SESSO E CERVELLO

 

BRAIN MIND & LIFE INTERNATIONAL e BRAIN MIND & LIFE ITALIA, Società Nazionale di Neuroscienze, hanno dedicato vari incontri, dibattiti e journal clubs alle differenze legate al sesso nella struttura e nelle funzioni cerebrali. L’approfondimento di questi temi è tuttora in corso ed il dibattito sulla metodologia, sul valore scientifico e sull’interpretazione dei risultati della ricerca in questo campo è più che mai vivo. Qui di seguito si riportano le due ultime note sull’argomento pubblicate su questo sito.

 

 

SESSO E DIFFERENZE CEREBRALI  

 

 

“Il sesso è importante” affermava la National Academy of Science nel rapporto del 2001 sul ruolo delle differenze sessuali nella salute degli individui, ribadendo un concetto ormai accettato e condiviso dalla comunità medica e scientifica. Si può dire altrettanto per la fisiologia cerebrale? Le differenze morfologiche osservabili sono realmente alla base di una dicotomia sessuale della mente? Quante e quali sono reali? A quali di esse si può attribuire un ruolo prossimo al dimorfismo sessuale dei caratteri secondari e a quali il valore di base neurobiologica delle differenze psichiche fra l’uomo e la donna?

A questi e a molti altri interrogativi dovrà rispondere la ricerca, ma intanto si moltiplicano i lavori scientifici e gli articoli divulgativi che periodicamente annunciano la scoperta di qualche base biologica della diversità emozionale, cognitiva o comportamentale che si osserva nei due sessi (Larry Cahill, His brain, her brain, Scientific American 292 (5), 22-29, 2005). Non sempre è facile orientarsi nel giudicare la validità delle tesi esposte, pertanto qui proviamo a tracciare un sintetico vademecum del ricercatore che può essere impiegato anche come strumento di giudizio delle pubblicazioni da parte del lettore non specialista.

 

1) Avere criteri sicuri e riferimenti precisi per distinguere le differenze che hanno origine prima della nascita da quelle che originano dopo.

 

2) Tenere ben distinte le differenze anatomiche da quelle comportamentali.

 

3) Nell’attribuire significato funzionale ad una variazione di volume si dovranno tenere sempre presenti gli standard di riferimento normali e, in particolare, il range di variazione su grandi numeri di campioni equilibrati nelle loro componenti.

Ad esempio, nelle misure volumetriche volte ad accertare il danno dell’Ippocampo, si ritiene significativa una riduzione superiore al 2.8% del volume medio.

 

4) Le variazioni di volume dovrebbero essere studiate tenendo conto dell’indice cefalico, della correlazione proporzionale dell’encefalo al volume e al peso corporeo del singolo individuo; e di un dato apparentemente curioso ma importante: alcune aree sono maggiormente influenzate dalle dimensioni corporee, a fronte di altre che sono più stabili.

 

5) La scuola di Roger Sperry, soprattutto con le ricerche di Jeff Holtzmann, Michael Gazzaniga e Joseph Le Doux, ha mostrato da decenni che non tutti i cervelli sono organizzati allo stesso modo e perfino le funzioni linguistiche possono presentare differenze individuali notevoli.

 

6) Anche nella certezza di una differenza volumetrica nei due sessi, riscontrata in un’area cerebrale discreta, sarà necessario dimostrarne l’effettivo rapporto con una differenza funzionale.

Nel cervello, infatti, è applicata ad un grado più elevato una regola valida per tutta la biologia degli organismi complessi: le differenze morfologiche non sono in rapporto 1:1 con quelle funzionali. Il motivo di questo dato si può rintracciare nella variazione necessaria alla selezione naturale, bene illustrata dalla teoria di Edelman, che prevede uno spettro inclusivo di variazioni significative e non-significative.

Uno dei tanti esempi al riguardo, fuori dal sistema nervoso, lo troviamo nel gastrocnemio, il muscolo bigastrico che costituisce il tricipite della sura, ossia il complesso muscolare del polpaccio umano. Le dimensioni dei due ventri non sono uguali, ed accade che la posizione del ventre maggiore sia esattamente invertita in alcune popolazioni di colore rispetto ai caucasici, tuttavia questa differenza morfologica non ha significato funzionale in termini biomeccanici e locomotori.

