartarsi nell’imminenza dell’attacco, è considerata una malattia
mentale sui generis e, probabilmente,
è l’unica ad essere posta in relazione con il cervello.
I riferimenti menzionati sono
sufficienti per rendersi conto che i disturbi mentali e le espressioni umane di
follia, per quanto possibile, sono ricondotte dalla medicina ippocratica al
corpo, secondo una visione rigorosamente medica; anche se i medici, basandosi
su tradizioni interpretative elaborate nella totale ignoranza della fisiologia,
costruiscono congetture fantasiose, tanto lontane dalla realtà, da apparirci
arbitrarie e bizzarre.
II sec. d.C. – Galeno distingue la follia dalla possessione
demoniaca.
Galeno introduce la nozione di
“pneuma psichico”: una speciale sostanza gassosa presente nei ventricoli
cerebrali e costituente l’organo
dell’anima. Secondo il celebre medico di Pergamo, il “pneuma” circola nei
nervi mettendo in rapporto cervello, organi sensoriali ed organi motori.
Galeno ha fiducia nella possibilità
della medicina di scoprire le cause della follia e, considerando come esempio
di una visione religiosa totalizzante il pensiero di Mosé, sostiene che a differenza
del grande patriarca ebraico i suoi contemporanei dovranno distinguere la
malattia del pneuma psichico dalla possessione del demonio. Riprendendo il
pensiero di Erofilo, il medico greco che aveva descritto il torculare venoso
dell’osso occipitale ed aveva messo in rapporto le circonvoluzioni del cervello
con l’intelligenza umana, Galeno ammonisce: “Non andate a consultare gli dèi
per scoprire con la divinazione l’anima che dirige, ma istruitevi presso un
anatomista”.
IV-V d.C. – I Padri della Chiesa accettano la visione
scientifica.
Nemesio, vescovo di Emesa, e
Sant’Agostino, nel IV e V secolo, accettano le teorie di Galeno e provano a
collocare, su base deduttiva, le facoltà di immaginazione, ragione e memoria,
nei ventricoli. Lo schema, rappresentato graficamente, costituisce la prima
ipotesi di localizzazione funzionale e, allo stesso tempo, un prototipo
artistico per tutti i disegni e le incisioni su questo tema che saranno
realizzati fino al XVII secolo.
1334 – Un
caso emblematico della cultura medioevale.
Opicinus de Canistris, noto anche
come Anonimo Ticinese (1296-1353), fu sacerdote, scrittore, cartografo e
mistico, nato a Lomello nei pressi di Pavia da una famiglia di tradizione
Guelfa. A Genova compì studi biblici e di disegno, imparando tecniche grafiche
e cartografiche. L’approfondimento delle tematiche religiose lo portò a
riconoscere in sé la vocazione sacerdotale. Ordinato sacerdote a Parma nel
1320, fu scomunicato per reati simoniaci nel 1328.
Realizzò una serie di diagrammi cosmologici
fantastici e redasse numerosissimi scritti di contenuto surreale e bizzarro,
originariamente e frequentemente autobiografici. Le più insolite ed eccentriche
fra le sue opere, anziché essere apprezzate nella loro originalità creativa ed
anticonformista, furono ritenute segno di disturbo mentale.
Proviamo a ricostruire da un suo
resoconto autobiografico quanto accaduto.
Nel 1334 è colpito da una malattia
grave - forse una vascolopatia cerebrale acuta, un ictus - che induce uno stato
definito simile a un coma, che si protrae per due settimane ed è seguito da una
sintomatologia neuropsicologica che, con una terminologia medica attuale,
potremmo così sintetizzare: amnesia, afasia motoria (forse inizialmente afasia
globale) e inibizione cognitiva. Poiché a questi ed altri sintomi si associa,
come riferisce Opicinus stesso, una paralisi della mano destra, è ragionevole ipotizzare
una lesione dell’emisfero sinistro, dove ha sede il controllo corticale della
parola e della motricità dell’antimero destro del corpo. In altri termini: una
patologia neurologica, non psichiatrica. Dopo questo evento sfortunato, ebbe
delle visioni sacre che, anche se costituivano esperienze distinte dagli eventi
patologici, non furono considerate spiritualmente autentiche, e ritenute
sintomo di follia, forse anche per la cattiva fama conseguente alla scomunica,
che lo aveva di fatto relegato in una dimensione di alterità negativa. La riscoperta dei suoi scritti da parte di
psicoanalisti del XX secolo, consentì l’esercizio poco scientifico, ma
frequente in quel periodo, di “diagnosi dai documenti”. È interessante notare
che, pur partendo da un’angolazione diametralmente opposta a quella medioevale,
anche gli psicoanalisti hanno considerato Opicinus alieno, affibbiandogli l’etichetta di psicotico.
