BM&L-ITALIA,
FIRENZE 2008
La Ricerca
dello Spirito nel Cervello
1. Introduzione. La ricerca delle basi cerebrali
della spiritualità, delle esperienze mistiche e del sentimento religioso ha
ormai una lunga tradizione, ma solo negli ultimi anni sono stati compiuti reali
progressi nella definizione di correlati neurofunzionali degli stati mentali
studiati. Il recente sviluppo di questo campo di indagine ha assunto
proporzioni e caratteristiche tali da indurre alcuni ricercatori a chiedere di
riconoscerlo come disciplina indipendente, per la quale sono stati proposti due
possibili nomi, ciascuno dei quali ha già sollevato obiezioni e critiche: Neuroteologia (Neurotheology) e Neuroscienza
dello Spirito (Spiritual
Neuroscience).
Fra
i ricercatori sembra abbastanza diffusa l’idea che questi studi possano essere
indirizzati ad un fine terapeutico: l’individuazione dei processi che generano
benessere nell’esperienza religiosa, dovrebbe essere seguita dall’elaborazione
di metodi e tecniche per indurli indipendentemente da questa[1].
Lo
studio dell’argomento, che abbiamo avviato con altri soci di “Brain, Mind &
Life”, ci porta a dubitare dell’utilità di delimitare entro rigidi confini
questo ambito sperimentale, soprattutto in una fase di così rapida evoluzione
delle conoscenze neuroscientifiche come quella che stiamo vivendo, e ci induce
a nutrire qualche riserva circa la possibilità di conservare gli effetti di
benessere in una evocazione avulsa da una più generale esperienza mistica o
religiosa. Ma speriamo che i lettori, soprattutto sulla base dei risultati
sperimentali qui riassunti e più estesamente e dettagliatamente esposti nei
lavori originali, possano formarsi una personale opinione al riguardo.
Come
per ogni altro oggetto dell’indagine neuroscientifica, la cultura dell’ambito
in cui sono state condotte le ricerche ha influito in maniera determinante
sulla costituzione dei modelli per le tesi, le ipotesi e le interpretazioni dei
risultati; ma una revisione attenta delle pubblicazioni scientifiche delle tre
ultime decadi, ci ha consentito di rilevare che in questo caso le convinzioni
personali degli autori degli studi hanno spesso influito sulle loro conclusioni
più di quanto sia accaduto nello stesso periodo per altri argomenti.
Alcuni
ricercatori agnostici ritengono che i processi neurobiologici responsabili
dello stato affettivo-emotivo che caratterizza le esperienze mistiche siano
all’origine delle religioni. In altre parole, per costoro tutta la cultura
religiosa non sarebbe altro che letteratura, filosofia ed arte sviluppate quale
conseguenza di esperienze insolite o francamente patologiche che hanno
riguardato lontani progenitori e che ancora oggi interessano il cervello di
molte persone. Si comprende che per tali studiosi la definizione del profilo
neurofunzionale di un’esperienza mistica equivale a decifrare l’origine
biologica del sacro e del divino nei termini di uno stereotipo funzionale
minoritario o patologico, perciò non sorprende che possano essere tentati di
trascurare le differenze individuali e l’attività cerebrale “neutra”,
enfatizzando il dato che si avvicina ai reperti patologici.
All’opposto,
si può notare che fra i credenti, soprattutto cristiani di confessione
cattolica, c’è il rischio di una sottovalutazione del ruolo dell’esperienza
mistica e dunque dei processi cerebrali a questa connessi, perché secondo il
magistero della Chiesa tali vissuti non sono di per sé garanzia di una
condizione spirituale di vicinanza col divino, se non a certe precise
condizioni, e al più si possono considerare parte di una costellazione di
eventi fisiologici alla base dei molteplici aspetti psichici di una fede.
Fra i ricercatori dichiaratamente atei, poi, vi sono coloro che, come vedremo più avanti, con l’intento malcelato di dimostrare che ogni istanza soprannaturale possa essere ricondotta all’attività di un gruppo di neuroni, cercano un ipotetico “God Spot”, ossia un’area in cui sia localizzata una funzione corrispondente al divino nel cervello umano[2].
Per queste ragioni abbiamo ritenuto utile fornire qualche indicazione sulle ipotesi
sottoposte a verifica sperimentale e sull’orientamento di alcuni ricercatori,
anziché limitarci a riportare la sintesi di esperimenti e risultati, come in
genere si fa nelle rassegne scientifiche divulgative.
2. L’ipotesi del Lobo
Temporale. Senza
avventurarci in un tentativo di ricostruzione storica delle origini di questi
studi, proponiamo un breve cenno alle condizioni culturali in cui appare per la
prima volta un legame scientificamente fondato fra funzioni cerebrali ed esperienze
ricondotte all’ambito religioso: l’epilessia del lobo temporale.
Il
positivismo ottocentesco, dominante nelle scienze mediche, bandiva il
soprannaturale dagli oggetti del proprio interesse e tendeva a ricondurre al
patologico le esperienze di rapporto col divino. Una tale visione non si
limitava alle applicazioni cliniche relative a casi di disturbi mentali, ma
costituiva un atteggiamento culturale esteso all’interpretazione dei fatti
della storia. Così, le voci di Giovanna d’Arco erano allucinazioni uditive, le
apparizioni della Madonna, allucinazioni visive, e le estasi mistiche,
null’altro che fenomeni para-ipnotici auto- od etero-indotti. Nel 1892,
l’associazione fra religiosità emotiva (religious emotionalism) ed
epilessia è inclusa nei trattati di malattie nervose e mentali[3].
Nel
1975 Norman Geschwind, il celebre neurologo e studioso di neuroanatomia
funzionale del Boston Veterans Administration Hospital, per primo descrisse una
forma clinica di crisi epilettiche originate da alterazioni elettriche del lobo
temporale, in cui i pazienti riferivano intense esperienze spirituali.
Geschwind ed altri, fra cui David Bear della Vanderbilt University,
ipotizzarono che scariche elettriche sincrone di gruppi neuronici della
corteccia temporale potessero essere all’origine di pensieri ed ossessioni dai
contenuti religiosi o attinenti a questioni morali.
Questa
ipotesi è stata esaminata, venti anni dopo, da Vilayanur S. Ramachandran
dell’Università della California a San Diego, un ricercatore che ha a lungo
studiato i rapporti fra percezione e coscienza, indagando le basi neurali di
fenomeni come la sinestesia[4].
Ramachandran
ha supposto che la chiave del fenomeno sia da ricercare nelle funzioni del
sistema limbico, in stretta associazione morfo-funzionale con le formazioni del
lobo temporale. Sulla base di tale traccia, con i suoi collaboratori, ha
allestito degli esperimenti volti a valutare, nei pazienti affetti da epilessia
temporale, il rapporto fra contenuti psichici e risposte mediate da strutture
limbiche.
E’
noto che il contenuto emozionale di uno stato mentale, grazie alla mediazione
limbico-ipotalamica, è trasmesso dal sistema nervoso vegetativo alla cute,
nella quale determina una variazione della resistenza elettrica o risposta
galvanica, proporzionale all’intensità dell’emozione. Il gruppo di
Ramachandran ha sfruttato questo fenomeno secondo un collaudato modello
sperimentale, facendo ascoltare a pazienti affetti da epilessia temporale una
serie di parole dal significato sessuale, religioso o neutro, e poi rilevandone
la risposta cutanea. E’ risultato che parole come “Dio”, producevano una
reazione insolitamente intensa, che non aveva riscontro nelle persone non
affette.
I
ricercatori di San Diego hanno ritenuto gli esiti di questa sperimentazione una
conferma della maggiore propensione alla manifestazione di sentimenti religiosi
in questi pazienti. Secondo Ramachandran, l’attività elettrica patologica ha
rafforzato le connessioni fra le aree corticali temporali e le formazioni del
sistema limbico, producendo questo effetto[5].
Si
può osservare che una tale interpretazione non è una spiegazione
neurofisiologica del fenomeno perché, se è accettabile che l’epilessia
determini una maggiore influenza delle strutture limbiche su quelle temporali,
non si comprende perché questo debba aumentare la propensione al sacro o al
divino. Infatti, una maggiore attivazione dell’amigdala, complesso nucleare
sito nella profondità dorso-mediale del lobo temporale e principale componente
limbica nella mediazione delle emozioni, può aumentare, ad esempio, l’intensità
di risposta negli stati di paura, rabbia, innamoramento o eccitazione sessuale
e, dunque, in questo caso avrebbe potuto tutt’al più produrre maggiori effetti
sulla cute per parole offensive o erotiche.
Perché la tesi di Ramachandran possa ritenersi una spiegazione, è necessario accettare l’ipotesi che i sentimenti legati al sacro e al divino siano generati da una particolare forma di emotività con una base limbica non ancora definita.
D’altra
parte, da una sperimentazione che desume attività cerebrali da variazioni della
resistenza elettrica della pelle, non si poteva pretendere di più.
3. Persinger e il
“God Helmet”.
L’ipotesi dell’importanza del lobo temporale, la cui lunga tradizione è stata
tenuta viva dalla scuola di Geschwind, è stata messa alla prova, in esperimenti
ben più articolati, da Michael Persinger della Laurentian University in Ontario
(Canada).
Persinger
e il suo gruppo hanno realizzato un apposito strumento in grado di generare
campi elettromagnetici deboli e focalizzarli in aree circoscritte della
superficie corticale. Simile ad un casco da motociclista, di un vistoso colore
giallo, il copricapo in grado di stimolare parti discrete del lobo temporale,
ha ricevuto il suggestivo nome di “God helmet”.
E’
difficile sintetizzare in poche righe il lavoro di Persinger e dei suoi
collaboratori, perché i loro esperimenti sono stati condotti per anni su
centinaia di volontari e con diversi paradigmi sperimentali; per questo ci
limiteremo a considerare solo il risultato più rilevante ottenuto dal team
canadese: il “casco divino” è in grado di indurre la sensazione di una presenza
spirituale e materiale al contempo, in assenza di altre persone nella stanza in
cui avviene l’esperimento.
Durante
i tre minuti di stimolazione temporale mirata, le persone sottoposte
all’esperimento riferiscono ciò che provano traducendolo nel linguaggio della
propria religione e della propria cultura. Alcuni dicono di sentire la presenza
di Dio, altri di Budda, altri ancora parlano di una presenza benevolente o del
miracolo dell’universo. In questo stato mentale, qualcuno riferisce di sentire
come una beatitudine cosmica che rivela una verità universale.
Persinger
conclude che l’esperienza religiosa e la fede in Dio, non sono altro che la
conseguenza di anomalie elettriche cerebrali, e la vocazione, anche delle
figure più carismatiche delle grandi religioni, quali Mosè, San Paolo, Maometto
e Budda, sia originata da tali disturbi neurologici.
Studiando
attentamente i resoconti delle prove sperimentali condotte con il “God helmet”,
non si può aggiungere molto, in chiave concettuale, alla sintesi appena
riferita e, dunque, sulla base di quanto appena esposto, si può affermare che
le conclusioni di Michael Persinger non sono desumibili dal risultato degli
esperimenti; in altre parole, non sono la conseguenza logica ed obbligata della
lettura degli esiti della sperimentazione.
