BM&L-ITALIA: MEMORIA E SONNO

AGGIORNAMENTO

 

ROMA, SETTEMBRE-DICEMBRE 2007

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

LA MEMORIA E IL SONNO

 

 

Ideale prosecuzione dell’incontro di aprile, al quale si rimanda per introdursi all’argomento, il nuovo aggiornamento porta nel titolo l’inversione delle priorità, annunciando che la relazione fra queste due straordinarie funzioni psichiche sarà studiata prevalentemente secondo l’angolazione prospettica delle ricerche sulla memoria.

Perché questa scheda introduttiva possa essere utile ai partecipanti non specialisti, si entrerà subito in argomento fornendo qualche nozione di base; successivamente si proporranno in sintesi estrema gli spunti emergenti dagli studi sperimentali che hanno attratto maggiormente la nostra attenzione.

Esistono varie classificazioni della memoria umana, elaborate da studiosi di branche diverse delle neuroscienze e della psicologia, tuttavia attualmente i ricercatori tendono a riferirsi ad uno schema comune, originato dalla neuropsicologia e successivamente elaborato ed integrato in base ad acquisizioni ottenute dalla ricerca in altri ambiti disciplinari. Anche noi seguiremo tale criterio di ripartizione, che si basa sulla distinzione in sottotipi di due ordini di processi: il primo direttamente accessibile  alla coscienza e comunicabile (memoria dichiarativa), il secondo costituito da varie forme di conservazione dell’esperienza non accessibili al diretto esame cosciente (memoria non-dichiarativa).

 

MEMORIA DICHIARATIVA. Consiste nei processi coscienti di formazione e recupero dei ricordi, ed è di gran lunga la forma più vicina alla comune esperienza, perché costituisce la base dell’istruzione, della conoscenza e di un gran numero di attività quotidiane.

Quando si dice che qualcuno ha una “buona memoria”, generalmente si fa riferimento alla capacità di ricordare nozioni, nomi, persone, fatti o circostanze e, pertanto, alla memoria dichiarativa.

Il ruolo dell’ippocampo nella formazione e nel recupero cosciente dei ricordi è una nozione di neuropatologia classica che ha trovato conferme negli studi condotti con i metodi di studio più avanzati. Oltre all’archiviazione ed al recupero dalla neocorteccia, questa formazione sembra essere essenziale nel correlare vari aspetti percettivi e cognitivi di un evento. E’ su tale correlazione che si basano le ricostruzioni mentali che impieghiamo per ricordare, ad esempio, dove abbiamo lasciato un oggetto o quando abbiamo incontrato una persona. Le associazioni ordinate di aspetti diversi dell’esperienza consentono, infatti, una collocazione nello spazio e nel tempo. Se non ricordo dove ho lasciato il telefono cellulare e, pensandoci su, rammento di averlo posto accanto ad un oggetto della mia scrivania, risolvo il problema grazie ad un processo di associazione spaziale mediato dall’ippocampo. Allo stesso modo, se voglio ricordare in quale giorno della settimana ed a quale ora ho incontrato una persona, e mi sovviene che l’incontro è avvenuto in pieno giorno, all’uscita dal ristorante dove mi reco ogni venerdì, devo essere grato alle associazioni temporali consentite dall’attività dei neuroni di questa struttura a forma di cavalluccio marino, in passato detta Corno d’Ammone e definita Pes Ippocampi dall’International Anatomical Nomenclature Committee (IANC).

Oltre all’ippocampo e ad altre formazioni site nella parte mediale del lobo temporale, le memorie basate sulla conoscenza esplicita richiedono l’intervento di reti neuroniche del diencefalo (corpi mammillari e altre formazioni e vie; si veda la scheda introduttiva in Aggiornamenti – I Corpi Mammillari).

Rimandando alla relazione sui rapporti fra anatomia e fisiologia per ogni altro riferimento alle basi strutturali, distinguiamo la memoria dichiarativa in due sottotipi: memoria episodica e memoria semantica.