1504-1507 – Leonardo da Vinci realizza il primo calco in
cera dei ventricoli cerebrali.
Presso l’Ospedale Santa Maria Nuova
di Firenze, Leonardo da Vinci studia mediante magistrali copie le
circonvoluzioni cerebrali ed effettua il primo calco in cera delle cavità
dell’encefalo, da molti considerate quasi sacre e inviolabili perché sede
dell’anima.
Ritenuta un segno di rilievo
storico nel passaggio dalla cultura medioevale a quella rinascimentale,
l’autorizzazione della Chiesa all’esecuzione di autopsie per gli studi medici
era ancora abbastanza recente e, dopo il primo esame documentato di Mondino de’
Liuzzi, non vi era stato un vero studio morfologico del cervello prima di
Leonardo.
XVI
sec. – Malati di mente rinchiusi per
proteggerli dalle follie dei sani.
Nel corso del 1500 sorgono in
Spagna, ad opera di religiosi, delle residenze dove i malati di mente potevano
rifugiarsi per sfuggire alla lapidazione. Superstizioni, credenze popolari e
correnti sottoculturali fomentano paura, odio e avversione disumanizzante nei
confronti di persone affette da numerose forme di disturbi neuropsichici e
sindromi dismorfiche. I malcapitati sono dipinti come espressioni pericolose e
contagiose del male in quanto tale: esseri privi di qualità e dignità umana e,
pertanto, uccidibili. La difficoltà di porre freno alla barbarie omicida di
queste frange estreme di ignoranza malvagia e violenta, suggerisce l’internamento.
Nelle epoche successive, che
costituiscono oggetto di studio nella celebre opera di Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, i
disabili mentali, insieme con altre categorie di cittadini, saranno internati
in tutta Europa per ragioni diverse e con modalità che hanno lasciato
un’impronta indelebile nella coscienza collettiva.
1630 circa – Cartesio
colloca nella ghiandola pineale o epifisi la sede dell’anima.
Cartesio studia il cervello e,
rilevando che tutte le formazioni principali che lo costituiscono sono pari e
simmetriche, ossia ve ne è sempre una destra ed una sinistra, ha difficoltà ad
eleggerle come sede dell’anima unica, immateriale e immortale. La sua scelta di
ipotizzare la ghiandola pineale o epifisi, situata profondamente al centro
del cervello, quale sede dell’anima o, più correttamente, quale sede del
pensiero e collegamento fra cervello ed anima, è data proprio dalla
caratteristica di formazione impari e mediana. Scrive, infatti: “…le altre
parti del nostro cervello sono doppie e noi abbiamo un solo pensiero di una
stessa cosa nello stesso tempo”.
Nicola Stenone, vescovo, medico ed
anatomista, scopritore del dotto della ghiandola parotide che porta il suo
nome, nel 1665 dimostra definitivamente l’infondatezza dell’ipotesi di Cartesio.
1681
– Si chiama in causa l’anatomia cerebrale
per spiegare la follia.
Thomas Willis, scopritore del
poligono arterioso alla base del cervello dove si anastomizzano le arterie
cerebrali anteriori, rami della carotide interna, con le arterie cerebrali
posteriori, che dipendono dalla succlavia, cerca le cause dei disturbi mentali
nella morfologia macroscopica degli emisferi encefalici. Come Cartesio, ma con
una specifica competenza anatomica, cerca una sede per l’anima - un’anima raziocinante - e ritiene di averla
trovata nel corpo striato formato dai
nuclei della base del cervello. In effetti, in quel periodo, ogni nuova
struttura cerebrale scoperta diventa una potenziale sede del collegamento fra
anima e corpo.
In una temperie di estrema
concettualizzazione astratta della malattia mentale, considerata un negativo in quanto opposto della salute
e della ragione, Thomas Willis ha il coraggio di sfidare il pensiero prevalente,
che faceva della res cogitans
cartesiana una sorta di essenza
vicina al concetto di anima, del tutto separata dal campo
dell’anatomo-fisiologia in cui si agitavano gli spettri di animal spirits non bene definiti, e cerca il perché della follia
nell’anatomia del cervello, come si legge nella sua Opera omnia pubblicata a Lione nel 1681.
Secondo Willis, la forma globosa
necessaria per l’attività degli “spiriti animali”, la quantità di materia
cerebrale, la sua consistenza e la temperatura sono parametri che, alterati,
darebbero luogo ai diversi disturbi mentali.
