BRAIN MIND & LIFE: L’ARTE DELLA CURA
Questo
incontro si situa nel quadro del lavoro di ricerca che conduciamo in
preparazione della Conferenza Internazionale “The Art of Healing”, prevista per
il prossimo anno 2006.
In
particolare, oggi affronteremo argomenti che vanno dal “senso della cura” al
“valore del soggetto dell’arte di curare”, applicandoci allo studio di
affascinanti nodi problematici che legano i nostri temi all’esperienza del
tempo, quale imprescindibile parametro di giudizio della malattia, tanto quanto
della vita stessa.
Prendendo le
mosse dalla crisi, secondo il modello della disperazione proposto da
Kierkegaard ne “La malattia mortale”, giungeremo fino al ruolo del medico negli
interventi di “Narrative Medicine” secondo Rita Charon della Columbia
University e negli esercizi poetici volti ad euritmizzare la respirazione
rispetto al battito cardiaco.
Vorrei
introdurre i lavori di questa giornata con un breve riferimento che deriva dal
nostro seminario permanente sull’arte di vivere.
Abbiamo
focalizzato l’attenzione su alcuni aspetti dell’esperienza del dolore che,
pervadendo lo stato di coscienza secondo modalità caratteristiche nel tempo e
nella storia, hanno costituito dimensione ontologica, contribuendo a creare
parti dell’esperienza umana in cui ciascuno di noi può agevolmente
riconoscersi.
Vivere la
sofferenza comporta, ad esempio, fare esperienza del limite -come anticipo
della fine- vivere l’incomunicabilità, la separazione, la distanza, l’isolamento,
la precarietà, la debolezza e, spesso, anche solamente la sensazione di “essere
esposti”. Sensazione che può andare dalla più lieve incertezza, che accompagna
l’affiorare di un’ansia recente e poco intensa, fino ad un sentirsi in balìa,
caratteristico del tormento depersonalizzante che si vive nell’angoscia più
profonda.
Heidegger
collega questo essere esposti -e perciò percepirsi nell’essenza della propria
vulnerabilità- al sentimento di infondatezza del proprio essere. La cura si
origina, in questo senso, come attenzione preoccupata rivolta verso se stessi a
partire dal sentimento di precarietà. E’ un sentirsi e sorvegliarsi
che, assorbendo la vita, ne assume in sé tutti i caratteri, riducendoli a
variabili della sua essenza che, nel suo costante persistere, coincide con il
tempo stesso.
A questo
proposito, in “Essere e Tempo”, Heidegger si serve delle figure di un’antica favola
per proporre dei concetti semplici ed interessanti. Questo, in sintesi, il
racconto.
Una donna di
nome Cura, mentre attraversava un fiume, fu attratta dal fango che vi scorse: decise
di raccoglierne un po’ e modellarlo. Realizzata la forma di un essere, si fermò
a riflettere su ciò che aveva plasmato con la materia proveniente dalla Terra,
quando sopraggiunse Giove. La presenza del re degli dei costituiva per la Cura
un’opportunità unica: ella, infatti, rivolse al dio l’istanza di conferire
parola e spirito alla sua opera. Giove accettò, ma a condizione di poter
scegliere il nome da imporre alla creatura. La Cura, consapevole dell’importanza
che avrebbe avuto il nome nel conferire senso ed appartenenza, si oppose. Per
il possesso dell’essere modellato col fango, si accese una disputa, per sedare
la quale intervenne Saturno come giudice imparziale. Ed ecco il verdetto
saturnino: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte
riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma
poiché la Cura ha forgiato per prima questo essere, fin che esso vive lo
possieda la Cura”[1].
Heidegger ci
spiega che la decisione intorno alla natura di questo essere umano originario
spetta al Tempo, qui personificato e deificato come Saturno. Infatti, la
determinazione pre-ontologica dell’uomo è funzione della sua vulnerabilità e
caducità: è esposto al rischio di danno, di malattia, di pericolo: può perdere
la propria vita, che già per sé appare precaria in quanto non eterna come
quella degli dei. Solo chi è vulnerabile e può perdersi, ha bisogno di cura nel
tempo.
Si comprende
come gli interrogativi che affrontiamo quando parliamo di terapia come arte
della cura, richiamino più profonde ed antiche istanze da sempre presenti nelle
coscienze e nella storia.
Per questo, si
è ritenuto inadeguato limitarsi all’ambito tecnico del sapere medico e psicologico
per riflettere e discutere di questi argomenti. La Cura, il suo Tempo, la
nostra Vita, si intrecciano in una più complessiva domanda di senso che è alla
radice di ogni esperienza umana.