 

Memoria Episodica. Consiste nella capacità di ricordare esperienze più o meno estese nel tempo, riferendole come episodi di vita vissuta; per questo caratteristico riferimento soggettivo, viene identificata spesso con la memoria autobiografica. Appartengono a questa categoria mnemonica le rievocazioni lontane nel tempo di esperienze intense e di momenti o giorni importanti della propria vita, quali una particolare gita dell’infanzia, il giorno del matrimonio o quello della laurea, ma anche l’insieme dei ricordi di eventi ordinari di un periodo, come le ultime vacanze, o di un recente fatto banale, come una conversazione sul tempo tenuta a colazione.

 

Memoria Semantica. Questa definizione si riferisce alla capacità di ricordare dati e nozioni ben delimitate concettualmente. Si è scelto come prototipo la conoscenza del significato di un nome (valore semantico), ma il suo senso si intende esteso ad ogni categoria del sapere. Per descriverne la natura si ricorre spesso ad esempi del suo utilizzo costituito da risposte a quesiti semplici, infatti impieghiamo la memoria semantica per rispondere a domande del tipo: “Come si chiama la posata con la quale si taglia il pane?” o “Qual è la figura geometrica con quattro lati uguali?”. Ma ci viene in soccorso anche nella riflessione muta, nel calcolo mentale e nel discorso interno, perché a questa tipologia mnemonica appartiene il ricordo di tutte le nozioni scolastiche, professionali, di utilità quotidiana e di interesse personale che accumuliamo nel corso di tutta la vita. La memoria semantica è perciò ritenuta la componente più rappresentativa della memoria dichiarativa.

 

MEMORIA NON DICHIARATIVA. Costituisce l’apprendimento non direttamente accessibile alla coscienza nei suoi contenuti ma evidente attraverso le prestazioni, le reazioni e i comportamenti. Se la memoria dichiarativa è un “sapere qualcosa” (knowing what), la memoria non dichiarativa consiste spesso in un “sapere come” (knowing how), e ciò è particolarmente evidente nel sottotipo più rappresentativo, ossia la memoria procedurale.

Distinguiamo, dunque, due grandi categorie di memoria non dichiarativa: la memoria procedurale sulla quale si basa l’acquisizione di un gran numero di abilità psicomotorie complesse, e la memoria implicita, a sua volta distinta in associativa, non associativa ed impressiva.

 

Memoria Procedurale. E’ costituita da blocchi di procedure psicomotorie, schemi posturali e modelli d’azione organizzati secondo patterns corrispondenti a definite prestazioni. Una grande quantità di compiti della nostra vita quotidiana richiede l’utilizzo di procedure psicomotorie acquisite attraverso la ripetizione di esercizi eseguiti inizialmente secondo un piano cosciente e, poi, automatizzati: scrivere mediante una tastiera, andare in bicicletta, guidare un’automobile e così via. In altri casi è possibile accedere alla memorizzazione procedurale senza passare per un piano di apprendimento esplicito, così come fanno i bambini che imparano a giocare al calcio per emulazione.

La memoria procedurale è la base della danza, dello sport, ma anche di molte attività in cui prevale l’apprendimento dichiarativo e la componente di procedure automatiche funge da supporto strutturale per la prestazione (v. dopo).

La presenza di memorie procedurali è rivelata dalla prestazione, come si vede nel movimento del corpo e del braccio che consentono al tennista di colpire in corsa una pallina con la racchetta, imprimendole la direzione e l’effetto desiderato. L’acquisizione di abilità come questa, come quella dello schermitore o del giocatore di golf, richiede l’intervento della corteccia motoria, dei nuclei della base appartenenti al sistema del corpo striato e del cervelletto.

 

Memoria Implicita. E’ distinta in Associativa, Non-Associativa ed Impressiva.

 

Memoria Associativa. A sua volta può essere ripartita in due sottotipi: Emozionale e Senso-Motoria. La prima ha il suo esempio classico nella paura condizionata che, per effetto di apprendimento mediato dall’amigdala, associa l’evocazione della paura a particolari stimoli percettivi. La seconda si basa su un’associazione motoria che richiede l’intervento del cervelletto.