1809
– Prime diagnosi della psichiatria
scientifica.
Il medico francese Philippe Pinel,
che con Jean-Étienne Dominique Esquirol aveva liberato dai ceppi i malati di
mente, dando inizio alla psichiatria contemporanea, descrive giovani pazienti
che presentano sintomi di una “demenza prematura”. Indipendentemente, il medico
inglese John Haslam pubblica casi simili.
Nella storia della nosografia
psichiatrica le esposizioni di Pinel ed Haslam sono considerate il primo
esempio di descrizioni di quadri clinici di psicosi schizofrenica.
1860
– La psicosi definita “demenza precoce”.
Lo psichiatra belga Bénédict Augustin
Morel descrive in un quattordicenne il rapido sviluppo di un quadro clinico
psicotico con il nome di dementia praecox
(démence précoce o demenza precoce). Il ragazzo sembra aver
perso la normale gamma di affetti ed emozioni che era in grado di esprimere
fino a non molto tempo prima, e manifesta un decadimento cognitivo così marcato
che da studente brillante e promettente lo fa divenire incapace di svolgere i
compiti più elementari. Morel suppone una causa ereditaria e una patogenesi
consistente nel decadimento di processi basilari della psiche, in conseguenza
del quale si avrebbe lo sconvolgimento globale delle funzioni mentali.
1871 – Catatonia,
vesania ed ebefrenia.
Lo psichiatra tedesco Karl Ludwig
Kahlbaum descrive la catatonia come uno
stato di infermità mentale accompagnata da assoluta immobilità, raramente
interrotta da episodi di attività frenetica (eccitazione catatonica) e la vesania
tipica come una sindrome caratterizzata da allucinazioni uditive e deliri
di persecuzione, in una generale descrizione che corrisponde, nella nosografia
del secolo successivo, alla forma paranoide della schizofrenia. Ewal Hecker,
allievo di Kahbaum, descrive l’ebefrenia
caratterizzandola sulla base della disgregazione del pensiero e dell’incoerenza
del linguaggio.
1896 – Ipotizzata
l’origine biologica delle psicosi.
Emil Kraepelin, nel suo celebre
Trattato delle Malattie Mentali (1890-1907), adottando la definizione di
“demenza precoce”, riunì in una sola categoria diagnostica catatonia, ebefrenia e vesania tipica, perché accomunate da un
disturbo dell’affettività, espresso come apatia o sentimenti paradossali, e da
un indebolimento psichico progressivo (Verblödung).
Kraepelin sostiene l’origine biologica della demenza precoce.
1896
– Nascita della visione psicoanalitica.
Sigmund Freud, che propone una
netta distinzione nosografica fra nevrosi
e psicosi, impiega per la prima volta
il termine proiezione e propone la
spiegazione di questo processo come meccanismo di difesa, consistente nell’attribuzione
ad altri di un proprio contenuto psichico inconscio. Freud rileva la presenza
di questo processo proiettivo in un paziente al quale fu poi diagnosticato il
tipo paranoide della demenza precoce di Kraepelin.
XIX sec. – La malattia mentale esce dall’alveo della follia.
Dall’antichità più remota e, forse,
con una maggiore consapevolezza culturale dall’Epoca in cui in tutta Europa si
dispone l’internamento dei malati di mente, la concezione dei disturbi mentali
deve fare i conti con una potente figura dell’immaginario collettivo: la follia. Dimensione astratta e cifra
simbolica assoluta dell’irrazionale, è concepita come una forza imponderabile,
inconoscibile e inevitabile ma, allo stesso tempo, materialmente incidente
nella realtà. E proprio il rapporto di questo immaginario col reale ad essere
problematico: nella realtà non può collocarsi come semplice contenuto e, per la
sua natura paradossale e minacciosa di “sistema che si oppone al sistema”, è
destinato a metterla in crisi. O, per lo meno, a mettere in crisi - nel
discorso - le forme della realtà convenute, riconosciute e custodite dall’élite culturale dominante. E’ però
sempre più evidente che la follia, soprattutto quella figura a metà fra
immagine e concetto che si è costituita nell’immaginario collettivo europeo dal
tempo dell’Elogio di Erasmo da
Rotterdam, non ha rapporto né con le storie individuali e familiari delle
persone affette da disagio psichico o malattia del cervello, né con il lungo e faticoso
percorso diacronico della ricerca medica intesa a comprendere le cause di
queste forme di sofferenza e di esistenza mancata.