Infatti,
che una sensazione sia prodotta da condizioni patologiche o artificiali, non
vuol dire che solo queste la possano produrre, ma solo che il cervello è
predisposto a generarla. Lesioni ipotalamiche possono causare fame intensa, e
lesioni dell’amigdala causano desiderio sessuale, ma non per questo diciamo che
l’appetito per i cibi e il desiderio di accoppiarsi non siano altro che il
prodotto di danni cerebrali. Si può dunque supporre che, come per le pulsioni
alimentari ed erotiche esiste una fisiologia, esista una condizione fisiologica
degli stati mistici e spirituali, che non ha bisogno dell’epilessia o del “God
helmet” per manifestarsi, e della quale si sa ancora poco in termini biologici[6].
La
tesi di Persinger, che ricalca ed amplia quella di Norman Geschwind, era già
bene espressa venti anni or sono, quando lo studioso dell’Ontario spiegava che
la base neuropatologica delle esperienze mistiche di alcuni, aveva creato un
pensiero che, formalizzato e custodito nelle religioni, si era sviluppato e
consolidato attraverso una serie di condizionamenti psicologici ad associare il
positivo ed il piacevole con il sacro[7].
In tal modo, nelle società pervase dalla cultura religiosa, ogni vissuto
paragonabile a quelli ottenuti con il casco erogatore di campi magnetici,
sarebbe stato ricondotto ad una interpretazione obbligata secondo principi,
dogmi e tematiche della religione professata in quella comunità. Come esempio
delle associazioni del piacere al soprannaturale, lo studioso della Laurentian
University, cita l’uso ebraico e cristiano di recitare una preghiera prima dei
pasti, ed afferma che Dio non è nulla di più mistico di ciò.
Nonostante
numerose critiche, la tesi e le interpretazioni di Persinger hanno goduto di un
notevole credito fino al 2005, quando un gruppo di ricercatori svedesi ha
condotto uno studio di verifica provando a ripetere i risultati ottenuti con il
“God helmet”. Il rigore e l’impegno del team scandinavo ha consentito
l’allestimento di procedure ottimali, ma gli esperimenti non hanno riprodotto i
risultati canadesi[8], che
pertanto non sono stati confermati.
Una
critica più generale, che è stata mossa alle ricerche basate sull’ipotesi
del lobo temporale, consiste nel rilevare che l’esperienza spirituale
include elementi vari e di diversa natura, e nella vita di molti può essere del
tutto priva di stati mentali collegati alla dimensione mistica e, perciò, rimane
lontana dalle suggestioni prodotte dal disturbo epilettico o dalla stimolazione
con campi magnetici deboli.
Hanno
accolto questa critica i gruppi di ricerca che indagano, nel corso di
esperienze dello spirito e di pratiche religiose, i correlati neurofunzionali
degli stati mentali, considerando la possibilità che a condizioni, pratiche ed
esperienze differenti, possano corrispondere quadri di attività diversi,
potenzialmente localizzati in qualsiasi lobo del cervello o area dell’encefalo.
In
questo tipo di studi, i ricercatori hanno spesso confrontato i rilievi ottenuti
studiando stati mentali accostabili in termini di apparenza funzionale, anche
se generati in realtà culturali diverse. Ad esempio, la calma indotta dalla
recita del rosario nei cattolici, è stata paragonata all’effetto prodotto nei
seguaci di altre religioni da pratiche caratterizzate dalla ripetizione di
specifiche formule. Naturalmente, l’accostamento può difficilmente essere
accettato dai praticanti, ma l’intento è quello di definire e mettere alla
prova un’ipotesi di lavoro un po’ più generale, circa i processi che operano
quando si è assorti e concentrati in preghiera, magari verificando se le
caratteristiche o i contenuti di pratiche buddiste, cattoliche, indù o
islamiche, inducono differenti schemi di attività cerebrale.
4. Il cervello nella
meditazione buddista. Andrew
Newberg della University of Pennsylvania e il suo compianto collega Eugene
d’Aquili, hanno studiato il cervello di buddisti praticanti, mediante
tomografia ad emissione di singolo fotone (single photon emission computed
tomography o SPECT).
Questa
metodica di neuroimaging, impiegando radionuclidi gamma-emittenti
convenzionali, fornisce quadri funzionali del cervello con un grado di
sensibilità abbastanza alto, e presenta anche il vantaggio di consentire il
rilievo delle immagini con una gamma-camera simile a quella che si
impiega per le comuni scintigrafie. Lo svantaggio di questa metodica è dato da
una bassa risoluzione spaziale; in altre parole con la SPECT la delimitazione
anatomica delle aree attive rispetto a quelle silenti, risulta imprecisa.
Newberg
e d’Aquili hanno iniettato il radionuclide nel sangue dei volontari durante la
meditazione buddista, una pratica costituita da un insieme di rituali
formalizzati, volti al fine di ottenere definiti stati spirituali, come la
sensazione di fusione con l’universo. La formazione delle immagini, che deriva
dall’assunzione del radionuclide da parte dei neuroni in proporzione diretta al
loro grado di attività, presentava un quadro caratteristico nella fase
corrispondente al picco della trance meditativa.
Infatti,
quando ciascuno degli otto buddisti tibetani partecipanti all’esperimento
comunicava di aver raggiunto tale stato, la distribuzione del radionuclide nel
cervello assumeva una configurazione del tutto peculiare, caratterizzata da una
brusca caduta di attività in una estesa area del lobo parietale, associata ad
un incremento funzionale nella corteccia prefrontale dorsolaterale, frontale
inferiore ed orbitaria, oltre che nel talamo e nel giro del cingolo.
Newberg,
d’Aquili e i loro colleghi, hanno fornito un’interpretazione di tale quadro
sulla base di nozioni classiche di neuroanatomia funzionale (Newberg et al.,
2001). Infatti, poiché la parte in questione del lobo parietale interviene
nella perlustrazione, nella ricerca della direzione da seguire per raggiungere
una meta, nell’esplorazione di ambienti nuovi e nell’orientamento spaziale,
hanno ipotizzato che il suo silenzio riflettesse la cessazione di processi che
collegano il soggetto con l’ambiente circostante, facilitando la sensazione di
dissoluzione dei confini fisici e lo sviluppo del sentimento di fusione con
l’universo. Allo stesso modo, l’iperattività della corteccia prefrontale è
stata interpretata facendo ricorso alla sua ben nota importanza
nell’attenzione, nella pianificazione e in compiti cognitivi che richiedono
concentrazione: il suo reclutamento al picco dello stato meditativo
rifletterebbe il fatto che il raggiungimento di tale condizione si ottiene
spesso concentrandosi su un pensiero o su un oggetto (Newberg et al.,
2001; David Biello, 2007).
Richard
J. Davidson, con i suoi collaboratori della Wisconsin-Madison University, ha
studiato centinaia di buddisti provenienti da ogni parte del mondo, impiegando
la risonanza magnetica funzionale (fMRI).
La
risonanza magnetica nucleare (MRI) consente di ottenere le immagini del
cervello con il più alto grado di risoluzione spaziale e tonale e, dunque, con
la massima fedeltà anatomica; perciò, fin dalla sua introduzione, è stata
considerata la metodica elettiva per lo studio morfologico del sistema nervoso
centrale. Come è noto, si basa sulla possibilità che hanno alcuni nuclei
atomici di “risuonare”, ossia di assorbire e cedere energia nella forma di un
segnale contenente informazioni sulla densità e sulle caratteristiche chimiche
del tessuto; l’opportuna elaborazione di questo segnale si traduce in immagini.
Il limite principale di questa metodica consiste nel non fornire dati sulla
fisiologia dell’organo esaminato. Per avere immagini della funzione cerebrale
si è fatto ricorso, a lungo, alla tomografia ad emissione di positroni (PET)
con Fluoro-18-desossiglucosio che, pur presentando numerosi vantaggi rispetto
alla SPECT (o SPET), rimane molto lontana dalla fedeltà anatomica che si
ottiene mediante la IR (Inversion-Recovery) nella risonanza magnetica.
La
messa a punto di tecniche che hanno consentito alla MRI di associare alla
precisione anatomica lo studio dell’attività dei neuroni, realizzando una nuova
procedura detta appunto risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha fornito alla
ricerca uno strumento prezioso per valutare quali siano le aree attive durante
un processo psichico o uno stato mentale.
La
fMRI è in grado di tracciare il flusso del sangue ossigenato, in virtù delle
sue proprietà magnetiche che lo rendono diverso dal sangue povero di O2.
Poiché questo flusso è diretto dalle richieste dei neuroni che sono attivi in
quel momento, la fMRI è in grado di riportare fedelmente la distribuzione delle
aree con le cellule nervose maggiormente impegnate in attività metaboliche al
servizio della neurotrasmissione. Si presume che i gruppi neuronici più attivi
durante un compito o nel provare un’emozione, siano quelli responsabili di tali
funzioni, e l’interpretazione delle immagini prevede la taratura del giudizio
sulla base di repertori standard di quadri cerebrali ottenuti da
volontari in condizioni basali, o correlati a vari stati fisiologici e
patologici.
Le
osservazioni di Davidson, sulle prime, appaiono molto simili a quelle di
Newberg e d’Aquili, ma ad uno studio più approfondito emergono interessanti
differenze (Davidson et al., 2002).
Una
prima differenza è data dalla maggiore precisione nella definizione delle aree,
sebbene l’attivazione della corteccia prefrontale risulti confermata. Gli
autori interpretano il dato come l’espressione della capacità dei praticanti
esperti di concentrarsi a dispetto delle distrazioni dovute alla condizione
sperimentale. Considerato l’alto numero dei partecipanti, la sensibilità e la
fedeltà maggiore della fMRI rispetto alla SPECT, il risultato è stato accettato
come definitivo.
Un
altro dato emergente da questi studi è il riscontro, durante la meditazione, di
una bassa attivazione cerebrale nei
buddisti di lungo corso, rispetto ai praticanti meno esperti. L’interpretazione
fornita dai ricercatori della Wisconsin-Madison University si basa su un
principio di fisiologia cerebrale: un apprendimento consolidato da migliaia di
ripetizioni migliora molto l’efficienza della prestazione, riducendo lo sforzo
funzionale richiesto per l’esecuzione. Un’interpretazione alternativa potrebbe
essere che l’obiettivo di un profondo stato meditativo corrisponde ad una
bassa funzione psichica attuale, meglio ottenuta dai praticanti esperti.
Lo
stesso Davidson ha recentemente proposto un commento che ci sembra maggiormente
in linea con la nostra interpretazione alternativa: i veterani della pratica
buddista dichiarano di aver raggiunto uno stato di “concentrazione senza
sforzo” (David Biello, 2007)[9].
Vogliamo,
a questo punto, richiamare l’attenzione su una conseguenza derivante
dall’accettazione della spiegazione lineare, ed apparentemente quasi banale,
data dal gruppo di Davidson alla minore attivazione nei praticanti esperti: se
il quadro registrato con la fMRI nei meno esperti esprime uno sforzo
funzionale, allora riflette in parte un’attività aspecifica e non strettamente
correlata con i processi necessari alla meditazione.
Non
si tratta di un’osservazione di poco conto, visto che gli studi condotti con
metodiche di neuroimaging basano la loro validità su un’equazione fra
immagine e funzione psichica studiata.
E’
interessante notare che in questo tipo di ricerche, se da un canto le funzioni
psichiche sono poste al vaglio delle tecniche, dall’altro la sperimentazione
costituisce un banco di prova per le tecniche stesse e per i ragionamenti
interpretativi degli esiti, su cui si basa il senso che attribuiamo ai
risultati.