 

Memoria Non-Associativa. I due sottotipi di questa categoria sono l’abitudine e la sensibilizzazione. Nel primo caso la semplice ripetizione di un’esperienza genera un apprendimento che consiste nel determinarsi di una tendenza o preferenza per ciò che è abituale. Può formare memorie estremamente resistenti.

Nel secondo caso si determina l’aumento di intensità o di probabilità della risposta, per effetto di un apprendimento implicito conseguente all’esposizione ripetuta ad un particolare stimolo detto sensibilizzante.

Entrambi questi sottotipi hanno rivelato un’importante base neurobiologica nei sistemi del tronco encefalico.

 

Memoria Impressiva o “Priming”. Consiste nel formarsi di una memoria in seguito al semplice effetto di esposizione a uno stimolo che presenti una particolare potenzialità evocativa (potere della suggestione) o per una particolare recettività dovuta a caratteristiche del soggetto e/o della condizione d’esperienza (primo stimolo di una serie, effetto novità, ecc.). Nel tipo di prove sperimentali impiegate per testare questa forma di memoria è in genere risultata importante la neocorteccia.

 

 

MEMORIA DICHIARATIVA

Memoria Episodica

Memoria Semantica

 

MEMORIA NON DICHIARATIVA

Memoria Procedurale

Memoria Implicita

(Associativa, Non-Associativa, Impressiva)

 

 

La ripartizione appena presentata, particolarmente utile per la sperimentazione, non trova facile riscontro nella nostra vita quotidiana, in cui processi corrispondenti alle varie modalità di formazione ed utilizzo delle memorie coesistono e talora si intrecciano in maniera inestricabile. Si pensi a ciò che accade quando si studia una lingua. I movimenti fonoarticolatori che consentono l’esatta pronuncia e prosodia, appartengono alla memoria procedurale che, insieme con la memoria associativa senso-motoria, interviene nel supportare anche l’apprendimento per imitazione delle strutture sintattiche, inizialmente ricavate dalle regole grammaticali apprese mediante la memoria dichiarativa semantica che è, naturalmente, la base per apprendere il nuovo vocabolario. Nelle fasi di studio avanzate, quando si vive nel paese in cui è parlata la lingua che si sta imparando, l’apprendimento è influenzato da varie interazioni; si pensi al caso in cui, il ripetersi di alcune esperienze delle quali si parla, vede la memoria episodica (dichiarativa) ripetutamente associata ad alcune espressioni (memoria semantica, dichiarativa, rinforzata da memoria associativa, non dichiarativa) che hanno prodotto suggestione (memoria impressiva, non dichiarativa) o che contribuiscono a creare abitudine (memoria non associativa, non dichiarativa).

Indipendentemente dal tipo, sembra che tutte le memorie attraversino fasi simili nel passare dalla prima risposta neuronica alla registrazione durevole. I singoli passi del processo si svolgono come un continuum, e la misura sperimentale della loro durata presenta difficoltà dovute alla variabilità determinata dal compito, dalle circostanze (influenza sullo stato di attivazione del sistema nervoso), dalla intensità della traccia iniziale e dell’individuo in esame.

E’ difficile prevedere generalizzando se un’esperienza diventerà una memoria stabile, perché ciò dipende da fattori che possono variare da caso a caso. Ad esempio, fare la conoscenza di una persona corrisponde spesso al formarsi di un’impronta funzionale specifica che codifica il viso e il nome e, magari, altri particolari; se questa traccia è destinata a costituire una memoria di lungo termine, diventerà più stabile mediante un processo definito consolidamento.

Nella psicologia classica una memoria si dice consolidata quando, in assenza di ripetizione mentale, è stabile abbastanza da resistere a percezioni, apprendimenti, pensieri o azioni che entrino in competizione con essa.

