IL DOLORE COME MALATTIA NEURODEGENERATIVA

 

(OTTAVA ED ULTIMA PARTE)

 

Le immagini che inequivocabilmente documentano la ridotta densità neuronica nel talamo di destra e nella corteccia prefrontale di pazienti affetti da dolore lombare cronico[1], hanno sollevato numerosi interrogativi che ancora attendono risposta: dopo quanto tempo una sofferenza protratta diventa degenerativa? L’evoluzione naturale tende alla progressione ingravescente o si auto-limita? Quali sono i fattori necessari e sufficienti perché il dolore cronico si trasformi in un processo degenerativo? Esiste una predisposizione su base genotipica? Si può caratterizzare un endofenotipo?

In attesa che la ricerca fornisca risposte a questi quesiti, una sperimentazione più direttamente rivolta ad un fine pratico-applicativo in ambito diagnostico sta cercando di individuare dei biomarkers da ricercare nel sangue o in campioni di tessuto, per individuare precocemente segni di alterazioni del sistema nervoso centrale che indichino lo sviluppo di dolore cronico. Tali markers potrebbero consentire lo studio di un trattamento altamente specifico ed anche individualizzato. Intanto, le acquisizioni qui discusse hanno aperto nuove strade alla sperimentazione terapeutica.

 

POSSIBILITA’ TERAPEUTICHE. La ricerca sulla terapia farmacologica del dolore sperimenta il blocco dell’amplificazione ad ogni livello delle vie dolorifiche al quale si ritiene che tale incremento degli stimoli nocicettivi si verifichi.

Alcuni farmaci allo studio sono stati concepiti per contrastare l’anomala attivazione dei nocicettori. L’azione di alcuni di questi medicamenti è intesa ad ottenere un “effetto spugna”, ossia assorbire proteine o fattori di crescita nervosa che si ritiene accentuino l’eccitabilità di tali cellule trasmettitrici del dolore. Fra le altre molecole che si sono sperimentate allo scopo di ridurre l’anomala ipereccitabilità neuronica, vi sono i bloccanti dei canali del sodio (Na+ channel blockers) e inibitori di enzimi quali la NO-sintetasi, per il loro effetto sulla neurotrasmissione[2].

In futuro nuovi analgesici potrebbero agire sul piccolo subset di cellule del corno dorsale del midollo spinale che Mantyh[3] e colleghi hanno legato allo sviluppo di sofferenza cronica, o sull’analoga popolazione individuata nella RVM. Una migliore comprensione dei meccanismi alla base del ruolo della ACC negli stati algici cronici, potrebbe portare allo sviluppo di farmaci agenti su questa area: molecole che, presumibilmente, avrebbero una maggiore efficacia nel ridurre gli effetti psicologici della sofferenza, vista l’importanza di questa parte della corteccia nell’elaborazione delle componenti affettivo-emotive delle sensazioni protopatiche.

Nelle intenzioni dei ricercatori, le terapie rivolte alla soppressione dell’abnorme amplificazione delle risposte nocicettive, non dovrebbero limitarsi al sollievo della sofferenza, ma dovrebbero anche prevenire le alterazioni strutturali e l’evoluzione nella patologia neurodegenerativa, temibile sia per gli effetti diretti sul sistema nervoso centrale, sia per il circolo vizioso che può innescare mediante l’indebolimento della soppressione cognitiva del dolore a causa del danno cortico-talamico. In altre parole, sono allo studio mezzi di trattamento che non si limitino ad agire sul sintomo, ma che si spera possano  arrestare la degenerazione anche nelle sue espressioni meno evidenti.

E’ importante ricordare che la terapia farmacologica non è che una componente della strategia di intervento intesa a far cessare un dolore cronico apparentemente intrattabile[4]. Gli interventi psicoterapeutici, il miglioramento della vita di relazione del paziente grazie a rapporti che esercitino un sostegno quotidiano e generino affetti espansivi, l’impiego di tecniche per generare affetti positivi[5], si sono rivelati efficaci in molti casi.