In
questa prospettiva, lo studio condotto da Newberg e d’Aquili su suore
appartenenti ad un ordine francescano, l’anno successivo alla pubblicazione del
lavoro sui buddisti appena discusso, può assumere un valore di verifica
(Newberg, Pourdehnad, Alavi e d’Aquili, 2003).
5. Le suore
francescane e le donne “glossolaliche”. I ricercatori della Divisione di Medicina Nucleare
dell’Università della Pennsylvania hanno deciso di concentrare l’attenzione
sulla fase più intima ed intensa dell’esperienza spirituale, perciò hanno
scelto tre delle religiose cattoliche che soddisfacevano il criterio di accedere
ad un’intensa e profonda partecipazione, e le hanno sottoposte a SPECT durante
una preghiera meditativa caratterizzata dalla ripetizione mentale di una
formula verbale. In questa condizione, le suore vivevano la sensazione di
essere estremamente vicine a Dio, fino a sentirsi in una completa comunione
spirituale col divino.
Il
profilo di attivazione cerebrale delle religiose cristiane per alcuni aspetti
ricalcava quello dei buddisti ma, soprattutto, ha reso evidente che durante la
meditazione hanno luogo vari processi cognitivi fra loro coordinati, che
richiedono un affinamento metodologico per essere studiati[10].
E’
stato obiettato che, con le attuali metodiche, lo studio del correlato
funzionale di uno stato di estasi meditativa è molto aspecifico e rischia di
non avere un vero e proprio rapporto con il vissuto religioso. Secondo tale
posizione critica, andrebbero studiati e confrontati vari aspetti della vita
spirituale, e i ricercatori dovrebbero essere attenti a tutti i fenomeni che
interessano la coscienza del soggetto producendo effetti comunicabili.
Fra
i ricercatori sensibili a questa prospettiva c’è lo stesso Newberg che, non
molto tempo fa, ha avuto modo di studiare la funzione cerebrale durante un
evento eccezionale noto come glossolalia o dono delle lingue,
fenomeno che si verifica spontaneamente durante stati di intenso fervore
religioso e consistente nell’esprimersi con parole spesso incomprensibili ai
presenti e perciò considerate appartenenti ad idiomi stranieri.
Andrew
Newberg e i suoi colleghi hanno
esaminato l’attività cerebrale di cinque donne che, all’acme di un’esperienza
mistica, articolavano espressioni verbali insolite, suggestivamente accostabili
al dono di parlare lingue sconosciute, ed hanno paragonato i reperti a quelli di
cinque persone impegnate in canti religiosi (gospel). Il risultato
evidenziava, nelle donne in trance mistica, una caduta di attività nei
lobi frontali. Poiché questa parte del cervello ha un ruolo importante
nell’autocontrollo e nei processi cognitivi coscienti, i ricercatori concludono
che la singolare prestazione linguistica è il semplice effetto della perdita di
questa funzione di controllo[11].
In
proposito si deve osservare che, in psichiatria, una lunga tradizione aveva
associato tali manifestazioni alla personalità isterica e le aveva attribuite
ad uno stato dissociativo descrivibile come perdita dell’inibizione esercitata
dal controllo corticale cosciente su processi non coscienti[12].
Se a questo si aggiunge che, in chiave neuropsicologica, il controllo inibitorio
è attribuito alla corteccia dei lobi frontali, si può affermare che i risultati
di questo studio non aggiungono nulla di concettualmente nuovo al quadro
interpretativo tradizionale e, soprattutto, non consentono di mettere in
relazione il fenomeno con una specifica esperienza religiosa e con un processo
cerebrale esclusivo del “parlare le lingue”.
Gli
autori dello studio osservano, tuttavia, che dalla sperimentazione si ricava un
interessante spunto per una riflessione critica sull’impostazione “patogenetica”
delle tradizionali spiegazioni di tali manifestazioni. Infatti, gli elementi
emersi dall’esame delle cinque donne, non consentono di far rientrare nella
psicopatologia l’insolito fenomeno locutorio, non più di quanto lo si possa
fare per il parlare nel sonno, in corso di ipnosi o di un rilassamento
profondo. Secondo Newberg e i suoi collaboratori, questi risultati sono una
prova ulteriore di capacità intrinseche del nostro cervello e non espressione
di patologia.
D’altra
parte, Newberg e d’Aquili avevano ricavato dai propri studi una visione opposta
a quella di Geschwind, Bear e Persinger[13],
e già espressa in un saggio pubblicato nel 2001, nel quale si legge: “Noi non
crediamo che le vere esperienze mistiche possano essere interpretate come il risultato
di allucinazioni epilettiche o come il prodotto di altri stati allucinatori
indotti da droghe, malattia, prostrazione fisica o deprivazione sensoriale. Le
allucinazioni, non importa quale ne sia la fonte, semplicemente non sono capaci
di fornire alla mente un’esperienza così convincente come quella della
spiritualità mistica”[14].
E più avanti: “Al cuore della nostra teoria c’è un modello neurologico che
fornisce un legame fra l’esperienza mistica e il funzionamento cerebrale
osservabile. In termini semplici, il cervello sembra avere la capacità
intrinseca (built-in) di trascendere la percezione di un sé individuale.
Noi abbiamo teorizzato che questo talento per l’auto-trascendenza è alla radice
del bisogno religioso”[15].
L’aspetto
che ha maggiormente attratto l’attenzione di altri studiosi - in questa ricerca
di una fisiologia della spiritualità nel cervello - è la dimostrazione
di attività in varie aree dell’encefalo, in particolare le evidenze, nello
studio delle tre suore menzionato in precedenza, di diversi processi fra loro
coordinati. Mario Beauregard e i suoi collaboratori dell’Università di
Montreal, che si erano prefissi di accertare se esista una specifica base per
la coscienza mistica nel lobo temporale e se la contemplazione mistica produca stati
cerebrali non associati alla coscienza ordinaria, hanno ricevuto uno stimolo
significativo da questo studio.
6. Beauregard e
Paquette verificano le tesi di Persinger. I ricercatori canadesi nutrivano molti dubbi
sull’esistenza del “God Spot” teorizzato da Persinger, tuttavia sapevano che
questa tesi si era basata sull’esame di centinaia di volontari, mentre le
evidenze di una pluralità di circuiti erano affidate solo alle immagini delle
tre religiose ottenute mediante SPET, una metodica con bassa risoluzione
spaziale e da molti ritenuta obsoleta. Per questo si sono proposti lo studio di
un numero più elevato di suore mediante fMRI e QEEG.
Delle
caratteristiche della risonanza magnetica funzionale si è già detto, a ciò si
aggiunga che l’équipe canadese dispone di un’apparecchiatura all’avanguardia e
di una discreta esperienza nell’uso di tecniche di neuroimaging maturata
presso il CRIUGM (Centro di Ricerca dell’Istituto Universitario di Geriatria di
Montreal) e il CERNEC (Centro di Ricerca in Neuropsicologia e Cognizione). Per
ciò che riguarda l’elettroencefalografia quantitativa (QEEG), si può dire, in
sintesi, che consiste nel rilievo di patterns elettrici di onde
cerebrali, nella loro analisi statistica e nella successiva traduzione, secondo
una scala cromatica, in immagini a colori.
Bauregard
e colleghi, non senza difficoltà, sono riusciti ad ottenere un campione
costituito da 15 carmelitane che, dopo un’accorta e rispettosa opera di
persuasione[16], hanno
accettato di lasciare il ritiro claustrale per sottoporsi ad uno studio volto a
verificare l’ipotesi della partecipazione di numerose aree cerebrali alla
fisiologia degli stati mistici[17],
con l’impiego di procedure e metodi in grado di fornire dati di gran lunga più
dettagliati e specifici di quelli ottenuti in passato.
Vincent
Paquette, studente di dottorato di Beauregard, aveva suggerito lo studio della
“unio mystica”, ossia uno stato di totale unione con Dio, raggiunto mediante la
preghiera contemplativa. Per questo la scelta è caduta sull’ordine delle
carmelitane, suore che nella loro vita di contemplazione hanno il fine
dell’unione spirituale col divino.
E’
vero che un’intensa esperienza mistica, percepita come un cambiamento dello
stato di coscienza così profondo da modificare la percezione di sé e del mondo,
si verifica solo una o due volte in tutta la vita di una religiosa, ma è pur
vero che un costante esercizio all’orazione contemplativa facilita il
raggiungimento di condizioni mentali di serena quiete e di gioia, che non hanno riscontro nella quotidiana
esperienza di molti, anche fra i religiosi.
Inizialmente
i ricercatori, un po’ ingenuamente, avevano immaginato che le suore potessero
giungere alla “unio mystica” durante gli esperimenti, ma Sister Diane, la madre
superiora del Convento delle Carmelitane di Montreal, ridendo aveva osservato:
“Dio non può essere convocato a richiesta.”[18]
L’osservazione
non è stata priva di conseguenze, ed ha infatti avviato un dialogo ed una
riflessione sul modo di condurre gli esperimenti stessi. A proposito della
ricerca volontaria dell’esperienza mistica, la religiosa aveva avvertito: “Non
puoi cercarla. Più accanitamente la cerchi, più a lungo dovrai aspettare”[19].
I ricercatori hanno fatto tesoro delle sue parole e le hanno tradotte in
termini neurofunzionali: l’intenzione volontaria può creare un’interferenza, un
disturbo (mental noise), che dovrà poi essere eliminato per ottenere la
condizione più adatta allo stato contemplativo.
Nella
definizione del protocollo si è deciso di ricorrere alla rievocazione, secondo
il seguente schema sperimentale:
1)
rievocazione o riviviscenza delle più significative esperienze mistiche vissute
in precedenza (condizione mistica);
2)
rievocazione o riviviscenza del più intenso stato di unione esperito con una
persona facente parte dell’ordine religioso (condizione affettiva);
3)
stato di riposo come riferimento di base (condizione neutra).
In
tutti e tre i casi, gli occhi dovevano rimanere chiusi. La condizione affettiva
del punto “2” è stata concepita come controllo diretto di quella mistica: un
confronto fra i correlati neurali dei due stati avrebbe potuto consentire di
rilevare differenze e ipotizzare eventuali specificità. Lo stato di riposo era
stato previsto come controllo generale.
Su
questa base sono stati allestiti due differenti studi.
STUDIO
1 (fMRI): Attività cerebrale durante
un’esperienza mistica.
STUDIO
2 (QEEG): Correlati neuroelettrici
dell’unione mistica.
STUDIO
1 (fMRI): Attività cerebrale durante
un’esperienza mistica.
Lo
scopo principale di questo studio era l’accertamento dell’esistenza di un’area
più attiva di altre nel corso dell’esperienza mistica. In altre parole,
Bauregard, Paquette e gli altri collaboratori, sottoponevano a verifica
sperimentale l’esistenza di quel “God Spot” che Michael Persinger aveva
localizzato nel lobo temporale.
Le
15 suore, nelle tre condizioni definite (mistica, affettiva e basale), sono
entrate nel vano di scansione dell’apparecchio per la fMRI, dove il sistema
tomografico ogni 3 secondi ha registrato l’attività cerebrale nelle sezioni
craniche prescelte, ottenendo un quadro funzionale di tutto l’encefalo ogni 2
minuti circa.
Finita
la prova, l’interpretazione delle immagini si è basata sul confronto fra lo
stato di rievocazione dell’esperienza mistica e gli altri due stati di controllo.