La ricerca ha accertato che il consolidamento non si limita a stabilizzare o fissare le memorie, ma compie un vero e proprio processo di rinforzo. Numerosi studi hanno dimostrato che stabilizzazione e rinforzo sono due eventi funzionali distinti che hanno luogo in tempi diversi. In particolare, si è osservato che la stabilizzazione avviene col passare del tempo, indipendentemente dallo stato funzionale cerebrale, mentre il rinforzo si verifica primariamente, se non esclusivamente, durante il sonno.

Lo studio del rinforzo durante il sonno ha rivelato che l’encefalo in questa condizione “offline” può recuperare memorie apparentemente perdute durante la veglia o produrre un vero apprendimento suppletivo, in entrambi i casi senza bisogno di ulteriore esecuzione. Sono proprio i meccanismi di tali processi ad aver attratto maggiormente l’attenzione dei ricercatori e, pertanto, sono stati oggetto di numerosi studi dei quali si darà conto nelle relazioni che seguiranno.

Ora, concludendo questa scheda introduttiva, vogliamo accennare all’ipotesi dell’omeostasi sinaptica –che consideriamo la più interessante proposta sul ruolo del sonno ad onde lente nell’apprendimento- perché nel corso di questo incontro vi si farà spesso riferimento. I processi plastici che si verificano durante la veglia risultano in un incremento della forza sinaptica in molti circuiti dell’encefalo, secondo l’ipotesi, sostenuta con altri da Giulio Tononi, ex-allievo e collaboratore di Gerald Edelman, il ruolo del sonno sarebbe quello di ridurre la forza sinaptica ad un livello di base energeticamente sostenibile, che fa uso efficiente dello spazio della materia grigia ed è benefico per l’apprendimento e la memoria. Il sonno, in quest’ottica, è il prezzo da pagare per la plasticità, e la sua funzione è la regolazione omeostatica dell’intero peso sinaptico che grava sui neuroni. L’ipotesi, che spiega numerosi elementi emersi dalla sperimentazione, consente di fare previsioni e presenta implicazioni sia per la neurofisiologia del sonno sia per la fisiopatologia dei disturbi dell’umore (si veda: Tononi G. & Girelli C., Sleep function and synaptic homeostasis. Sleep Med Rev. 10, 49-62, 2006).

Ricordiamo che le relazioni, i cui testi con l’indicazione in dettaglio dei nomi degli autori, dei gruppi di appartenenza e della bibliografia completa, sono a disposizione dei soci-membri. In calce a questa scheda introduttiva riportiamo alcune “Note e Notizie” in cui sono stati recensiti lavori dei quali si discuterà oggi.

Prima di dare inizio alla presentazione delle relazioni, vogliamo ringraziare tutti i partecipanti, soprattutto coloro che, non essendo membri della nostra Società, hanno voluto generosamente fornire materiali scientifici, bibliografie, resoconti di ricerche non ancora pubblicate e documentazione audiovisiva originale; vogliamo, inoltre, ringraziare in anticipo coloro che registrano e trascriveranno le presentazioni, le domande, le risposte e le discussioni.

 

Giovanni Rossi & Giuseppe Perrella

BM&L-Settembre-Dicembre 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

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DIMOSTRATA AZIONE DEL SONNO REM SU MEMORIA DICHIARATIVA

 

 

In vari studi è stato rilevato che, dopo intense sessioni di apprendimento procedurale, i fusi del sonno e i rapidi movimenti oculari (REM) sono notevolmente accresciuti, ma fino ad ora non è stato possibile stabilire se tali reperti elettroencefalografici siano da attribuire alle specifiche prove o all’apprendimento in generale.

Fogel, Smith e Cote della Brocke University hanno affrontato il problema studiando i fusi del sonno, i rapidi movimenti oculari, i complessi-K ed altre caratteristiche dell’EEG in 36 volontari divisi in quattro gruppi di nove, tre dei quali sottoposti a prove (Pursuit Rotor, Mirror Tracing, Paired Associates) ed uno di controllo (Fogel S. M. et al. Dissociable learning-dependent changes in REM and non-REM sleep in declarative and procedural memory systems. Behav. Brain Res. F. 28 [Epub ahead of print] 2007).