Si può dire che, nel suo insieme,
l’esperienza culturale dell’Ottocento determina la definitiva uscita della
malattia mentale dall’alveo della follia.
1906
– Ipotesi psicodinamica delle psicosi.
Formazione progressiva di abitudini.
Lo psichiatra americano Adolf Meyer
(1866-1950) contesta la tesi dell’origine biologica della demenza precoce, sostenuta da Kraepelin, e propone una
eziopatogenesi psicodinamica applicando i concetti della psicoanalisi alle
psicosi. Secondo Meyer, all’origine dello sconvolgimento funzionale della
psiche, vi sarebbero delle reazioni mentali ad esperienze di vita negative, in
particolare quelle verificatesi durante l’infanzia. Kraepelin e Freud, anche se
da angolazioni opposte, il primo fondandosi su biologia e patologia del
cervello, il secondo sulla psicodinamica dell’inconscio, riconoscono una netta
distinzione fra nevrosi e psicosi: un preciso discrimine fra specie
psicopatologiche che non si ritrova nell’opera dello psichiatra americano. In
generale Meyer, opponendosi alla visione rigidamente organicista della
psichiatria europea degli inizi, ipotizzò che la malattia mentale fosse dovuta
ad un mancato adattamento alla situazione di vita. Questa focalizzazione sulle
relazioni diede origine ad una caratteristica della pratica psichiatrica
d’oltreoceano, ossia quella di definire il disturbo attraverso il comportamento,
in funzione del ruolo sociale e familiare.
Meyer non esclude l’importanza del
fondamento cerebrale nel costituirsi della personalità, pertanto il suo
approccio si considera psicobiologico.
Se questa visione è sufficiente a
spiegare lo stabilirsi del funzionamento alterato come reazione di
disadattamento, non spiega il costituirsi nelle psicosi croniche di una
sintomatologia stabile, spesso rigida, poco influenzata dalle circostanze e
tendente a perdurare nel tempo. Meyer prova a spiegarla interpretando i disturbi
mentali come la conseguenza della formazione
progressiva di abitudini.
1908 – I
caratteri della “demenza precoce” non sono quelli di una demenza.
Lo psichiatra svizzero Eugen
Bleuler (1857-1939), collaboratore di Freud e Jung, accetta l’impostazione
nosografica di Kraepelin, ma osserva che l’elemento caratterizzante la “demenza
precoce” non è il dato quantitativo di un decadimento mentale determinato da
una progressiva perdita di risorse psichiche, come nella demenza dell’anziano,
ma l’alterazione qualitativa dell’esperienza psichica e del comportamento. Fra
il 1905 e il 1910 Chaslin, Seglas e Stransky notarono, nelle persone incluse
nella nuova diagnosi, la prevalenza sull’indebolimento intellettivo di una
perdita di coerenza e coesione interiore, di una specie di “disgregazione della
personalità”.
1911 – Viene introdotto il termine e il concetto di
“schizofrenia”.
Eugen Bleuler conia il termine schizofrenia (scissione della mente) e
pubblica un saggio in cui sostiene che il processo patologico fondamentale,
alla base di tutta la sintomatologia di questi pazienti, consiste nella perdita
della funzione di associazione che garantisce le sintesi necessarie alle
singole facoltà psichiche. Bleuler, come molti studiosi dell’epoca fra cui
Pierre Janet, il celebre allievo di Charcot che introdusse la diagnosi di psicastenia, riteneva i fenomeni alla
base dell’esperienza soggettiva ed oggettiva della dimensione psichica, come il
prodotto di una sintesi associativa. In altre parole, secondo questa opinione, è
l’integrazione specifica ed equilibrata di processi cerebrali elementari a
generare gli elementi e gli aspetti che costituiscono in senso proprio la mente
di un soggetto. Nella scissione schizofrenica Bleuler individuava la mancanza o
la perdita di questa sintesi necessaria alla produzione e all’espressione
fisiologica della psiche umana. Un altro elemento importante per l’evoluzione
del pensiero psichiatrico, contenuto nel saggio sulla schizofrenia, è la chiara
indicazione che il quadro clinico non è limitato all’età giovanile, come si era
creduto nel considerare un prototipo il caso del giovane descritto da Morel.
A Bleuler si deve anche
l’introduzione del concetto di autismo
come stato mentale autoreferenziale. L’indipendenza della ricerca di questo
studioso è testimoniata anche dal suo studio della mente secondo la
psicoanalisi, che lo portò ad introdurre il concetto di ambivalenza, come stato caratterizzato dalla coesistenza potenziale
o attuale di sentimenti positivi e negativi verso qualcuno.