I ricercatori hanno anche voluto mettere in rapporto i dati oggettivi con il
vissuto soggettivo delle religiose[20],
impiegando un’intervista non strutturata e due riferimenti utili per la
comparazione con altri studi: una scala di intensità soggettiva da 0 a 5[21]
e la “Hood’s Mysticism Scale”.
La
scala di Hood non è stata concepita per la spiritualità cristiana, perciò i
ricercatori non hanno potuto applicarla integralmente, ma hanno dovuto
selezionare le 15 domande corrispondenti alle voci più vicine alla concezione
delle suore; qui di seguito si riportano i tre items che descrivevano
l’esperienza delle carmelitane.
LE
TRE VOCI DELLA HOOD’S MYSTICISM SCALE |
Ho avuto un’esperienza che sapevo essere
sacra |
Ho avuto un’esperienza in cui ero
assorbita da qualcosa di più grande di me |
Ho esperito una gioia profonda |
Durante
le interviste condotte al termine dell’esperimento, le suore hanno detto di
aver sentito la presenza di Dio e del suo incondizionato ed infinito amore,
oltre ad una sensazione di pienezza e di pace. Tutte hanno precisato che la
rievocazione dell’esperienza mistica richiesta dai ricercatori, aveva generato
una condizione di coscienza diversa da quella che avevano quando cercavano di
auto-indurre lo stato di comunione col Signore. Nel rievocare, si è spesso
attivata un’immaginazione visiva e motoria.
E’
importante notare che anche nella condizione di controllo le suore hanno
provato un sentimento di amore incondizionato.
Il
principale risultato di questo studio è consistito nel rilievo di almeno 6
distinte regioni encefaliche attive solo durante la reminescenza
dell’esperienza mistica: il nucleo caudato, l’insula di Reil, il lobulo
parietale inferiore, la corteccia orbito-frontale, la corteccia
prefrontale mediale e la corteccia temporale media di destra, oltre
ad aree quali la corteccia visiva e il tronco encefalico
nell’antimero di sinistra.
Il
nucleo caudato è una formazione grigia della base encefalica, parte del
corpo striato, che svolge un importante ruolo nell’apprendimento di procedure
motorie e nella formazione di memorie in varie altre forme di conoscenza;
sebbene sia tradizionalmente messo in relazione con la neurofisiologia del
movimento, recentemente è stata dimostrata la sua attività nell’innamoramento.
A quest’ultima evidenza sperimentale fanno riferimento Bauregard e colleghi,
nell’ipotizzare che la base neurale del sentimento di amore incondizionato,
provato dalle suore durante l’esperienza mistica, consista in un processo che
ha il suo fulcro nei neuroni del nucleo caudato.
L’insula,
così detta da Reil perché circondata da un solco che la delimita
topograficamente come un’isola (insula di Reil), è una formazione grigia
situata nella fossa laterale del cervello ed implicata nel controllo di alcune
sensazioni corporee, nella regolazione delle emozioni sociali e in
comportamenti legati ad alcuni tipi di piacere[22].
L’attivazione delle cellule nervose di quest’area è stata associata dai
ricercatori alle sensazioni piacevoli provate durante la gioia per l’amore
divino.
L’aumento
di attività nel lobulo parietale inferiore è un reperto di grande
interesse, perché in contrasto con i risultati ottenuti in precedenza dagli
altri ricercatori e, in particolare, con quelli dei gruppi di Newberg e
Davidson, che abbiamo esaminato in precedenza. In questi studi, il crollo di
attività in gran parte del lobo parietale era stato registrato in volontari
buddisti[23], pertanto
la differenza può essere attribuita alla diversa
esperienza e, sia pure
con la dovuta prudenza, ad uno stato mentale che riflette una condizione
spirituale diversa. Secondo i ricercatori canadesi, l’attività di aree
parietali che mediano funzioni connesse con la coscienza del corpo, corrisponde
alla sensazione di essere, nell’integrità della propria persona, “assorbita da
qualcosa di più grande di me”, secondo la voce della Hood’s Mysticism Scale
scelta dalle religiose del Carmelo.
STUDIO
2 (QEEG): CORRELATI NEUROELETTRICI
DELL’UNIONE MISTICA.
Lo
stesso campione di 15 suore carmelitane dello studio condotto con fMRI, è stato
sottoposto nelle stesse condizioni (mistica, affettiva e di base) ad indagine
mediante QEEG, in una piccola stanza oscurata, in isolamento acustico ed
elettromagnetico, con la sola eccezione di una telecamera a raggi infrarossi
che ha consentito ai ricercatori l’osservazione costante delle religiose. Un
tale ambiente ha facilitato il raccoglimento e l’immersione in se stessi.
Per
definire la corrispondenza fra i dati QEEG e l’esperienza soggettiva, è stata
impiegata la procedura dell’esperimento precedente, ma la descrizione di ciò
che hanno provato le suore ha fatto aggiungere altre tre voci a quelle
prescelte dalla “Hood’s Mysticism Scale”. Le tre nuove frasi, che riportiamo
nella tabella seguente, testimoniano una maggiore intensità.
LE
SEI VOCI DELLA HOOD’S MYSTICISM SCALE |
Ho avuto un’esperienza che sapevo essere
sacra |
Ho avuto un’esperienza in cui ero
assorbita da qualcosa di più grande di me |
Ho esperito una gioia profonda |
Ho avuto un’esperienza che non può essere
espressa a parole |
Ho sentito che tutto in questo mondo è
parte di uno stesso intero |
Ho avuto un’esperienza impossibile da
comunicare |
Come
nello studio precedente, varie suore hanno riferito di aver sentito la presenza
di Dio e del suo amore incondizionato e infinito, oltre a sensazioni di pienezza
e di pace; in più hanno provato come un abbandono nello Spirito del Signore.
La
rievocazione di un’esperienza mistica vissuta in passato ha dato ottimi
risultati in questo esperimento, ad esempio Sister Nicole, che ha rievocato una
unio mystica raggiunta da ragazza, ha riferito che il ricordo e
l’esperienza attuale si erano fusi nella sua coscienza e, mentre era in tale
stato, con una voce sognante ed appagata ha detto di stare ascoltando il Canone
di Pachelbel[24]. La
religiosa, lasciando la stanza insonorizzata alla fine della registrazione
QEEG, ha commentato: “non mi sono mai sentita così amata”.
Una
vita di preghiera e contemplazione nel silenzio del convento, ha consentito
alle carmelitane di sentirsi a proprio agio nell’isolamento visivo ed acustico
dell’esperimento, equivalente al pregare in una piccola cella buia. E’
importante sottolineare che, provando a rievocare una condizione mistica,
le suore sono riuscite, in parte, a riviverla: cosa mai accaduta in precedenza
e dalle stesse religiose ritenuta impossibile prima dell’esperimento[25].
I correlati neuroelettrici hanno mostrato,
rispetto alle due condizioni di controllo, una generale presenza di onde lente
(attività theta) particolarmente evidente in alcune aree dei lobi parietali e temporali, ma
rilevata anche nella corteccia anteriore del giro del cingolo e nella corteccia
prefrontale mediale[26].
Tali
rilevi sono coerenti con il cambiamento di stato di coscienza, come dimostrato
in precedenti studi condotti su soggetti in Sahaja Yoga e in un tipo di
meditazione Zen detta Su-soku, tuttavia si discostano dai reperti di incremento
di attività theta limitato ai lobi frontali, tipico di queste
esperienze meditative orientali.
COSIDERAZIONI
CONCLUSIVE SUI RISULTATI DEGLI STUDI fMRI E QEEG.
Presi
insieme, i risultati di questi due studi documentano un’attività cerebrale
estesa e complessa, che confuta definitivamente l’ipotesi di un unico centro
localizzato nel lobo temporale con funzione di base neurale delle esperienze
mistiche.
Un
secondo aspetto rilevante è dato dall’esito del confronto fra lo stato mentale
che si produce nella riattualizzazione di un’esperienza mistica e quello
seguito alla rievocazione dell’affetto provato per un’altra persona: le basi
neurali risultano notevolmente diverse.
Le
aree cerebrali identificate, soprattutto mediante fMRI, si discostano in parte
da quelle individuate in altri studi, e questa differenza potrebbe essere
spiegata sia sulla base della diversa esperienza legata alla religione[27]
(meditazione buddista, in molti lavori) sia perché Beauregard e Paquette sono
riusciti ad ottenere quadri funzionali durante lo sviluppo di un’esperienza
mistica attuale.
L’aumento
diffuso dell’attività theta, ossia delle onde lente, indica una
modificazione di funzioni neurali alla base della coscienza e concorda con
quanto rilevato mediante QEEG in precedenti studi su volontari in Sahaja Yoga o
in Su-soku; ma, se si considera la distribuzione delle onde theta nelle
suore carmelitane, il profilo risulta alquanto diverso, non prevalendo nel lobo
frontale come nei buddisti, ma in una serie di altre aree, fra cui l’insula,
la corteccia parietale e temporale, la corteccia del giro del
cingolo, ecc.
Ulteriori
studi potrebbero definire se i patterns, considerati dai ricercatori
canadesi corrispondenti al vissuto soggettivo durante le esperienze mistiche ed
affettive, possano essere almeno in parte generalizzati, e se alcune delle
differenze riscontrate possano essere attribuite alle diversità oggettivabili
in termini di contenuti mentali e credo religioso.
In
una sintesi schematica, qui di seguito riassumiamo in quattro punti concettuali
gli aspetti di maggior rilievo.
1)
La base neurale delle esperienze mistiche studiate, costituita da 6 aree di
maggiore attività e da numerosi altri raggruppamenti neuronici attivi, confuta
definitivamente l’ipotesi di un “God Spot” unico, sostenuta da Michael
Persinger.
2)
Le basi neurali delle esperienze mistiche sono diverse da quelle dei semplici
stati affettivi.
3)
La contemplazione cristiana delle suore carmelitane ha fatto registrare quadri
funzionali diversi da quelli rilevati in varie forme di meditazione.
4)
L’attualità dell’esperienza mistica ha mostrato un profilo funzionale cerebrale
diverso da quello registrato in corso di auto-induzione.
7. Il tipo di pratica
religiosa e perfino le convinzioni dei praticanti potrebbero influenzare i
quadri di fisiologia encefalica. Gli studi più importanti, come abbiamo visto fin qui, sono
stati condotti su buddisti in meditazione e su religiose cristiane in contemplazione,
in genere assumendo un’ipotetica equivalenza fra stati mentali indotti da due
pratiche fondate su concezioni e tradizioni tanto diverse. In un certo senso,
nel ritenere equivalenti lo stato meditativo e quello contemplativo, si è fatto
di necessità virtù, per la nota impossibilità di accedere ai contenuti mentali
con procedure che li rendano oggettivi. Infatti, se con le metodiche di studio
attualmente impiegate si può facilmente distinguere un cervello attivamente
impegnato nell’elaborazione di un pensiero da uno passivamente disposto al
riposo, non è possibile leggere i contenuti ideativi, ed è oltremodo difficile
ricondurre i patterns di attivazione osservati ad esperienze soggettive
o a processi di elaborazione non cosciente.
In
altre parole, in questi studi la ratio interpretativa indotta dalla
necessità, assimila le differenze legate alla religione a contenuti
inesplorabili e, per questo, non rilevanti ai fini della ricerca. Riteniamo,
invece, che differenze quali l’opposto comportamento dei lobi parietali nei
buddisti e nelle suore, siano meritevoli di attenzione e possano essere oggetto
di una riflessione che tenga conto della possibile influenza del tipo di
pratica religiosa sulla neurofisiologia encefalica.