I risultati ottenuti dai ricercatori canadesi sono davvero interessanti, in particolare per ciò che concerne le differenze fra correlati elettroencefalografici delle fasi del sonno connesse con i due tipi di apprendimento, procedurale e dichiarativo.

Dopo il Pursuit Rotor si registrava un aumento della durata dello Stadio 2, un’accresciuta frequenza e durata media dei fusi del sonno, e un’accentuazione delle onde sigma di bassa frequenza nelle aree occipitali durante il sonno ad onde lente sincronizzate e nelle aree frontali durante lo Stadio 2 della seconda parte della notte.

Questi risultati concordano con quelli degli studi precedenti, dai quali si era dedotto che l’apprendimento delle prove Pursuit Rotor è consolidato durante lo Stadio 2, e suggeriscono che, durante tutti gli stadi, la presenza dei fusi del sonno indichi processi di rimodellamento morfo-funzionale basati sulla plasticità cerebrale.

L’apprendimento esplicito o dichiarativo conseguente al formarsi di ricordi coscienti, tipico del Paired Associates, si accompagnava ad un aumento del ritmo theta nelle regioni centrali del cervello durante il sonno REM. E’ questa la prima dimostrazione che l’attività theta del sonno REM si associa al consolidamento della memoria dichiarativa.

Fogel, Smith e Cote concludono che il rimodellamento plastico (brain plasticity) cui va incontro il cervello durante il sonno non può essere descritto come un processo unitario, perché è evidente che ai vari tipi di apprendimento corrispondono specifici meccanismi di consolidamento che agiscono in regioni cerebrali diverse, e in periodi e fasi diverse nel corso della notte.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Aprile 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

IL RUOLO DEL SONNO NEL FORMARE I RICORDI

 

 

Il ruolo del sonno nel consolidamento delle tracce cellulari e molecolari di un’esperienza è noto da tempo, e più di recente numerose prove sperimentali hanno confermato l’importanza del sonno dopo sedute di apprendimento per il formarsi di memorie stabili nella nostra specie.

Al contrario, se il sonno prima dell’apprendimento sia essenziale o meno per l’iniziale formazione di nuovi ricordi o nuove procedure senso-motorie, è questione dibattuta, soprattutto a causa di dati sperimentali insufficienti. Alla Harvard Medical School di Boston, sotto la guida Mattew Walker, Yoo e collaboratori hanno affrontato questo problema studiando gli effetti della deprivazione di sonno sulla memoria umana (Yoo S. S. et al. A deficit to form new human memories without sleep. Nature Neuroscience 10, 385-392, 2007).

I risultati di questo studio sono veramente degni di nota per la chiara evidenza con la quale sembrano porre fine alle controversie sorte in passato. Vediamo, in sintesi, gli elementi di maggior rilievo.

Una singola notte di privazione del sonno era già sufficiente a produrre una significativa riduzione dell’attività dell’ippocampo durante la codificazione di memorie episodiche; a tale ridotta funzione dei neuroni ippocampali faceva seguito un difetto di ritenzione evidente al test.

L’alterazione prodotta nell’ippocampo dalla deprivazione del sonno non si può circoscrivere ad una mera riduzione della prestazione mnemonica, perché è risultata essere parte di uno scompenso regionale più esteso. I ricercatori hanno infatti descritto una modificazione di assetto fisiologico caratterizzata da un diverso pattern di connessioni nei circuiti che mediano la reazione elementare di allarme nel tronco encefalico e nel talamo.

Un altro dato significativo riguarda il restringimento della base corticale dei processi di codifica: nei soggetti deprivati di sonno la riuscita dei processi di codifica poteva essere prevista sulla base dell’attività di singole aree corticali.

Complessivamente il lavoro dimostra che la precedente deprivazione di sonno, incidendo su varie attività neurali, altera e riduce la capacità di trasformare nuove esperienze in nuove memorie.  

