L’EMPATIA STUDIATA MEDIANTE RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE

 

 

 

L’empatia, ossia la profonda condivisione dei sentimenti su una base identificativa, non è esperienza costante e frequente nel corso della nostra vita, ma la sua esistenza non ha bisogno di dimostrazioni ed appartiene all’ordine di ciò che, se non si vive, si desidera. Pertanto si comprende come la ricerca volta a conoscere i processi che consentono ad un cervello di “consonare” con un altro possa suscitare interesse ben al di là del ristretto campo degli specialisti di neuroscienze.

Etimologicamente l’empatia è la condivisione della pena (pathos), come nello stato d’animo di chi vede una persona cara soffrire. Singer e i suoi collaboratori (Empathy for pain involves the affective but not sensory components of pain. Science 303, 1162-1167, 2004) hanno studiato mediante Risonanza Magnetica Nucleare Funzionale l’attività nel cervello di volontari e dei loro partners durante la somministrazione di uno shock doloroso. Come ci si poteva attendere, quando una persona subiva uno shock doloroso, si attivavano le aree che sono importanti nella percezione del dolore. Ma ciò che colpisce è che quando il partner di un soggetto da esperimento veniva sottoposto alla stessa penosa esperienza, parte delle stesse aree cerebrali che in questo soggetto si erano attivate nella percezione del proprio dolore, risultavano attive.

Le aree attivate durante l’esperienza empatica includono la corteccia cingolata anteriore (corteccia della circonvoluzione o giro del cingolo), la parte anteriore dell’Insula di Reil, il Tronco Encefalico ed aree laterali del Cervelletto.

E’ interessante che queste aree, nelle ricerche precedenti, sono state sempre associate all’esperienza affettiva nella sua mediazione neurovegetativa del dolore, in contrapposizione con la corteccia somatosensitiva neoencefalica, correlata agli aspetti di discriminazione sensitiva delle caratteristiche della sofferenza.

 

BM&L- Aprile 2004