1914
– Il concetto di “schizofrenia” varca i
confini delle pubblicazioni specialistiche.
In un articolo intitolato “The
Psychanalytic Movement”, apparso sulla rivista statunitense Scientific American, si impiega per la
prima volta il termine “schizophrenic” in una pubblicazione divulgativa.
1959
– Definiti i criteri per la diagnosi e la
diagnosi differenziale di schizofrenia.
Lo psichiatra tedesco Kurt
Schneider riconosce e descrive con precisione i sintomi diagnostici della
schizofrenia, in particolare i deliri e le allucinazioni uditive, suggerendo
criteri per la diagnosi differenziale da altre forme di psicosi.
1972
– Escluse alterazioni cerebrali evidenti
negli psicotici.
L’esame necroscopico del cervello
di pazienti schizofrenici, nel corso di studi autoptici condotti dal neurologo
Fred Plum e suoi collaboratori, non mostra alterazione macroscopiche evidenti
nelle aree esaminate. Tali reperti inducono gli autori dello studio ad
escludere alterazioni anatomiche alla base della schizofrenia.
1974
– Tumori cerebrali quale causa di sintomatologia
psicotica.
Silvano Arieti pubblica nella sua
opera in due volumi “Interpretazione della Schizofrenia” la fotografia autoptica
del cervello di una paziente in cui un lobo frontale era stato quasi
completamente distrutto da un tumore. La donna, che aveva ricevuto la diagnosi
erronea di “schizofrenia ebefrenica”, era stata trattata per 27 anni come
psicotica.
1974
– Prima evidenza in vivo di un difetto
fisiologico.
David H. Ingvar e colleghi del
Policlinico dell’Università di Lund in Svezia, documentano per la prima volta
un’evidente riduzione del flusso ematico nei lobi frontali di pazienti
schizofrenici, impiegando una nuova tecnica per la visualizzazione dinamica in vivo della circolazione cerebrale.
1976 – Primi
reperti di alterazioni morfologiche del cervello degli psicotici.
In questo anno è pubblicato il
primo di molti studi realizzati mediante tomografia assiale computerizzata
(TAC), che mostrano differenze nelle dimensioni dei ventricoli cerebrali degli
psicotici rispetto a persone in buona salute psichica.
1978
– Documentata la riduzione della massa di
neuroni e glia negli schizofrenici.
Eve C. Johnstone e colleghi del
Clinical Research Centre del Middlesex, in Inghilterra, conducono il primo
studio di analisi TAC con un elevato valore di significatività scientifica
nello studio di pazienti psicotici schizofrenici. Viene documenta, come
costante, una maggiore ampiezza delle cavità dei ventricoli laterali
all’interno degli emisferi cerebrali e, pertanto, un cervello sostanzialmente
di dimensioni ridotte anche se in apparenza normale per il profilo esterno. Tale
reperto spiega il mancato rilievo di alterazioni morfologiche da parte di Fred
Plum. La causa di questa riduzione della massa di glia e neuroni degli emisferi
cerebrali, può essere genericamente imputata a due ordini di processi: 1)
difetto di sviluppo; 2) perdita di tessuto.
1980
– Pubblicato il DSM-III che propone nuovi
criteri per le diagnosi psichiatriche.
La terza edizione del Manuale
Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM-III), che
sarà adottato in tutto il mondo, abbandona la visione psicodinamica delle
psicosi, in gran parte influenzata dalle tesi di Adolf Meyer, e caratteristica
delle prime due edizioni. Recepisce con alcune modifiche i criteri diagnostici
per la psicosi schizofrenica della psichiatria europea, riconoscendone cinque
tipi: indifferenziata (o simplex), catatonica, paranoide, ebefrenica e residua. Non riconosce la paranoia come psicosi indipendente e la
riconduce alla schizofrenia paranoide.
1986
– Ipotizzata eterogeneità
eziopatogenetica per le psicosi schizofreniche.
Lo psichiatra tedesco Karl Leonhard
sostiene che il termine schizofrenia in realtà si riferisce ad un gruppo di
psicosi accomunate da elementi sintomatologici ma probabilmente distinte per
eziopatogenesi.
1990 – La
RM di gemelli monozigoti svela le alterazioni cerebrali degli schizofrenici.