 

Diane Richmond

BM&L-Aprile 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

NUOVE SUL CONSOLIDAMENTO DELLA MEMORIA DURANTE IL SONNO

 

 

Appena addormentati, il nostro cervello, staccati i collegamenti con la percezione del mondo circostante, continua ad essere impegnato nell’elaborazione delle ultime esperienze dello stato di veglia. Sebbene la maggior parte dei ricercatori ritenga questi processi encefalici una testimonianza del consolidamento delle tracce mnemoniche operato dallo stato di sonno, non esistono ancora prove sperimentali decisive ed inoppugnabili in tal senso.

In preparazione di un aggiornamento dal titolo “Sonno e Memoria”, Giuseppe Perrella e Nicole Cardon hanno presentato al gruppo di cognitive science di “BRAIN MIND & LIFE ITALIA”, un lavoro condotto da Ji e Wilson in cui si dimostra che i patterns di scariche  correlati ad esperienze dello stato di veglia, sono eseguiti nuovamente nell’ippocampo e nella corteccia cerebrale durante il sonno ad onde lente (SWS).

Negli anni recenti, un numero veramente sorprendente di lavori-fotocopia è stato eseguito in tutto il mondo per studiare, mediante tecniche di neuroimaging funzionale (fMRI, PET, SPECT), magnetoencefalografia (MEG) e poligrafia bioelettrica convenzionale, i rapporti fra alcune prestazioni mnemoniche, valutate con i tradizionali tests accademici, e il sonno REM e non-REM nei suoi principali aspetti quantitativi e qualitativi. Da questi studi non si ricava altro che conferma dei dubbi e delle certezze del passato, e ben poco di nuovo si riesce ad evincere sul significato degli stati funzionali esaminati.

La ricerca di Ji e Wilson, invece, dimostra che il replay in SWS degli schemi di accensione dei neuroni nella corteccia cerebrale visiva e nell’ippocampo, è coordinato e segue una modalità di tipo bi-direzionale, secondo il tipico modello di attività rientrante ippocampo-corteccia, che si ritiene alla base del consolidamento delle tracce (Ji D. & Wilson M. A. Coordinated memory replay in the visual cortex and hippocampus during sleep. Nature Neuroscience 10, 100-107, 2007).

La discussione seguita alla presentazione dei risultati di questa ricerca, ha affrontato numerosi altri aspetti del lavoro che il gruppo sta conducendo in vista della preparazione dell’aggiornamento dal titolo “Sonno e Memoria”.

 

Roberto Colonna

BM&L-Dicembre 2006

www.brainmindlife.org

 

 

 

DIFFERENZE INDIVIDUALI DELLA MEMORIA NEL CERVELLO

 

 

Lo studio della memoria mediante immagini funzionali del cervello ha deluso le aspettative di chi credeva di poter rilevare patterns di attivazione semplici ed universali per ogni tipo di compito studiato, ma ha alimentato le speranze dei neurofisiologi di comprendere i criteri biologici dell’organizzazione funzionale cerebrale.

Fin dagli studi ormai classici su pazienti con cervello diviso, Michael Gazzaniga e la celebre équipe dei suoi collaboratori, erano giunti alla conclusione che non tutti i cervelli presentano lo stesso tipo di organizzazione funzionale dei processi cognitivi; se a questo si aggiunge la facoltà che ha ciascuno di noi di impiegare le proprie risorse psichiche secondo criteri e metodi personali, è possibile spiegarsi almeno una parte delle differenze cerebrali  nell’esecuzione di uno stesso compito, rilevate alla Risonanza Magnetica Funzionale (RMF).

Kirchhoff e Buckner hanno studiato l’influenza sulle prestazioni di memoria e sull’attività cerebrale di vari tipi di strategie impiegati per ricordare (Kirchhoff B. A. & Buckner R. L., Functional-anatomic correlates of individual differences in memory. Neuron 51, 263-274, 2006).

Ai volontari partecipanti all’esperimento, mentre il loro cervello era sottoposto a scansioni di RMF, venivano mostrate coppie di oggetti associati, come ad esempio una banana posta in un veicolo, e si diceva loro che sarebbero stati testati per valutare le loro capacità di ricordare le immagini viste. Al termine si chiedeva ad ognuno quale strategia avesse impiegato per ricordare. I modi di ricordare erano numerosi e vari, così i ricercatori li hanno raggruppati in insiemi concettualmente coerenti.