In
proposito, osserviamo che la netta separazione fra stato cerebrale e suo
contenuto, come se il primo fosse un semplice contenitore materiale del secondo[28],
può nascondere un’insidia interpretativa non di poco conto, consistente
nell’assumere la mai dimostrata indipendenza delle funzioni cerebrali che
caratterizzano gli stati di coscienza da ciò che si pensa e dal modo in cui
ciascuno, per effetto di cultura collettiva ed evoluzione individuale, adopera
il proprio cervello. Si pensi, ad esempio, al diverso modo di concepire la
coscienza da parte di buddisti e cristiani: sulle prime sembra possibile
ridurre tutto ad una questione che riguarda la coscienza morale e non quella
neurologica, intesa come stato vigile che consente l’orientamento nel tempo e
nello spazio, ma ad una riflessione più attenta, si può osservare che il
diverso modo di concepire il soggetto, il suo essere nel mondo e
rapportarsi con la realtà, può incidere sulla coscienza tout court,
potendo determinare un diverso assetto di alcuni correlati neurofunzionali
degli stati mentali. Per questo motivo ci sembra utile discutere, sia pur
brevemente, alcune differenze fra i due tipi di ispirazione religiosa.
Nel
buddismo, come in altre espressioni della religiosità orientale, si suppone
l’esistenza di uno stato cosmico di stabile equilibrio al quale il soggetto
deve tendere ad appartenere. Per ottenere questa immaginaria fusione e
percepire l’effetto benefico di un’armonia interiore, è necessario rinunciare
alle istanze della volontà individuale ed indebolire la coscienza; infatti la
maggior parte delle pratiche induce stati pre-ipnotici.
La
coscienza per il cristiano è il luogo dell’incontro con Dio[29],
la dimensione dell’essere in cui il soggetto veglia sul rischio di abbandonarsi
agli istinti e sorveglia se stesso per evitare di distrarsi dal suo allocutore[30]
e cedere alle lusinghe del mondo.
I
cristiani, cattolici, protestanti ed ortodossi, fondano la propria spiritualità
sul libero accoglimento della legge dell’amore, che sancisce un patto
individuale con la divinità, in base al quale saranno giudicati[31].
Il libero arbitrio, somma espressione della libertà di coscienza, è il
presupposto imprescindibile perché si abbia, nell’esercizio della volontà messa
alla prova[32], la scelta
dell’imitazione di Gesù Cristo. E’ in questa consapevolezza che assume valore
lo scioglimento dei vincoli che legano l’uomo all’istinto e la loro
sostituzione con i legami di responsabilità. Ed è nella consapevolezza
condivisa, che si esercita il valore di testimonianza dell’agire cristiano.
Scelta, responsabilità e testimonianza, tre cardini per la nascita e la
manifestazione della fede, sono funzione della coscienza individuale, così come
la vigilanza, ossia la sorveglianza di sé nella costante attenzione
all’esercizio della virtù.
Questa
profonda differenza fra le religioni affermatesi in Oriente e in Occidente, ci
aiuta a capire il ruolo differente della pratica rituale in queste due realtà.
Nel
primo caso l’esercizio quotidiano ha per obiettivo diretto la genesi di stati
psico-somatici assimilabili ad un rilassamento profondo[33]
e considerati manifestazione nell’essere di ciò in cui si crede; nel secondo
caso, le principali espressioni del culto, dalle orazioni del mattino all’esame
di coscienza serale[34]
richiedono attenzione consapevole.
A
corollario di questa distinzione schematica[35],
vogliamo citare il caso di una pratica religiosa presente fra i cristiani
d’Oriente, consistente nella reiterazione di una formula -ad esempio
un’invocazione- centinaia di volte. E’ evidente la somiglianza con le
tradizioni asiatiche di lunga e monotona ripetizione di suoni o parole che
generano calma e rilassamento.
Per
la comprensione del rapporto fra dimensione religiosa e dimensione spirituale,
è utile rilevare che, mentre nel buddismo pratica rituale ed esperienza
spirituale largamente coincidono, nell’ispirazione più profonda ed
originaria della vita cristiana, le pratiche rituali hanno valore solo in
funzione del sostegno che possono dare allo spirito. Infine, ricordiamo che il
cristianesimo non nasce come una religione, ma come la testimonianza di un
fatto verificatosi presso un popolo che professava l’ebraismo: l’incarnazione
di Dio nella persona di Gesù Cristo.
8. Problemi
metodologici ed interpretativi sollevati dagli studi presentati. Sono state formulate critiche,
anche aspre e radicali, ai lavori fin qui illustrati, ma tali obiezioni non
riguardano in senso stretto il valore dei dati emersi ma, piuttosto, le
interpretazioni e le conclusioni tratte dagli autori o da altri interpreti di
tali risultati.
Ad
esempio, Beauregard interpreta gli esiti della sua sperimentazione come una
prova evidente che gli stati mistici siano mediati da una rete ben distribuita
nell’encefalo e, d’altra parte, sarebbe
difficile sostenere l’esistenza di un singolo “God spot” in presenza di tanti
distretti encefalici funzionanti; tuttavia, questa non è l’unica lettura
possibile dell’attivazione contemporanea di varie aree. Allo stesso modo, si
può dire che il significato fisiologico attribuito dagli autori dei lavori alle
aree attive, può avere delle alternative. Pertanto, una riflessione critica
consente di porsi problemi come quelli qui di seguito schematizzati.
1)
Non si dispone di banche-dati che consentano di escludere con certezza che i patterns
di attivazione registrati con metodiche di neuroimaging siano, anche
solo in parte, aspecifici.
2)
Le caratteristiche specifiche di un’esperienza potrebbero consistere nel tipo
di comunicazione esistente fra le aree e non essere riconducibili alle aree
attive per sé.
3)
Alcuni caratteri dell’esperienza potrebbero richiedere gruppi neuronici fissi e
gruppi variabili, i primi legati ad uno specifico territorio dell’encefalo, e i
secondi capaci di una funzione indipendente dalla localizzazione, ossia siti in
aree diverse, ma svolgenti lo stesso compito.
4)
Molte attività cerebrali si fondano su processi di brevissima durata ai quali
sono “cieche” le tecniche attualmente in uso: se si dimostrasse che
l’esperienza mistica nei suoi aspetti più caratterizzanti si basa su simili
processi, gli studi condotti finora perderebbero ogni valore.
I
problemi proposti ai punti “1” e “2” in forma analitica, rimandano alla più
generica critica al modo corrente di interpretare i risultati ottenuti con
metodiche di neuroimaging, consistente nell’interpretare lo stato fisiologico
da studiare sulla base dei ruoli attribuiti negli studi precedenti alle singole
aree che nel nuovo studio appaiono funzionanti. Una tale procedura sarebbe
altamente affidabile se il cervello fosse organizzato per moduli discreti
monofunzionali, localizzati ciascuno in un definito territorio. A questa nuova
tendenza localizzatrice, che è stata accostata all’ingenua organologia
ottocentesca di Gall e Spurzheim[36],
“Brain, Mind & Life” ha dedicato molta attenzione (si veda, ad esempio: Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la
risonanza magnetica nucleare; Note e Notizie 07-10-06
Immagini funzionali del cervello degli adolescenti) e riservato severe critiche.
Nella
stessa ottica critica Seth Horowitz, neuropsicologo della Brown University, si
è così espresso riguardo al rilievo di aree attive durante un’esperienza
mistica: “Tu elenchi un gruppo di luoghi nel cervello come se denominare
qualcosa ti consentisse di comprenderla”[37].
Vincente Paquette, collaboratore di Beauregard nei due citati studi del
cervello di 15 suore carmelitane in meditazione, non ha remore nel paragonare
alla frenologia di quasi due secoli fa, la maniera in cui molti suoi colleghi
tendono ad interpretare i risultati della risonanza magnetica funzionale
(fMRI).
Alcuni
critici sostengono che la “neuroscienza dello spirito” non potrà mai indagare
lo specifico vissuto umano di una religione, perché tale specificità
deriverebbe dal complesso di tutte le sue componenti e non consisterebbe nei
processi mentali caratteristici di una singola pratica. Infatti, l’esperienza
religiosa può cambiare la vita di una persona interessandone ogni aspetto, dal modo di concepire se stessi, al modo di rapportarsi agli
altri in ogni circostanza: se si isola un
singolo aspetto, ad
esempio la generosità verso il prossimo, si troveranno correlati
neurofunzionali che prescindono dai connotati di uno specifico credo, e
sarebbero identici se l’atteggiamento generoso fosse originato dall’adesione ad
un’organizzazione umanitaria, ad un partito politico o alle regole di un
contesto culturale.
In
risposta a questa critica alcuni ricercatori ritengono che si debba cercare di
definire l’esperienza religiosa nel miglior modo possibile, individuando
caratteri comuni a varie religioni ed elementi distintivi, e poi provando ad
identificare basi neurobiologiche per tali caratteristiche.
A
questo proposito si può osservare che alcune differenze neurofunzionali
fra spiritualità buddista e cristiana, ossia le due maggiormente indagate, sono
state individuate nel confronto fra gli stati meditativi[38]
e, sebbene non vi sia accordo generale sull’interpretazione dei correlati
neurobiologici[39], è
possibile che presto i risultati di nuovi studi aiutino a leggere le differenze
sulla base di nuovi confronti. Il gruppo di Newberg, infatti, ha deciso di
studiare il cervello di fedeli dell’islam e della religione ebraica durante la
preghiera, cercando di indagare gli aspetti caratteristici dell’attività
encefalica nel corso di varie espressioni religiose di queste due grandi
esperienze monoteistiche[40].
Il confronto fra tutti i risultati potrebbe fornire una prima chiave
interpretativa basata su somiglianze e differenze.
Davidson
ritiene, invece, che gli sforzi di definizione dell’esperienza religiosa per
comprenderne la base neurale non siano la via giusta da seguire, e propone una
soluzione opposta.
Lo
studio delle basi biologiche della cognizione e delle emozioni nell’uomo ha
presentato ostacoli insormontabili fino a quando non si è scelta la
scomposizione in elementi riconducibili alla percezione, all’attenzione e alla
memoria; allo stesso modo, secondo Davidson, per studiare efficacemente la
neurofisiologia della spiritualità, bisognerebbe decodificarla in termini di
cambiamenti nell’attività dei tre sottosistemi, percettivo, attentivo
e mnemonico: “La nostra unica speranza è specificare ciò che accade in
ciascuno di quei sottosistemi”[41].
9. Primi risultati
applicativi. I lavori
di più recente pubblicazione attinenti alla “ricerca dello spirito nel
cervello” possono essere schematicamente raggruppati in due categorie: 1)
quelli con obiettivi riconducibili alla ricerca delle basi neurobiologiche
delle manifestazioni delle fedi e delle religioni, e 2) quelli tesi ad isolare
correlati funzionali di esperienze positive, per estrapolarli dal contesto
religioso ed impiegarli a scopo terapeutico.
La
ricerca attualmente condotta dal gruppo di Davidson si può ricondurre al
secondo dei due indirizzi, che ha già ottenuto risultati di rilievo,
dimostrando l’efficacia della meditazione nel determinare due effetti:
a)
aumento
delle abilità cognitive dipendenti dall’attenzione,
b)
rallentamento
dell’invecchiamento.
Aumento delle abilità cognitive
dipendenti dall’attenzione.