Daniel R. Weinberger e colleghi del
National Institute of Mental Health (NIMH) esaminano con la risonanza magnetica
nucleare 15 coppie di gemelli monozigoti in cui solo uno dei due è affetto da
schizofrenia. La riduzione del volume dell’ippocampo, una struttura importante
per la memoria di funzionamento, l’apprendimento e le emozioni, è molto
evidente. L’ippocampo di sinistra è più piccolo in 14 dei 15 gemelli affetti;
quello di destra in 13 su 15. Così, l’ingrandimento delle cavità ventricolari
da riduzione della massa cerebrale, è evidente nel ventricolo laterale di
destra in 14 su 15, in quello di sinistra e nel III ventricolo in 13 su 15.
Nessuno di questi rilievi, nemmeno in forma lieve, è presente nelle sette
coppie di gemelli monozigoti sani fungenti da gruppo di controllo.
1990 – Ipotesi
causale dello squilibrio fra sistemi per alterazioni molecolari.
Maria ed Arvid Carlsson propongono
come evento patogenetico principale della psicosi schizofrenica la rottura
dell’equilibrio fra il sistema dei neuroni dopaminergici mesencefalici e il
sistema dei neuroni glutammatergici corticali. Lo squilibrio sarebbe causato da
eccesso della segnalazione mediata dalla dopamina o da difetto della
neurotrasmissione del glutammato, oppure dalla coesistenza di entrambe le
anomalie.
1990 – Primo
studio genetico di vasta scala del disturbo bipolare.
Elliot S. Gershon e colleghi del National
Institute of Mental Health (NIMH) conducono il primo studio genetico di vasta
scala per l’identificazione di geni di rischio o suscettibilità in 20
discendenze familiari in cui ricorre con notevole frequenza il disturbo maniaco-depressivo o bipolare. Sono esaminati i geni di
numerosi recettori, mentre altri ricercatori indagano i recettori D2 in
rapporto alla schizofrenia. Nessuno dei geni esaminati mostra un’associazione
con i disturbi, anche se la componente genetica dell’eziologia rimane evidente.
1993 – Una teoria della schizofrenia basata sui sistemi neuronici e i
recettori.
Anthony Grace propone una teoria
complessa che tenta di spiegare come alterate interazioni sinaptiche fra corteccia, ippocampo e amigdala
siano alla base tanto dei sintomi positivi quanto di quelli negativi della
schizofrenia.
La corteccia prefrontale è ricca di recettori D1, che sono implicati
nella sintomatologia negativa. Il nucleo
accumbens, una delle principali aree della base encefalica che riceve
afferenze dopaminergiche dall’area tegmentale ventrale, è ricco di recettori D2
implicati nella sintomatologia positiva.
Grace dimostra che la capacità
della corteccia prefrontale di
attivare l’accumbens è regolata dall’ippocampo e dall’amigdala. Nel paziente schizofrenico alterazioni dell’ippocampo e dell’amigdala potrebbero influenzare l’elaborazione prefrontale al
livello del nucleo accumbens
compromettendo la capacità di generare risposte cognitive ed emotive
appropriate alle circostanze.
1994 – Pubblicato il DSM-IV che presenta contraddizioni diagnostiche irrisolte.
La nuova edizione del Manuale
Diagnostico e Statistico (DSM) fa sostanzialmente coincidere il concetto di
psicosi con quello di schizofrenia e di disturbo bipolare.
Sebbene il manuale conservi
l’articolazione più tassonomica che medica nei cinque tipi o forme della
schizofrenia, ne rileva la limitata utilità clinica ai fini del trattamento.
XX sec. – Si torna alla persona ma la concezione dei disturbi mentali rimane
problematica.
L’Ottocento era stato
caratterizzato da un atteggiamento positivista, materialista e scientista che
aveva indotto alla virtuale separazione dell’oggetto di studio dalla persona.
La continuità fra la nostra specie e gli altri animali, dimostrata da Charles
Darwin, e la fiducia nel paradigma delle scienze naturali applicato alle
scienze biologiche aveva conferito allo strumento della classificazione un
valore quanto meno euristico, generando la tendenza all’elaborazione, ben oltre
la nosografia medica, di vere e proprie tassonomie tipologiche. Si pensi alla
galleria di alienati del pittore francese Gericault: splendidi ritratti
intitolati con didascalie degne dei migliori libri e musei di storia naturale.
Francis Galton, cugino di Darwin e personalità
scientifica multiforme e brillante che aveva dato avvio alla moderna
meteorologia, aveva introdotto le impronte digitali negli accertamenti di
identità e aveva studiato particolari fenomeni fisici (fischio di Galton), era anche stato il primo ad associare la
statistica alla genetica per lo studio delle popolazioni. Il suo pensiero era
molto influente, perciò la sua convinzione che l’intelligenza fosse ereditaria,
tanto quanto la debolezza mentale, fu condivisa dalla maggior parte dei biologi
e dei medici suoi contemporanei.