In una prova di recupero dell’informazione, due tipi di strategie, chiamate “elaborazione verbale” ed “ispezione visiva”, risultavano correlati con la prestazione, altri due, detti “immaginazione mentale” e “recupero della memoria”, non mostravano correlazione.

E’ emerso che le persone che usavano il maggior numero di strategie di codificazione mnemonica, ottenevano i migliori risultati. Un’analisi ulteriore ha mostrato che le strategie di “elaborazione verbale” e “ispezione visiva” miglioravano indipendentemente la prestazione di memoria.

Lo studio di comparazione delle strategie mnemoniche adottate con l’imaging funzionale, ha rivelato specifici rapporti fra la modalità cognitiva e le aree cerebrali attivate. In particolare, la strategia di elaborazione verbale appariva associata con l’attività di zone della corteccia prefrontale che contribuiscono alle funzioni linguistiche, mentre la strategia di ispezione visiva attivava l’area dell’elaborazione degli oggetti della corteccia extra-striata. Definiti questi rapporti, gli autori hanno cercato di stabilire se l’attività neuronica in tali territori encefalici, durante la codificazione dei ricordi, fosse direttamente correlata con le prestazioni mnemoniche ad un successivo test.

La verifica ha dimostrato che il grado di attività nelle specifiche aree impiegate durante la codificazione guidata dalle strategie più efficaci, era strettamente correlato con le risposte esatte.

Questo lavoro, oltre a fornirci informazioni utili per la ricerca volta al fine del miglioramento delle prestazioni di memoria, rappresenta in sé un modello per lo studio mediante neuroimmagine anche di altre funzioni cognitive, in quanto ci ricorda che un compito cognitivo non corrisponde ad un unico substrato neurofunzionale, ma può variare in base al procedimento scelto dalla coscienza dichiarativa.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Ottobre 2006

www.brainmindlife.org

 

 

 

MEMORIA ESPLICITA E MEMORIA IMPLICITA: GLI ELEMENTI COMUNI

 

 

Se non vi è dubbio che a Daniel Schacter di Harvard si devono i meriti maggiori dell’affermarsi, ben al di là del campo della neuropsicologia, della distinzione fra memoria implicita ed esplicita, gli studiosi che hanno contribuito al progresso delle conoscenze in questo ambito sono così numerosi, che l’elenco dei loro nomi occuperebbe uno spazio maggiore di quello dell’intera nota. Molti fra costoro hanno sviluppato ipotesi, teorie e modelli della memoria umana, in gran parte fondati sui fenomeni dissociativi che dimostrano l’indipendenza fra queste due forme di conservazione e riutilizzo di ciò che si è acquisito.

La base neurale della distinzione fra i due tipi di memoria è stata, ed è tuttora, oggetto di studi estesi ed intensi, al contrario, gli elementi comuni sono stati trascurati. Solo pochi studi sono stati dedicati, ad esempio, al tentativo di rispondere all’affascinante interrogativo circa l’esistenza di un substrato neurale identico per il processo di codifica dell’informazione.

Un tentativo degno di nota, per dare risposta a questo interrogativo, è stato compiuto da Nicholas Turk-Browne, Do-Joon Yi e Marvin Chun, con una ricerca che ha impiegato procedure classiche di neuropsicologia sperimentale e la risonanza magnetica funzionale (FMR o fMRI) per lo studio dei correlati neurali. Per una riflessione approfondita e critica di questo studio si rimanda alla lettura del lavoro originale pubblicato lo scorso 16 marzo (Linking Implicit and Explicit Memory: Common Encoding Factors and Shared Representations. Neuron 49, 917-927, 2006).

 

In sintesi, i risultati depongono a favore delle seguenti conclusioni:

 

- memoria implicita ed esplicita sono soggette agli stessi fattori di codificazione,

- memoria implicita ed esplicita si basano su processi percettivi simili,

- memoria implicita ed esplicita si basano su rappresentazioni simili.

