LA LESIONE CEREBRALE CHE RENDE IMMORALI

 

 

I nostri giudizi morali sono il prodotto della nostra storia individuale e collettiva, e la loro formulazione richiede risorse psichiche globali, tuttavia è possibile che abbiano una base neurobiologica specifica in sistemi di neuroni dedicati a questo compito.

La questione è divenuta quanto mai attuale dopo la pubblicazione di un lavoro che ha studiato l’alterazione dei giudizi morali in pazienti con lesioni nella regione ventro-mediale della corteccia prefrontale, rivelando evidenze che hanno suscitato commenti di notevole risonanza mediatica, riportati da Leonie Welberg nel numero di maggio della più autorevole pubblicazione dedicata alle rassegne neuroscientifiche (Leonie Welberg, The Moral Brain. Nature Reviews Neuroscience 8, 326, 2007).

I pazienti con lesioni nella citata area corticale propongono ragionamenti freddi e distaccati, talora quasi cinici, di fronte a problemi morali che inducono una partecipazione affettiva e talora emotiva nella maggior parte delle persone. Ad esempio, si proponeva loro una storia in cui si prospettava un dilemma di questo tipo: lasciar morire molte persone o salvarle uccidendo una persona cara. Gli affetti dalla lesione corticale sceglievano l’opzione di uccidere la persona cara, senza troppi dubbi, come se si fosse trattato di un problema cognitivo del tipo: vuoi salvare molti o uno solo?

Ralph Adolphs, neuroscienziato del California Institute of Technology, commentando questo dato per ScientificAmerican.com, ha osservato che la lesione comporta un’alterazione più generale che si manifesta con emozioni abnormi nella vita sociale di queste persone.

Joshua Greene, ricercatore di Harvard, ha definito sorprendente il risultato di questa ricerca nell’esprimere per la rivista Nature (News@nature.com) la sua opinione, che ha poi così dettagliato in forma divulgativa per il New York Times: “Quando noi formuliamo giudizi morali […] c’è un sistema emozionale che dipende da questa parte del cervello ed un altro sistema che esegue delle analisi costi-benefici più utilitaristiche, che in queste persone è evidentemente intatto”.

Questa dicotomia emozionale/razionale non emerge direttamente dalla sperimentazione, ma è la chiave interpretativa adottata dalla maggior parte degli studiosi che si è espressa in materia; è fra questi Frans de Waal della Emory University di Atalanta che,  facendo sfoggio di cultura filosofica, ha detto: “Ciò significa che Kant e Hume avevano entrambi ragione” ed ha poi proseguito: “Le emozioni sono un’ancora per il nostro sistema morale”(NewScientist.com).

Non si è fatto attendere il parere di uno dei tanti autorevoli riduzionisti che, ignorando la saggia e prudente distinzione in livelli insegnata da oltre un trentennio da neurobiologi del calibro di Steven Rose, riduce la prestazione del pensiero morale ad alcuni dei sistemi neuronici che la rendono possibile. Si tratta di Mario Mendez, neurologo dell’Università della California a Los Angeles, il quale ricava dai risultati dello studio in questione la conclusione che la morale non sia basata su tabù culturali e sociali, ma su una risposta emozionale ad altri esseri umani. A Scientific American ha dichiarato che la morale non è “qualcosa che tu debba imparare o […] che richieda una specifica esperienza religiosa per essere scelta o che si basi su un’esperienza culturale” ma è solo “un rispondere emotivo ad altri, e c’è una parte del cervello a ciò dedicata”.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Maggio 2007

www.brainmindlife.org