Il XX secolo si apre con l’interpretazione dei sogni di Freud che,
opponendosi alla visione medica ottocentesca, attribuisce alla produzione
onirica un significato da collocare nelle trame più profonde del vissuto umano
depositate nell’inconscio.
Freud e la psichiatria di
ispirazione psicoanalitica spostano l’attenzione dall’organo-cervello, con la
sua costituzione biologica ereditaria, ai processi psichici inconsci e alle
dinamiche intrafamiliari capaci di modellare la personalità, intesa come
sistema e studiata secondo un modello topologico (Io, Es e Super-Io) e un
modello energetico (sviluppo libidico, fissazioni e vicissitudini dell’energia
psichica chiamata libido). La
fenomenologia in psichiatria, soprattutto con Binswanger e Minkowski, anche se
da un’angolazione prospettica diversa, contribuisce al ritorno alla dimensione
umana dello studio del disagio mentale, incoraggiando l’osservazione attenta e
rispettosa dell’altro, che non di rado favorisce la comprensione per empatia.
Questo secolo assiste alla
parabola, con ascesa e declino, di vari sistemi di pensiero applicati alla
mente umana; oltre quelli citati vi sono, infatti, il comportamentismo, la
scienza cognitiva nata dall’Hixon Symposium e tutti i modelli cibernetici o
informatici (dal perceptron alle reti
neurali), i sistemi elaborati dalla scuole psicoterapiche ed assurti al rango
di teorie psicologiche, e così via. Si sviluppano anche fenomeni nuovi, quali
applicazioni di teorie fisiche o matematiche (ad esempio: la teoria del caos)
allo studio della mente, che danno luogo a nuove ipotesi sulla genesi delle
malattie mentali.
Gerald Edelman elabora, con la sua
“teoria della selezione dei gruppi neuronici”, la prima interpretazione
biologica della mente umana che va dalla molecola alla coscienza. Ma,
nonostante alcuni interessanti tentativi di applicazione alla clinica
psichiatrica, l’acuta elaborazione edelmaniana rimarrà in gran parte relegata
all’ambito dello studio specialistico delle neuroscienze.
La complessità e le contraddizioni
sono tipiche di quest’epoca, caratterizzata da eterogeneità, commistione e
frammentazione culturale che, nel villaggio globale attuale, sono pienamente
espresse. Non meravigliano, perciò, la diffusione di mode di atteggiamento e
comportamento comunicativo, del tutto svincolate da una vera maturazione
filosofica epocale, così come il ritorno di superstizioni ed elaborazioni
sotto-culturali (ideologia del New Age),
nell’ambito delle quali si prospettano numerosi e talvolta inquietanti modelli
di lettura antropologica delle manifestazioni di disturbo o sofferenza mentale.
2000
– La schizofrenia sempre più malattia
cellulare, molecolare e dei sistemi neuronici.
La descrizione di un grave difetto
dendritico rivela gli aspetti cellulari delle alterazioni neurali alla base
della schizofrenia. Glantz e Lewis hanno rilevato e dimostrato, con
microfotografie di un’evidenza drammatica, la perdita di spine dendritiche
nelle persone affette da schizofrenia. I neuroni piramidali, che sono il tipo
più comune di cellule nervose eccitatorie della neocorteccia, ricevono il
flusso di impulsi provenienti dal talamo sulle spine dendritiche. Perciò la
perdita di spine dendritiche, oltre che di dendriti interi, vuol dire una forte
riduzione di sinapsi talamocorticali nella corteccia prefrontale dorsolaterale.
Un tale reperto potrebbe da solo spiegare il difetto di working memory e di funzioni esecutive tipico della schizofrenia.
2002 – In
Giappone scompare la diagnosi di schizofrenia.
La Società Giapponese di
Psichiatria e Neurologia cambia nome alla schizofrenia, da seishin bunretsu byo, che vuol dire letteralmente “malattia dalla
mente divisa”, a togo shitcho sho,
ossia disturbo dell’integrazione. Gli psichiatri giapponesi sostengono che il
cambiamento abbia ridotto la discriminazione sociale e il rischio di confusione
circa l’origine neurologica da una divisione in due della mente, in realtà
inesistente.
2009 – Potenziale
ruolo causale di un altissimo numero di varianti geniche.