Sono
stati sottoposti ad una prova di capacità attentiva, dal team di Davidson, 17
volontari che in precedenza avevano compiuto tre mesi di training
intensivo in meditazione e 23 principianti dell’esercizio meditativo. Il test
consisteva nel distinguere, in sequenza, due numeri inclusi in una serie di
lettere.
I
principianti hanno fatto registrare prestazioni nella media, ossia, come la
maggior parte delle persone sottoposte a questa prova, non riconoscevano il
secondo numero perché ancora concentrati sul primo (attentional blink);
i meditatori esercitati, al contrario, riuscivano spesso a rilevare entrambi i
numeri.
Il
risultato di questo esperimento si può attribuire ad un miglioramento della
concentrazione per effetto dell’intensa pratica meditativa. Il lavoro del
gruppo di Davidson, pubblicato nel giugno 2007, può ritenersi emblematico
nell’ambito degli studi che hanno riscontrato un miglioramento delle
prestazioni cognitive conseguente ad una più efficace capacità di
concentrazione dovuta all’esercizio meditativo.
Rallentamento dell’invecchiamento.
La
meditazione sembra in grado di ritardare lo sviluppo di alcuni segni di
invecchiamento cerebrale, come è stato rilevato da Sara Lazar e colleghi della
Harvard University; già in un articolo pubblicato su Neuro Report nel
2005, il confronto fra 20 meditatori
esperti e 15 soggetti di controllo, aveva fatto registrare nei primi un
maggiore spessore in varie aree della corteccia cerebrale.
In
particolare, la corteccia prefrontale e la parte anteriore dell’insula
di destra, erano da 4 a 8 millesimi di pollice più spesse nei meditatori che
nei controlli. E’ interessante che i soggetti più anziani presentavano i
maggiori incrementi di spessore: il contrario di quanto accade ordinariamente
per effetto dell’invecchiamento.
I
primi esiti di questa sperimentazione hanno già indotto alcuni ricercatori a valutare
l’applicazione a scopo terapeutico degli effetti benefici del meditare.
Newberg, ad esempio, ha avviato un’indagine sui pazienti oncologici e sulle
persone che per varie cause sono andate incontro a perdita precoce della
memoria[42].
Negli ammalati di cancro si vuol verificare se la meditazione può alleviare lo stress
e le sue conseguenze sui sintomi e sul decorso della malattia, e se può ridurre
la tristezza e l’ideazione depressiva derivanti dallo stato fisico e dalla
consapevolezza della gravità. Nei pazienti amnesici si vuol provare ad
ottenere, mediante l’esercizio meditativo, un miglioramento di processi
cognitivi elementari a supporto della neurofisiologia della memoria.
10. Considerazioni
Conclusive. Se la
“Spiritual Neuroscience” vuole rivendicare il diritto all’esistenza come branca
distinta di studi, non può certo limitare i suoi interessi alle applicazioni
terapeutiche della meditazione, ma deve approfondire ogni aspetto
dell’influenza dell’esperienza spirituale sui processi cerebrali, dalle modificazioni
fisiologiche nella correlazione mente-corpo, ad un diverso atteggiamento verso
il mondo. Questo tipo di ricerca è solo agli inizi, e gli studi finora condotti
non sono stati intrapresi sulla base di programmi e protocolli concepiti
nell’ottica della dimensione spirituale intesa come realtà neurofunzionale. Ad
esempio, è stata studiata l’influenza su parametri immunologici dell’assistere
a guarigioni nel corso di cerimonie religiose, o sono stati valutati gli
effetti sul sistema immunitario di un film dagli intensi contenuti di fede e
speranza, ma non si è ancora provato a definire il pattern cerebrale
neuroimmunologico che rende queste esperienze più efficaci nei credenti.
A
questo riguardo le neuroscienze dello spirito stanno avviando un affascinante
collegamento con la psiconeuroimmunologia, prendendo le mosse dagli effetti sul
sistema immunitario degli stati mentali che rientrano nella definizione di
affetto positivo (positive affect). Riportiamo di seguito uno stralcio
della discussione del presidente di BM&L all’incontro di giovedì 24-01-08
del Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.
“L’uso
del termine “affetto” è consolidato in psichiatria, psicologia e neuroscienze
in generale, nel significato che Aristotile attribuiva alla parola greca
corrispondente al termine latino affectus, ossia stato interno
derivante da una condizione esterna. Sebbene la letteratura scientifica sui
rapporti fra fenomeni biologici e sentimenti, emozioni ed affetti, faccia
costantemente riferimento alla categoria “positive affect” (PA), ossia affetto
positivo, non esiste ancora una definizione unanimemente accettata. In
“Psychoneuroimmunology” (Ader, 2007) Marsland, Pressmann e Cohen adottano la
definizione di Clark (Clark et al., 1989): “si definiscono PA quei sentimenti
che riflettono un livello di impegno piacevole con l’ambiente come la felicità,
la gioia, l’eccitazione, l’entusiasmo e la contentezza”. Ma in molti studi per
PA si intendono processi e manifestazioni psicologiche diverse e varie. In
alcuni casi si tratta di costrutti cognitivi e motivazionali, quali
l’auto-stima, l’ottimismo, l’estroversione, la propositività e la
consapevolezza dell’abilità; in altri casi si tratta di complesse misure della
qualità della vita e del benessere soggettivo.
“Gli
stati di PA sono stati associati con cambiamenti significativi nel sistema
immune (Pressman e Cohen, 2005). I primi studi avevano rilevato un aumento di
immunoglobuline A (IgA) di tipo secretorio, presenti nel sistema immune delle
mucose e reperite in secreti come la saliva (Hucklebridge et al., 2000;
Lambert e Lambert, 1995; McClelland e Cheriff, 1997). Questi studi, non sempre
di facile interpretazione, sono stati criticati per le procedure seguite. Un
approccio meno controverso ha impiegato la somministrazione di antigeni e la
verifica della formazione del relativo anticorpo (IgA secretoria) con e senza
l’induzione di affetto positivo: due studi hanno dato esito positivo,
documentando un aumento del livello di IgA prodotta sotto l’effetto di PA
(Stone et al., 1987; Stone et al., 1994), uno non ha confermato
questo risultato (Evans et al, 1993).
“Gli
studi più recenti hanno associato il PA con l’aumento di subpopolazioni di
leucociti, ma il complesso degli studi offre risultati contraddittori alla luce
delle attuali conoscenze. In un caso il PA ha determinato un effetto simile a
quello generato da un agente stressante acuto (Segerstrom e Miller, 2004).
“In
passato l’induzione di PA aveva determinato l’aumento della risposta
proliferativa linfocitaria allo stimolo con mitogeni (Futterman et al.,
1992).
“L’induzione
di un umore positivo, che potremmo paragonare alle sensazioni di chi si sente
in uno stato di grazia[43],
può associarsi a livelli più elevati di alcune citochine (IL-2, IL-3) e più
bassi di altre, quali interferon-γ e TNF-α (Mittwoch-Jaffe et al.,
1995).
“E’
stato rilevato da vari ricercatori un aumento di cellule NK nell’induzione di
PA, ma uno studio, condotto negli anni Novanta e non ancora smentito da
ricerche successive, aveva fatto registrare un incremento di NKCA sia
nell’induzione di stati affettivi positivi, sia in quella di stati affettivi
negativi; in entrambi i casi sembra che l’effetto sia stato mediato
dall’attivazione dell’ortosimpatico (Futterman et al., 1994). […]”
Questo
stralcio dei dati proposti da Giuseppe Perrella è già sufficiente per rendersi
conto di quanta strada vi sia ancora da percorrere per accertare e descrivere
processi e meccanismi molecolari sottostanti gli stati psicofisici generati
dalle esperienze spirituali. La determinazione, tuttavia, non manca in molti
ricercatori, soprattutto fra quelli che più attivamente si stanno impegnando
per ottenere il riconoscimento dell’indipendenza e del valore dello studio
delle basi neurobiologiche della dimensione trascendente.
Beuaregard
sostiene che l’esperienza spirituale possa migliorare le funzioni del sistema
immunitario e curare o prevenire disturbi psichici come la depressione,
attraverso una visione positiva della vita che innesca circoli virtuosi nelle
interazioni sociali ed innalza la soglia di squilibrio omeostatico ad eventi
frustranti e stressanti. Paquette va oltre, sostenendo che la conoscenza degli
elementi essenziali della fisiologia cerebrale della spiritualità potrà
consentire la loro induzione in chiave terapeutica, modificando l’assetto
funzionale di quei cervelli che sembrano disposti a
generare scompensi psichici: “Noi potremmo generare una salutare ed ottimale
matrice cerebrale”[44].
Una
cosa è certa, nessuno oppone più resistenza a questo genere di studi e molti si
attendono risposte utili sia per la scienza che per la fede.
D’altra
parte, la precisa identificazione dei processi che consentono alle reti di
cellule cerebrali di mediare esperienze mistiche, religiose e spirituali, se
per i non credenti costituirà una conferma della natura biologica del fenomeno
religioso, per i credenti potrà essere un motivo in più per credere in Dio:
ritrovare impressa l’impronta indelebile della Sua immagine in quei sistemi
neuronici che ci consentono, solo se lo vogliamo, di incontrarlo dentro di noi.
(PARTE GENERALE)
1. Aftanas L. I., et al., Affective
Picture Processing : Event-Related Synchronization Within Individually
Defined Human Theta Band Is Modulated by Valence Dimension. Neuroscience
Letters 303, 115-118, 2001.
2. Arieti Silvano (a cura di), Manuale
di Psichiatria (3 voll.), Boringhieri, Torino 1969-1987, tr. it. dell’American
Handbook of Psychiatry, Basic Books, New York 1959-1966.
3. Arzy S., Idel M., Landis T., and Blanke O.,
Why Have Revelations Occurred on Mountains? Linking Mystical Experiences and
Cognitive Neuroscience. Medical Hypotheses 65, 841-845, 2005.
4. Aunger Robert C. (ed.) Darwinizing Culture: The Status of Memetics as a Science. Oxford University Press, Oxford
2001.
5. Beauregard Mario, Mind does really matter:
evidence from neuroimaging studies of emotional self-regulation, psychotherapy,
and placebo effect. Prog.
Neurobiol. 81 (4), 218-236,
2007.
6. Beauregard M., Lévesque J. & Bourgouin
P., Neural Correlates of Conscious Self-Regulation of Emotion. Journal of Neuroscience 21 (18), RC165, 2001.
7. Beauregard M., Lévesque J. & Paquette
V., Neural Basis of Conscious and Voluntary Self-Regulation of Emotion. In Beauregard M. (ed.), Consciousness, Emotional
Self-Regulation and the Brain. John Benjamins, Amsterdam 2004.
8. Benson H., et al. Study of the Therapeutic Effects Intercessory Prayer (STEP) in Cardiac
Bypass Patients: A Multicenter Randomized Trial of Uncertainty and Certainty of
Receiving Intercessory Prayer. American Heart Journal 151 (4), 934-942,
2006.
9. Berdyaev Nicolas, Freedom from fear. Times
of India, Feb. 8, 2007.
10. Blanke O., et al. Stimulating illusory own-body perceptions: the part of the brain that
can induce out-of-body experiences has been located. Nature 419, 269-270,
2002.
11. Boyer Pascal, Religion Explained: The
Evolutionary Origins of Religious Thought. Basic Books, New York 2001.
12. Buchanan Mark, Charity begins at Homo
sapiens. New Scientist, March 12, 2005.
