BRAIN MIND & LIFE: L’ARTE DELLA CURA

 

 

 NAPOLI, 13 MAGGIO 2005

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

lA CURA, IL TEMPO E IL SOGGETTO DELL’ARTE

 

 

Questo incontro si situa nel quadro del lavoro di ricerca che conduciamo in preparazione della Conferenza Internazionale “The Art of Healing”, prevista per il prossimo anno 2006.

In particolare, oggi affronteremo argomenti che vanno dal “senso della cura” al “valore del soggetto dell’arte di curare”, applicandoci allo studio di affascinanti nodi problematici che legano i nostri temi all’esperienza del tempo, quale imprescindibile parametro di giudizio della malattia, tanto quanto della vita stessa.

Prendendo le mosse dalla crisi, secondo il modello della disperazione proposto da Kierkegaard ne “La malattia mortale”, giungeremo fino al ruolo del medico negli interventi di “Narrative Medicine” secondo Rita Charon della Columbia University e negli esercizi poetici volti ad euritmizzare la respirazione rispetto al battito cardiaco.

Vorrei introdurre i lavori di questa giornata con un breve riferimento che deriva dal nostro seminario permanente sull’arte di vivere.

Abbiamo focalizzato l’attenzione su alcuni aspetti dell’esperienza del dolore che, pervadendo lo stato di coscienza secondo modalità caratteristiche nel tempo e nella storia, hanno costituito dimensione ontologica, contribuendo a creare parti dell’esperienza umana in cui ciascuno di noi può agevolmente riconoscersi.

Vivere la sofferenza comporta, ad esempio, fare esperienza del limite -come anticipo della fine- vivere l’incomunicabilità, la separazione, la distanza, l’isolamento, la precarietà, la debolezza e, spesso, anche solamente la sensazione di “essere esposti”. Sensazione che può andare dalla più lieve incertezza, che accompagna l’affiorare di un’ansia recente e poco intensa, fino ad un sentirsi in balìa, caratteristico del tormento depersonalizzante che si vive nell’angoscia più profonda.

Heidegger collega questo essere esposti -e perciò percepirsi nell’essenza della propria vulnerabilità- al sentimento di infondatezza del proprio essere. La cura si origina, in questo senso, come attenzione preoccupata rivolta verso se stessi a partire dal sentimento di precarietà. E’ un sentirsi e sorvegliarsi che, assorbendo la vita, ne assume in sé tutti i caratteri, riducendoli a variabili della sua essenza che, nel suo costante persistere, coincide con il tempo stesso.

A questo proposito, in “Essere e Tempo”, Heidegger si serve delle figure di un’antica favola per proporre dei concetti semplici ed interessanti. Questo, in sintesi, il racconto.

Una donna di nome Cura, mentre attraversava un fiume, fu attratta dal fango che vi scorse: decise di raccoglierne un po’ e modellarlo. Realizzata la forma di un essere, si fermò a riflettere su ciò che aveva plasmato con la materia proveniente dalla Terra, quando sopraggiunse Giove. La presenza del re degli dei costituiva per la Cura un’opportunità unica: ella, infatti, rivolse al dio l’istanza di conferire parola e spirito alla sua opera. Giove accettò, ma a condizione di poter scegliere il nome da imporre alla creatura. La Cura, consapevole dell’importanza che avrebbe avuto il nome nel conferire senso ed appartenenza, si oppose. Per il possesso dell’essere modellato col fango, si accese una disputa, per sedare la quale intervenne Saturno come giudice imparziale. Ed ecco il verdetto saturnino: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché la Cura ha forgiato per prima questo essere, fin che esso vive lo possieda la Cura”[1].

Heidegger ci spiega che la decisione intorno alla natura di questo essere umano originario spetta al Tempo, qui personificato e deificato come Saturno. Infatti, la determinazione pre-ontologica dell’uomo è funzione della sua vulnerabilità e caducità: è esposto al rischio di danno, di malattia, di pericolo: può perdere la propria vita, che già per sé appare precaria in quanto non eterna come quella degli dei. Solo chi è vulnerabile e può perdersi, ha bisogno di cura nel tempo.

Si comprende come gli interrogativi che affrontiamo quando parliamo di terapia come arte della cura, richiamino più profonde ed antiche istanze da sempre presenti nelle coscienze e nella storia.

Per questo, si è ritenuto inadeguato limitarsi all’ambito tecnico del sapere medico e psicologico per riflettere e discutere di questi argomenti. La Cura, il suo Tempo, la nostra Vita, si intrecciano in una più complessiva domanda di senso che è alla radice di ogni esperienza umana.

 

BM&L-Maggio 2005

 

 



[1] Martin Heidegger, Essere e Tempo, pp. 211-212, Bocca Editori, Milano 1963.