 

A questi punti essenziali del vademecum si dovrebbero aggiungere raccomandazioni valide in generale per ogni ricerca, come la conoscenza culturale delle scuole che costituiscono il riferimento principale in quel campo e lo studio critico e comparativo delle varie metodologie seguite. Ma, naturalmente, queste raccomandazioni si intendono rivolte a chi intraprende uno studio sperimentale, ben comprendendo come non sia possibile pretendere questo grado di approfondimento da un generico cultore.

Per un sintetico ma interessante “stato dell’arte” con utili suggerimenti bibliografici ed una discussione competente su alcuni dei punti da noi elencati, raccomandiamo la nota contestualmente pubblicata oggi: “Il sesso del cervello: miti e realtà”.

 

Diane Richmond & Ludovica R. Poggi

BM&L-Ottobre 2005

www.brainmindlife.org

 

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IL SESSO DEL CERVELLO: MITI E REALTA’  

 

 

 

O Zeus, che male subdolo per gli uomini

alla luce del sole hai collocato: le donne!

[Euripide, Ippolito, v. 616]

 

Sull’enigma della femminilità gli uomini si

 sono lambiccati in ogni epoca il cervello.

[Freud, Opere, XI, p. 218, Boringhieri]

 

 

INTRODUZIONE. Qualche millennio di cultura che ha avuto gli uomini come soggetti prevalenti e talora esclusivi nella creazione dei modelli umani, ha prodotto strutture e forme antropologiche squilibrate in favore dell’identità maschile, difficili da riequilibrare nel giro di pochi decenni. Il profondo radicamento culturale, come spesso accade, ha determinato la suggestione di una realtà naturale. E’ noto che gli antichi ritenevano che le lingue, come il Greco e l’Ebraico, non fossero invenzione umana e si chiedevano se un bambino, allevato senza mai sentire parole, avesse spontaneamente parlato la lingua greca o quella ebraica. Come era accaduto per la lingua, considerata una proprietà innata dell’animo umano, così si è creduto alla naturale inferiorità della donna, misconoscendo per secoli la responsabilità del ruolo culturale che le veniva imposto.

La remota origine della prevalenza maschile in un mondo in cui avevano un ruolo determinante la maggiore forza fisica e la disponibilità data dall’assenza del vincolo biologico della gestazione e dell’allattamento, si è progressivamente ridotta nel tempo dando luogo ad una asimmetria sempre più culturale, artificiale ed artificiosa.

Le donne, male subdolo per Euripide ed ancora enigmatiche per Freud, diventando soggetto della cultura, hanno dissolto le ombre dell’ignoranza creata dalla miriade di condizionamenti del pensiero che si sono espressi in Oriente come in Occidente nei ruoli sociali, nelle forme dell’arte, del costume e dell’istruzione. Le società sono state organizzate -e in larga misura lo sono tuttora- sulla base di una implicita priorità maschile, con le rare, antiche e poco documentate eccezioni delle società matriarcali, dal cui novero è opportuno escludere le forme letterarie in cui si è trasmesso il mito, tutto maschile, delle amazzoni.

Attualmente, negli strati sociali più colti del cosiddetto mondo occidentale, anche per effetto dell’azione dei movimenti delle donne, sia nelle forme più ideologizzate del femminismo degli esordi, sia nella progressiva penetrazione culturale di una nuova weltanschauung, si è determinata una tendenza di maniera a concedere una certa superiorità a quel sesso, cui soltanto un secolo prima si attribuiva la qualità di “gentile” nelle conversazioni da salotto  e l’epiteto di “inferiore” nel gabinetto craniometrico.

Forse anche per questo motivo la dichiarazione di Lawrence Summers, rettore dell’Università di Harvard, secondo cui il basso numero di donne nel campo della scienza dipenderebbe dalla struttura del cervello femminile, ha destato così tanto scalpore che, cinque mesi dopo, Larry Cahill ha aperto citando Summers il suo articolo di review sulle differenze sessuali cerebrali (His brain, her brain, Scientific American 292 (5), 22-29, 2005).

Noi lo citiamo, a nostra volta, perché introduce bene due problemi che riguardano questo tipo di ricerca: 1) la faciloneria con cui si tende a mettere in relazione l’organizzazione funzionale cerebrale con comportamenti umani che dipendono da numerosi fattori individuali e sociali; 2) l’influenza della propensione partigiana da parte dei ricercatori o bias sessista (maschilista o femminista) per tesi precostituite.