13. Buller D. J., Evolutionary Psychology: The
Emperor’s New Paradigm. Trends in Cognitive Science 9 (6), 277-283,
2005.
14. Buzsaki G., et al. Interneuron diversity series: circuit complexity and axon wiring economy
of cortical interneurons. Trends in Neuroscience 27, 186-193,
2004.
15. Crick Francis, The Astonishing
Hypothesis: The Scientific Search for the Soul. Simon & Schuster,
Touchstone, New York 1995.
16. Côté C., et al. Individual variation in neural correlates of sadness in children: a twin
fMRI study. Human Brain Mapping 28 (6), 482-487, 2007.
17. Dawkins Richard, The Selfish Gene.
Oxford University Press, New York 1989.
18. Dennet Daniel C., Content and Consciousness,
Routledge and Kegan Paul, Londra 1969; II ed., 1986, tr. it.: Contenuto e
Coscienza, Il Mulino, Bologna 1992.
19. Devinsky O., Religious Experiences and
Epilepsy. Epilepsy & Behavior 4, 76-77, 2003.
20. Dewhurst K. & Beard A. W., Sudden Religious Conversions in Temporal Lobe Epilepsy. (classici di “epilessia e comportamento” in Br. J. Psychiatry, 1970) Epilepsy & Behavior 4, 78-87, 2003.
21. Edelman Gerald Maurice, Neural Darwinism.
The Theory of Neuronal Group Selection. Basic Books, New York 1987 (tr.
It.: Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi
neuronali. Einaudi, Torino
1995).
22. Edelman Gerald Maurice, Bright Air, Brilliant Fire. On the Matter of the Mind. Basic Books, New York 1992 (tr. it.: Sulla Materia della Mente. Adelphi, Milano 1993).
23. Edelman Gerald Maurice, The Remembered Present. A Biological Theory of Consciousness (tr. it.: Il Presente Ricordato. Una teoria biologica della coscienza. Rizzoli, Milano 1991).
24. Edelman Gerald Maurice, Wider than the Sky. The Phenomenal Gift of Consciousness, tr. it.: Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza. Einaudi, Torino 2004).
25. Edelman Gerald Maurice & Tononi Giulio,
A Universe of Consciousness: How Matter Becomes Imagination. Basic Books,
New York 2000.
26. Felten David L. & Jòzefowicz Ralph F., Netter’s
Atlas of Human Neuroscience. Icon Learning Systems, New Jersey, Teterboro
2003.
27. Frackowiak Richard S. J., Human Brain
Function (2nd edition). Elsevier Academic Press 2004.
28. Gellman Jerome, Mysticism. Nella Stanford
Encyclopedia of Philosophy (a cura di Edward N. Zalta). http://plato.stanford.edu/archives/spr2005/entries/mysticism/.
Spring 2005.
29. Izhikevich E. M. & Edelman G. M.,
Large-scale model of mammalian thalamocortical systems. Proc. Natl Acad Sci.
USA 105, 3593-3598, 2008.
30. Karama S., et al. Areas of brain
activation in males and females during viewing of erotic film excerpt. Human
Brain Mapping 16, 1-13, 2002.
31. Kimura Doreen, Sex and Cognition.
MIT Press, Cambridge 2000.
32. Le Doux Joseph, Synaptic Self: How Our Brains Become Who We Are. Viking Penguin, New York 2002; tr. it.: Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo. Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
33. Lutz A. et al., Regulation of the
neural circuitry of emotion by compassion meditation : effects of
meditative expertise. PloS ONE 3(3): e1897, 2008.
34. Lusting, Abigail, Richards, Ruse, Darwinian
Heresies. Cambridge University Press, Cambridge (Massachusetts) 2004.
35. Mai J. K., Assheuer J., Paxinos G., Atlas
of the Human Brain (2nd edition). Elsevier Academic Press 2004.
36. May Gerald G., The Dark Night of the
Soul. HarperSanFrancisco, San Francisco 2004.
37. McGrath Alister, Dawkins’s God: Genes,
Memes, and the Meaning of Life. Blackwell, Oxford 2005.
38. Neggers S. F., et al. Interactions between ego- and allocentric neuronal representations of
space. Neuroimage 31 (1), 320-331,
2006.
39. O’Leary Denyse. By design or by chance?
The growing controversy on the origins of life in the universe. Augsburg,
Minneapolis 2004.
40. Ornstein Robert, The Evolution of
Consciousness. Of Darwin, Freud, and Cranial Fire: The Origins of the Way We
Think. Simon & Schuster, Touchstone 1992.
41. Paxinos G. & Mai J. K., The Human
Nervous System (2nd edition). Elsevier Academic Press 2004.
42. Pelletier M., et al. Separate neural circuits for primary emotions? Brain activity during
self-induced sadness and happiness in professional actors. Neuroreport
14, 1111-1116, 2003.
43. Penfield W. & Rasmussen T., The
Cerebral Cortex of Man. Macmillan, New York 1950.
44. Penfield Wilder, Second Thoughts:
Science, the Arts and the Spirit. McClelland and Stewart, Toronto 1970.
45. Radin Dean, The Conscious Universe: The
scientific Truth of Psychic Phenomena. HarperSanFrancisco, San Francisco 2007.
46. Schwartz Jeffrey & Begley Sharon, The
Mind and the Brain: Neuroplasticity and the Power of Mental Forces. HarperCollins,
Regan Books, New York 2003.
47. Schwartz J. et al. “Quantum Theory in Neuroscience and Psychology: A Neurophysical Model of
Mind/Brain Interaction.” Philosophical Transactions of the Royal Society B:
Biological Sciences 360, 1309-1327, 2005.
48. Searle John R., Mind: A Brief
Introduction. Oxford University Press, Oxford 2004.
49. Standring Susan (editor-in-chief),
Gray’s Anatomy – The Anatomical Basis of Clinical Practice. 39th
edition, Elsevier Limited 2005.
50. Wallach Harald and Stefan Schmidt,
Repairing Plato’s Life Boat with Ockham’s Razor: The Important Function of
Research in Anomalies for Consciousness Studies. Journal of Consciousness
Study 12 (2), 52-70, 2005.
(PARTE SPECIALE)
1. Alper Mattew, The “God” Part of the
Brain: A Scientific Interpretation of Human Spirituality and God. Rogue,
New York 2001.
2. Beauregard Mario & O’Leary Denise, The
Spiritual Brain. A Neuroscientist’s Case for the Existence of Soul.
HarperOne - HarperCollins Publishers, New York 2007.
3. Beauregard Mario & Paquette Vincente,
Neural Correlates of a Mystical Experience in Carmelite Nuns. Neuroscience
Letters 405 (3), 186-190, 2006.
4. Beauregard Mario & Paquette Vincente,
EEG activity in Carmelite Nuns during a mystical experience. Neuroscience
Letters 444 (1), 1-4, 2008.
5. Biello David, Searching for God in the
Brain. Scientific
American MIND 18
(5), 38-45, 2007.
6. Lutz A., et al. Long-term meditators self-induce high-amplitude
gamma synchrony during mental practice. Proc. Natl Acad Sci. USA 101 (46), 16369-16373, 2004.
7.
Newberg Andrew & Waldman M. Robert, Why We Believe What We Believe.
Free Press 2006.
8.
Newberg Andrew, d’Aquili Eugene e Rause Vince, Why God Won’t Go Away: Brain
Science and the Biology of Belief, p. 111, Ballantine Books, New York 2001.
9. Newberg A., et al. The measurement of regional cerebral blood flow during the complex
cognitive task of meditation: a preliminary SPECT study. Psychiatry Research
106 (2), 113-122, 2001.
10. Newberg A., et al. Cerebral blood flow during meditative prayer: preliminary findings and
methodological issues. Perceptual and Motor Skills 97, 625-630,
2003.
11. Newberg A. B., et al. The measurement of regional cerebral blood flow during glossolalia: a
preliminary SPECT study. Psychiatry Research 148 (1), 67-71,
2006.
12. Persinger M. A. & Tiller S. G., Case
Report: A prototypical spontaneous “sensed presence” of a sentient being and
concomitant electroencephalographic activity in the clinical laboratory. Neurocase
[Epub ahead of print] Sep. 26: 1-6, 2008.
13.
Persinger Michael, Neuropsychological Bases of God Beliefs. Praeger
Publishers 1987.
14. Slagter H. A., et al. Mental Training Affects Distribution of Limited Brain Resources. PLoS
Biology 5 (6), 1228-1235, 2007.
(PSICONEUROIMMUNOLOGIA)
1. Ader Robert (ed.), Psychoneuroimmunology. Elsevier Academic Press 2007.
2. Clark L. A., et al., Diurnal
variation in the positive affects. Motiv. Emot. 13, 205-234, 1989.
3. Evans P., et al, The relationship
between secretory immunity mood and life-events. Brit. J. Clin. Psychol. 32, 227-236, 1993.
4. Futterman A. D., et al.,
Immunological and psychological changes associated with induced positive and
negative mood. Psychosom. Med. 56, 499-511, 1994.
5. Futterman A. D., et al.,
Immunological variability associated with experimentally-induced positive and
negative affective states. Psychol. Med. 22, 231-238, 1992.
6. Hucklebridge F., et al., Modulation
of secretory immunoglobulin A in saliva : response to manipulation of
mood. Biol. Psychol. 53, 25-35, 2000.
7. Lambert R. B. & Lambert N. K., The
effects of humor on secretory immunoglobulin A
levels in school-aged children. Pediatr. Nurs. 21, 16-19,
1995.
8. McClelland D. C. & Cheriff A. D., The immunoenhancing effects of humor on secretory IgA
and resistance to respiratory infections. Psychol. Health 12, 329-334, 1997.
9. Mittwoch-Jaffe T., et al.,
Modification of cytokine secretion following mild emotional stimuli. Neuroreport 6, 789-792, 1995.
10. Pressman S. & Cohen S., Does positive
affect influence health? Psychol. Bull. 131, 925-971, 2005.
11. Segerstrom S. C. & Miller G. E., Psychological stress and the human immune system: a meta-analytic study of 30 years of inquiry. Psychol. Bull. 130, 601-630, 2004.
12. Stone A. A., et al., Evidence that secretory IgA antibody is associated with daily
mood. J. Personal Soc.
Psychol. 52, 988-993,
1987.
13. Stone A. A., et al., Daily events
are associated with a secretory immune response to an oral antigen in men. Health
Psychol. 13, 440-446, 1994.
[1] Sulla falsariga delle già numerose tecniche di rilassamento e meditazione, che spesso hanno tratto origine da pratiche teosofiche, filosofiche o religiose.
[2] Si veda: David Biello,
Searching for God in the Brain. Scientific American MIND 18 (5), 38-45,
2007.
[3]
A distanza di quasi un secolo, il maggiore trattato di psichiatria americano,
in una descrizione della personalità epilettica, includeva la “religiosità
sentimentale” [Silvano Arieti (a cura di), Manuale di Psichiatria in 3
volumi, vol. II, p. 1270,
Boringhieri, Torino 1969-1987, traduzione italiana dell’American Handbook of
Psychiatry, Basic Books, New York 1959-1966].