Tre studi pubblicati su Nature indicano da decine a migliaia le
possibili varianti geniche all’origine dei disturbi schizofrenici. La ricerca
conferma ancora l’importanza della genetica, ma la complessità dovuta
all’interazione fra geni, prodotti genici e ambiente, fra epigenetica e
apprendimento, comincia a delineare un quadro quanto mai articolato. Si deve
osservare, tuttavia, che gli studi genetici sono sempre riferiti ai criteri di
diagnosi del DSM. Se, seguendo l’intuizione di Karl Leonhard e della nostra
scuola, si riusciranno a definire criteri realmente fondati in termini di
processi biologici per operare delle distinzioni nel mare magnum dell’attuale categoria clinica, probabilmente anche i
progetti di ricerca genetica potranno essere più selettivi e specifici,
individuando così campioni più omogenei per obiettivi più circoscritti e perciò
più agevolmente indagabili.
2013
– Il DSM-5 elimina per la prima volta i
tradizionali tipi clinici della schizofrenia.
Con vari cambiamenti, non tutti
positivi ed oggetto di controversia e dibattito, l’ultima edizione del manuale
cancella per la prima volta dalla nosografia internazionale le varie forme
della schizofrenia, classicamente originate da una descrizione fenomenica di
espressioni caratteristiche e trans-culturali di insiemi di sintomi psichici e
comportamentali, tali da configurare dei “tipi” facilmente riconoscibili.
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SOMMARIO DELLA CRONOLOGIA
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3400 a.C. - Gli
Egizi consideravano malattie i disturbi mentali.
1440 a.C. – Gli spiriti maligni degli Hindu Vedas.
400 a.C. – Le
forze soprannaturali dei Cinesi.
IV sec. a.C. – La medicina ippocratica includeva le
malattie mentali.
II sec. d.C. – Galeno distingue la follia dalla possessione
demoniaca.
IV-V d.C. – I Padri della Chiesa accettano la visione
scientifica.
1334
– Un caso emblematico della
cultura medioevale.
1504-1507 – Leonardo da Vinci realizza il primo calco in
cera dei ventricoli cerebrali.
XVI sec. – Malati di mente rinchiusi per proteggerli dalle follie dei sani.
1630 circa – Cartesio
colloca nella ghiandola pineale o epifisi la sede dell’anima.
1681 – Si chiama in causa l’anatomia cerebrale per spiegare la follia.
1809 – Prime diagnosi della psichiatria scientifica.
1860 – La psicosi definita “demenza precoce”.
1871 – Catatonia, vesania ed ebefrenia.
1896 – Ipotizzata l’origine biologica delle psicosi.
1896 – Nascita della visione psicoanalitica.
XIX sec. – La
malattia mentale esce dall’alveo della follia.
1906 – Ipotesi psicodinamica delle psicosi. Formazione progressiva di abitudini.
1908 – I caratteri della “demenza precoce” non sono quelli di una demenza.
1911 – Viene introdotto il termine e il concetto di “schizofrenia”.
1914 – Il concetto di “schizofrenia” varca i confini delle pubblicazioni
specialistiche.
1959 – Definiti i criteri per la diagnosi e la diagnosi differenziale di
schizofrenia.
1972 – Escluse alterazioni cerebrali evidenti negli psicotici.
1974 – Tumori cerebrali quale causa di sintomatologia psicotica.
1974 – Prima evidenza in vivo di un difetto fisiologico.
1976 – Primi reperti di alterazioni morfologiche del cervello degli psicotici.
1978 – Documentata la riduzione della massa di neuroni e glia negli
schizofrenici.
1980 – Pubblicato il DSM-III che propone nuovi criteri per le diagnosi
psichiatriche.
1986 – Ipotizzata eterogeneità eziopatogenetica per le psicosi schizofreniche.
1990 – La RM di gemelli monozigoti svela le alterazioni cerebrali degli
schizofrenici.
1990 – Ipotesi causale dello squilibrio fra sistemi per alterazioni molecolari.
1990 – Primo studio genetico di vasta scala del disturbo bipolare.
1993 – Una teoria della schizofrenia basata sui sistemi neuronici e i
recettori.
1994 – Pubblicato il DSM-IV che presenta contraddizioni diagnostiche irrisolte.
XX sec. – Si torna alla persona ma la concezione dei disturbi mentali rimane
problematica.
2000 – La schizofrenia sempre più malattia cellulare, molecolare e dei sistemi
neuronici.
2002 – In Giappone scompare la diagnosi di schizofrenia.
2009 – Potenziale ruolo causale di un altissimo numero di varianti geniche.
2013 – Il DSM-5 elimina per la prima volta i tradizionali tipi clinici della
schizofrenia.