Senza addentrarci nelle facili critiche alla dichiarazione del rettore di Harvard, con un semplice esempio vogliamo evidenziare l’importanza dell’elemento culturale.

Uno di noi, al primo anno di Università studiava con un collega il quale aveva due sorelle laureate in matematica. Una di esse, già assistente presso la sua facoltà, riferiva che le donne iscritte erano più del 60% ed erano le più brave. Quello stesso anno, in quello stesso Ateneo, si iscrisse una sola ragazza alla facoltà di ingegneria. In Italia, per comune convenzione, l’ingegneria si considera facoltà a sé stante e, per questo, non sarebbe venuto in mente a nessuno di fare la media fra l’affluenza ad una facoltà che consente l’insegnamento, tradizionalmente preferito dalle donne, ed un’altra che prepara ad una professione considerata in Italia fino a qualche tempo fa esclusivamente maschile. Negli Stati Uniti, in generale, e nel discorso di Summers in particolare, nel campo “scienza” sono incluse, con la matematica, la fisica, le scienze biomediche, le scienze naturali, le scienze ambientali, anche le discipline tecniche, tecnologiche e informatiche.

 

VERE DIFFERENZE. Le valutazioni circa le differenze che riguardano il cervello viscerale, sotto la diretta influenza degli ormoni sessuali, rimangono le più affidabili in quanto parte di un sistema più semplice e meglio conosciuto. Seymour Levine, già negli anni Sessanta, aveva dimostrato l’influenza degli ormoni sessuali sull’ipotalamo dei roditori nello sviluppo dei comportamenti riproduttivi legati al genere: accanto ad uno stato neurovegetativo simile nei due sessi, le femmine sviluppavano l’inarcamento della schiena ed il sollevamento delle natiche, mentre i maschi la sequenza motoria della monta.

In ambito umano, fra le scuole più autorevoli, quella di Doreen Kimura ha fornito dei risultati difficilmente contestabili circa differenze di prestazione in precisi compiti cognitivi. Ecco in sintesi i risultati:

 

Le donne ottengono risultati migliori nelle prove visive di velocità percettiva,

 

gli uomini nelle prove che richiedono la rotazione mentale di oggetti tridimensionali,

 

le donne ricordano meglio la collocazione di un oggetto in un contesto complesso,

 

gli uomini la posizione che avranno dei fori su un foglio piegato quando lo si dispieghi,

 

le donne prevalgono nell’elencazione di oggetti di uno stesso colore e test simili,

 

gli uomini sono più precisi nel tiro al bersaglio manuale con le freccette e simili,

 

le donne sono più efficienti nel collocare con precisione piccoli pioli nei loro fori,

 

gli uomini sono più bravi nel rintracciare una forma in un puzzle complesso,

 

le donne prevalgono nel calcolo aritmetico (es.: 2 (15 + 3) + 12 – 15/3 = 43)

 

gli uomini nel ragionamento matematico (es.: se il 60% dei semi è buono quanti ne

occorrono per 660 piante?)

 

(vedi Doreen Kimura, Sex Differences in the Brain. Scientific American 267, (3), 80-87, 1992).

E’ interessante notare che la parte ancora attuale e valida del contributo di questa ricercatrice e della sua scuola, riguarda la differenza nelle prestazioni e non il rapporto morfologia / fisiologia cerebrale, che è molto più problematico. Ad esempio, in alcuni lavori, su una base neurologica anatomo-clinica o sulla base di reperti ottenuti mediante tecniche di neuroimmagine funzionale, sono state rilevate differenze nei due sessi nella comparsa di sindromi afasiche: negli uomini i sintomi comparivano più spesso per lesioni delle aree posteriori, nelle donne più spesso per lesioni anteriori. Ma questi dati, rilevati su piccoli numeri e solo parzialmente confermati, non sembrano riflettere una dicotomia di funzione fra il cervello della donna e quello dell’uomo. In proposito si deve notare che, sebbene nella massima parte dei casi la patologia avesse origine vascolare, le ricerche non erano accompagnate da un adeguato studio delle differenze cerebrovascolari nei due sessi e nei singoli pazienti.