 

Chi scrive nutre notevoli perplessità circa l’oggetto di dimostrazione ed il metodo impiegato, rilevando, ad esempio, che i criteri di distinzione neuropsicologica fra le due forme di memoria non corrispondono a due precisi patterns di attivazione noti e chiaramente identificabili mediante un metodo di imaging funzionale, perciò risulta aleatorio su questa base definire, per converso, elementi condivisi. Pertanto, si ritiene che sia necessaria ancora molta ricerca per dare risposta a tanti quesiti più elementari sulla neurofisiologia dei sistemi implicati in questi processi mnemonici, perché si abbia una base di conoscenza più ampia e solida, prima di intraprendere studi tanto ambiziosi.

 

L’autrice ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

 Diane Richmond

BM&L-Marzo 2006

www.brainmindlife.org

 

 

 

SONNO: MODELLO COMPUTERIZZATO DEI CIRCUITI TALAMO-CORTICALI

 

 

L’attività elettrica della corteccia caratteristica dello stato di sonno e di veglia, che possiamo registrare e studiare mediante l’elettroencefalografia, dipende in larga misura dalle sue connessioni con il talamo.

Le connessioni rientranti, ossia i collegamenti sinaptici caratterizzati da una completa innervazione bi-direzionale fra due aree, rappresentano una chiave di volta nella fisiologia dei sistemi cerebrali e, per questo, costituiscono un oggetto di studio privilegiato. Sul ruolo svolto dal “rientro” si basa una parte non marginale della teoria della selezione dei gruppi neuronici di Gerald Edelman e della sua interpretazione delle basi neurofunzionali della coscienza.

La connessione talamo-corticale, che dà origine ai ritmi sonno-veglia, è la maggiore delle connessioni rientranti del nostro encefalo. Riuscire a prevederne il funzionamento in condizioni sperimentali definite, potrebbe condurci alla comprensione di criteri o paradigmi di funzionamento da estrapolare anche ad altri sistemi cerebrali rientranti per interpretarne la fisiologia.

Giulio Tononi, formato alla Normale di Pisa e collaboratore di Gerald Edelman, in cooperazione con Hill (Modeling sleep and wakefulness in the thalamocortical system. J. Neurophysiol. E-pub ahead of print Nov 10, 2004; in press 2005) ha realizzato un modello computerizzato della connessione talamo-corticale in grado di simulare la transizione funzionale dallo stato di veglia a quello di sonno.

Il modello è estremamente interessante perché include numerose caratteristiche del sistema naturale, dalle proprietà dei canali ionici ai patterns di attività globale, ed è concepito in maniera tale da consentire la simulazione sperimentale di vari aspetti delle attività ad onde lente.

Queste simulazioni in un sistema artificiale di cui sono note tutte le componenti, dovrebbe favorire l’elaborazione di schemi da mettere alla prova nei ben più complessi sistemi naturali, costituiti in gran parte da processi ancora ignoti.

Uno dei problemi che si può affrontare con questo simulatore elettronico è, ad esempio, l’influenza dell’attività ad onde lente sulla plasticità neurale: le ipotesi elaborate nel rispetto dei vincoli di coerenza interna previsti dal modello artificiale possono essere messe alla prova mediante esperimenti su sistemi animali. I risultati possono consentire di correggere e perfezionare il modello che, al cimento sperimentale successivo, avrà tenuto conto di un vincolo biologico. In tal modo, ad ogni passo il modello ipotetico dovrebbe avvicinarsi di più al reale.

Questo impiego si può generalizzare consentendo, come nel caso degli automi di Edelman “Darwin I-IV” e “Nomad”, di creare delle sinergie fra elaborazione teorico-inferenziale ed interpretazione deduttiva dei dati sperimentali, procedura veramente congeniale alla cultura di Giulio Tononi.

 

Nicole Cardon, Diane Richmond & Giuseppe Perrella

BM&L-Febbraio 2005

www.brainmindlife.org