[4] L’associazione costante di una qualità non presente in uno stimolo percepito, come ad esempio il colore verde al numero 3 e il rosso al numero 10, oppure un dato sapore ad un dato colore, è generalmente definita sinestesia. Considerata a lungo una semplice curiosità, il primo studio scientifico della sinestesia risale alla pubblicazione sulla rivista Nature, nel 1880, di un articolo firmato da Francis Galton. Attualmente per sinestesia si intende una condizione in cui una persona sperimenta l’associazione o la commistione di due o più sensazioni per effetto di un’anomala interazione fra aree cerebrali che in condizioni normali agiscono separatamente. Si veda su questo argomento: Note e Notizie 30-12-05 Sinestesia come finestra sulla natura del pensiero.
[5] Vilayanur S. Ramachandran &
Sandra Blakeslee, Phantoms in the Brain: Probing the Mysteries of the Human
Mind. William Morrow, New York 1998.
[6] Come vedremo più avanti, lo studio della neurofisiologia dello spirito è l’oggetto delle ricerche più recenti. Si può osservare che la posizione di Persinger sembra gravata dal fardello del pregiudizio della psichiatria ottocentesca, che considerava espressione di patologia ogni stato o fenomeno mentale ricondotto al soprannaturale.
[7] Michael Persinger, Neuropsychological Bases of God Beliefs. Praeger Publishers 1987.
[8] Si fa
menzione di questo lavoro alla p. 41 di David Biello, Searching for God in the
Brain. Scientific American
MIND 18 (5), 38-45,
2007.
[9] Si veda alla p. 42 di David Biello, Searching for God in the Brain. Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.
[10]
Come vedremo più avanti, Mario Beauregard dell’Università di Montreal ha
studiato, mediante fMRI, 15 suore carmelitane che avevano risposto al suo
appello nel quale si chiedeva la partecipazione a volontari “who have had an
experience of intense union with God”. Beauregard ha scelto una procedura più
specifica dello studio di uno stato meditativo.
[11]
Dello studio, ancora in corso, gli autori hanno dato comunicazione nel 2006
(Newberg A. B., et al. The
measurement of regional cerebral blood flow during glossolalia: a preliminary
SPECT study. Psychiatry Research 148 (1), 67-71, 2006) e
un riferimento si trova alla p. 42 dell’articolo di David Biello (Searching for
God in the Brain. Scientific
American MIND 18
(5), 38-45, 2007).
[12] Attualmente in psichiatria sono descritte e classificate varie condizioni di coscienza alterata e crepuscolare che si accompagnano a forme di esecuzione verbale non comunicativa.
[13] Tre studiosi che avevano ricondotto le esperienze mistiche a forme di epilessia del lobo temporale e ad altri fenomeni patologici.
[14] Andrew Newberg, Eugene d’Aquili e
Vince Rause, Why God Won’t Go Away: Brain Science and the Biology of Belief,
p. 111, Ballantine Books, New York 2001.
[15] Andrew Newberg, Eugene d’Aquili e Vince Rause, op. cit., p. 174.
[16] I ricercatori ottennero che il cardinale Jean-Claude Turcotte, arcivescovo di Montreal, accettasse di scrivere una lettera indirizzata alle religiose, in cui si precisava che non vi era alcuna obiezione della Chiesa alla partecipazione allo studio. Tuttavia le suore, libere di accettare o rifiutare, si riservarono di valutare la proposta e, successivamente, la superiora del principale convento interpellato, riferì che alcune sorelle avevano deciso di partecipare, ma vincolavano il loro consenso all’accettazione, da parte della Templeton Foundation, della richiesta di finanziamento del progetto; probabilmente ritenendo la Fondazione un affidabile garante della serietà promessa dall’Università di Montreal. Dopo l’inizio della sperimentazione, si verificò un incidente che stava per mandare tutto a monte: il quotidiano “The Globe and Mail” pubblicò una foto -rubata non si sa come- della superiora, Sister Diane. Solo l’abile opera diplomatica di Vincent Paquette, riuscì a scongiurare il ritiro delle carmelitane.
[17] Ipotesi di Newberg e d’Aquili.
[18] Mario Beauregard & Denise
O’Leary, The Spiritual Brain., p. 266, HarperOne - Harper Collins
Publishers, New York 2007.
[19] Mario Beauregard & Denise
O’Leary, op. cit., ibidem.
[20] E’ senz’altro un pregio di questo studio, perché si deve rilevare che in pochi altri casi sono state raccolte e registrate le descrizioni e le valutazioni della propria esperienza da parte dei volontari.
[21] Punteggi da 1 a 5 della scala soggettiva dell’intensità: nessuna esperienza di unione con Dio = 0; debolissima esperienza di unione con Dio = 1; debole esperienza di unione con Dio = 2; esperienza di unione con Dio di media intensità = 3; forte esperienza di unione con Dio = 4; la più intensa esperienza di Dio che abbia mai avuto nella mia vita = 5.
[22] Si veda “Note e Notizie 10-03-07 Insula di Reil e dipendenza dal fumo”.
[23] Buddisti tibetani, nel primo caso, e provenienti da ogni parte del mondo, nel secondo. L’esperienza di questi volontari era quella della dissoluzione dei confini corporei con la perdita dell’identità fisica
[24] Mario Beauregard & Denise
O’Leary, “The Spiritual Brain”, p. 274, HarperOne - Harper Collins
Publishers, New York 2007.
[25] Le suore, come dagli accordi presi con i ricercatori, hanno vissuto la partecipazione alla sperimentazione come un’occasione speciale di preghiera e testimonianza cristiana. Il loro atteggiamento era lontano da quello di chi riproduce artificialmente un comportamento perché si studi il proprio cervello in quella condizione; in un costante dialogo col Signore, le religiose hanno accettato gli esperimenti come momenti speciali di preghiera, nei quali una realtà vissuta nel proprio intimo poteva oggettivarsi mediante una dimostrazione scientifica.
[26] Uno studio EEG successivo delle 14 suore, pubblicato il 17 ottobre 2008, conferma sostanzialmente i risultati, evidenziando che le esperienze mistiche sono mediate da marcati cambiamenti nell’entità e nella coerenza della risposta, per effetto dell’attività di numerose aree corticali di entrambi gli emisferi (Beauregard Mario & Paquette Vincente, EEG activity in Carmelite Nuns during a mystical experience. Neuroscience Letters 444 (1), 1-4, 2008).
[27] In seguito si discuterà più approfonditamente questo punto.
[28] Anche in psicologia e in filosofia della mente l’annosa distinzione fra contenuto e coscienza costituisce un problema di non facile soluzione con il quale, per oltre quarant’anni, si è cimentata una folta schiera di studiosi che ha avuto in Daniel Dennet il suo capofila. Si veda: Daniel C. Dennet, Content and Consciousness, Routledge and Kegan Paul, Londra 1969 (testo originario, presentato come tesi di dottorato); la seconda edizione del 1986, totalmente riveduta, fu tradotta sei anni dopo: Contenuto e Coscienza. Il Mulino, Bologna 1992.
[29] Nella cultura occidentale è il luogo privilegiato dell’essere, nel quale la volontà del soggetto si assume la responsabilità delle scelte.
[30] Il termine, introdotto da Edouard Pichon, indica un interlocutore materialmente assente, ma al quale si rivolge pensiero e parola.
[31] La teologia del patto, nel cristianesimo, prosegue la tradizione ebraica del Vecchio Testamento che, nei dieci comandamenti, esprime i vincoli che legano la coscienza morale alla volontà di Dio.
[32] Il sacrificio di Abramo è un esempio paradigmatico della prova: chiedendogli di sacrificare il figlio unigenito Isacco, Dio saggia la fedeltà del patriarca spingendolo oltre il limite del tollerabile per l’uomo, ma costatata la sua fede, lo ferma e lo premia con benefici estesi alle generazioni successive. Questo episodio biblico esemplare, richiama alla mente una costante della cultura giudaico-cristiana: Dio chiama e l’uomo risponde; una scena che ha per teatro la coscienza e per protagonista la volontà.
[33] Come abbiamo visto in precedenza, gli studi di Davidson e colleghi presso la Wisconsin-Madison University hanno dimostrato che maggiore è l’esercizio della pratica buddista, più rilevante è la riduzione di attività cerebrale; ciò che corrisponde allo stato di “concentrazione senza sforzo” riferito dai praticanti, può riflettere l’apprendimento cerebrale ad indebolire con maggiore immediatezza ed efficacia la coscienza.
[34] Schematicamente possiamo distinguere la preghiera, con scopo di comunicazione, e la cerimonia con intento di commemorazione. Nel Padre Nostro, esempio paradigmatico della preghiera cristiana, il credente si rivolge ad un Allocutore invisibile e presente nella propria mente, legando, attraverso la propria coscienza, l’individuale all’universale. I riti cerimoniali collettivi, che includono la preghiera e prevedono numerose forme e procedure, hanno in comune la commemorazione, nel senso etimologico di rendere attuale alla coscienza.
[35] Ci rendiamo conto che si tratta di una distinzione semplicistica ed approssimativa, tuttavia la proponiamo perché ci sembra efficace nel cogliere i due aspetti salienti della differenza.
[36] Franz Joseph Gall, famoso anatomista del XIX secolo, pubblicò nel 1825 la sua teoria degli organi mentali, che chiamò Organologia; le sue tesi furono condivise da Johan Kasper Spurzheim, che ribattezzò questa localizzazione delle funzioni psichiche in presunti organi cerebrali, Frenologia. L’Organologia di Gall postulava la ripartizione del cervello in un grande numero di regioni, corrispondenti a veri e propri organi mentali, indipendenti fra loro e presenti fin dalla nascita. Ciascun organo costituiva la sede di quelle che la cultura del tempo riconosceva come tendenze, istinti e facoltà, quali l’istinto di riproduzione, l’amore per la propria progenie, il senso del linguaggio, la memoria per cose e fatti, la memoria per le persone, il gusto per le risse e i combattimenti, e così via; in tutto ventisette in una prima versione e trentacinque in una seconda. La frenologia giunse a ritenere che il particolare sviluppo di un organo cerebrale preposto ad un compito fosse ereditario e determinasse un’evidente deformazione cranica, da cui espressioni quali “ha il bernoccolo della matematica” o “è nato col bernoccolo del commercio”.
Il riferimento è tratto da “Alfred Binet e la Frenologia”, relazione di Giuseppe Perrella al seminario “Il senso dei numeri” (Società Nazionale di Neuroscienze BM&L, 2003).
[37] “You list a bunch of places in the
brain as if naming something lets you understand it” in David Biello,
Searching for God in the Brain., p. 44, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.
[38] Si vuole riferirsi agli studi illustrati in precedenza.
[39] Beauregard riferisce che, in uno studio QEEG non ancora pubblicato, ha ricevuto sostanziali conferme di quanto riscontrato in precedenza nelle carmelitane in meditazione, rilevando onde delta e theta nelle stesse regioni prefrontali, parietali e temporali che costituivano lo schema fMRI della meditazione cattolica emersa nel suo studio precedente.
[40] Il proposito di Newberg non è di facile attuazione, soprattutto per quanto riguarda i musulmani, che si sono rivelati più restii degli ebrei a sottoporsi ad indagine scientifica durante le manifestazioni della loro fede.
[41] “Our only hope is to specify what
is going on in each of those subsystems” in David Biello, Searching for
God in the Brain., p. 44, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.
[42] David Biello, Searching for God in the Brain., p. 45, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.
[43] Sia nel senso cristiano della Grazia, intesa come anticipazione terrena dello stato di beatitudine, sia nel senso dello stato d’animo positivo e costante descritto con varie formule in altre religioni.
[44] David Biello, Searching for God in the Brain., p. 45, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.