 

CONCLUSIONI. I recenti progressi compiuti nello studio dei meccanismi del dolore hanno tracciato una linea di demarcazione sempre più netta fra le basi biologiche della risposta nocicettiva acuta e quelle dello stabilirsi di una sofferenza cronica. La natura diversa delle due reazioni fisiologiche richiama l’attenzione sulla prevalenza del valore protettivo della prima e di quello nocivo della seconda. Nel dolore cronico, il difetto di inibizione discendente, l’ipereccitabilità dei nocicettori (abbassamento della soglia ed accentuazione della risposta) con particolari alterazioni molecolari, l’intervento di specifiche sub-popolazioni delle corna posteriori del midollo spinale e della RVM, il ruolo della ACC, dell’amigdala e di altre aree dell’elaborazione emotiva, l’intervento della corteccia e di fattori psicologici, nel loro insieme configurano un quadro che può essere accostato più ad uno stato tossico dell’organismo che al perdurare di una reazione acuta a stimoli potenzialmente dannosi.

L’aggiungersi a tali elementi della dimostrazione di una riduzione dei neuroni della corteccia prefrontale e di importanti strutture sottocorticali come il talamo, giustifica l’ipotesi di lavoro che considera il dolore cronico protratto alla stregua di una malattia neurodegenerativa, e ci rende conto dell’importanza della ricerca che tende ad individuare i meccanismi molecolari responsabili della degenerazione, allo scopo di prevenire conseguenze più gravi e insidiose della sofferenza stessa.

 

 

La nota, divisa in parti per la pubblicazione sul sito, è la trascrizione di una relazione tenuta giovedì 26 novembre 2009 dal professor Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze. L’autrice del testo, ringraziando il presidente per la disponibilità mostrata nell’accettare la riduzione della sua articolata trattazione e per le note aggiunte al testo, consiglia la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso, che sono state pubblicate negli ultimi anni nella sezione “NOTE E NOTIZIE” (a partire da quelle recenti, come Note e Notizie 21-11-09 La percezione del dolore nella donna) e degli altri scritti correlati, editi nelle altre sezioni del sito (ad esempio: Dibattito sui nuovi farmaci nella terapia del dolore in RUBRICHE - Dibattiti).

 

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Gennaio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RASSEGNA]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Le immagini presentate nel corso della relazione erano tratte da Apkarian V., et al. Chronoic back pain is associated with decreased prefrontal and thalamic gray matter density. Journal of Neuroscience 24 (46), November 17, 2004.

[2] Si veda anche in “I nuovi farmaci nella terapia del dolore” (percorso: HOME PAGE --- RUBRICHE --- DIBATTITI); nel testo del dibattito i partecipanti illustrano e discutono i meccanismi d’azione di farmaci di nuova concezione. Si ricorda, a coloro che non abbiano una specifica formazione in questo ambito, che nella sezione IN CORSO, sotto il titolo “Farmaci e meccanismi nella terapia del dolore”, vi è un’introduzione di farmacologia classica all’argomento secondo la ripartizione in analgesici (ad azione prevalentemente od esclusivamente centrale) ed antidolorifici o antalgici (ad azione periferica).

[3] Patrick W. Mantyh, attualmente all’Università dell’Arizona, all’epoca dell’identificazione di questi neuroni (1999) era all’Università del Minnesota.

[4] Esulano dai limiti di questa trattazione i riferimenti alle numerose tecniche di trattamento non farmacologico al vaglio sperimentale o attualmente in uso, fra le quali si annoverano procedure come l’agopuntura, che proviene da un’antica tradizione empirica ma da qualche decennio è studiata allo scopo di comprenderne le basi per un uso razionale. In proposito, si ricorda che l’impiego di aghi rotanti nell’analgesia spinale, basato su un criterio di interferenza sensitiva, ha già una lunga storia nella medicina clinica. Complessivamente i mezzi di analgesia non farmacologica, esclusi forse quelli basati su un training che educa la reazione al dolore, sembra che possano contare per la loro efficacia su una notevole componente di effetto placebo.

[5] Si veda in “IN CORSO”: G. Perrella, Le basi e l’uso degli effetti benefici di umorismo e risate. BM&L-Italia, Firenze 2010.