Negli ultimi decenni si è indagata soprattutto la differenza di genere nelle strutture del neoencefalo e, con il prevalere della cultura del determinismo genetico, si sono cercate differenze legate al sesso cromosomico nelle prestazioni cognitive, tentando di integrare i risultati con i dati anatomo-clinici su cui si era prevalentemente basata la neuropsicologia nelle epoche precedenti. Con l’affinamento delle tecniche di neuroimmagine (RMN, PET, SPECT e, poi, RMF) si sono cercati i correlati morfo-funzionali delle differenze nella specie umana in vivo e, con lo sviluppo dei sistemi computerizzati che hanno consentito lo studio delle prestazioni psico-neuromotorie insieme con il rilievo dei potenziali elettrici cognitivi corticali (P300, N400, ecc.), sono state indagate altre differenze fra uomini e donne.

Molti studi hanno rilevato differenze sessuali in aree del cervello messe in relazione con linguaggio, memoria, emozioni, vista, udito ed orientamento. Un limite comune a molti di questi lavori è dato dall’essere condotti spesso su piccoli numeri, in campioni scarsamente o solo apparentemente omogenei e quindi di bassa significatività statistica.

In una ricerca, assurta in breve tempo al rango di “lavoro classico”, Jill M. Goldstein ei suoi colleghi della Harvard Medical School hanno misurato il volume relativo (= volume assoluto diviso volume complessivo dell’encefalo) di una selezione di aree della corteccia cerebrale, riscontrando differenze fra i due sessi abbastanza definite e costanti. Questi autori si sono astenuti dall’azzardare ipotesi su differenze cognitive derivanti da questi rilievi (Jill M. Goldstein et al., in Cerebral Cortex 11 (6), 490-497, 2001).

Sandra Witelson ha rilevato, con i suoi collaboratori, una maggiore densità di neuroni in due dei sei strati della corteccia temporale femminile, in aree collegate con funzioni linguistiche; simili riscontri sono stati riferiti per il lobo frontale. Sulla base di questi dati e di altri simili, come la maggiore densità neuronica delle aree acustiche, alcuni hanno spiegato i migliori risultati delle donne nelle prove di abilità verbale (v. Larry Cahill, cit., Sci Am. 2005).

In proposito esprimiamo un dubbio critico, perché in molti casi la densità neuronica si è rivelata un criterio infido per stabilire il grado di attività e di efficienza funzionale. Come abbiamo avuto modo di notare a proposito del cervello di Einstein, che presentava una concentrazione di neuroni inferiore alla media, la glia potrebbe giocare un ruolo nelle funzioni mentali più importante di quanto si sia ritenuto finora.

Un altro tipo di studi è quello basato sull’analisi comparata del comportamento, che generalmente consiste nel confronto con primati sub-umani.

Fra i piccoli di cercopiteco, i maschi mostravano una preferenza per giocattoli ritenuti “da maschio” nella cultura umana, quali una palla o un’automobilina, mentre le femmine preferivano piccole bambole o pentoline, come le bambine.

Anche in questo caso, numeri, costruzione del campione e criteri adottati nel giudizio delle preferenze, lasciano molti dubbi sulla significatività dei risultati.

Le differenze fra i sessi nella risposta allo stress sono meglio studiate e conosciute, tuttavia, anche in questo ambito sono state avanzate ipotesi quanto meno discutibili. Ad esempio, alcuni autori, rilevando un aumento di spine dendritiche nel maschio a fronte di una diminuzione nella femmina, per effetto dello stress, ne hanno desunto che lo stress faciliterebbe l’apprendimento nel maschio e lo ostacolerebbe nella femmina. Questa affermazione, a parte l’ipersemplificazione “spina dendritica = apprendimento”, entra in contrasto con quanto risulta dalle ricerche precedenti sullo stress. Infatti, una notevole mole di studi (basti pensare a quelli classici della scuola di Gary-Aston sulle scimmie) ha dimostrato che i bassi livelli degli ormoni dello stress come la noradrenalina (condizione che non corrisponde allo stress in senso stretto) è in grado di migliorare le prestazioni cognitive indipendentemente dal sesso; dosi crescenti peggiorano le attività della working memory, e livelli elevati di cortisolo (corrispondenti allo stato di stress vero e proprio) compromettono prestazioni cognitive ed apprendimento in entrambi i sessi (v. Douglas Bremner, Does Stress Damage the Brain? Norton, New York 2002, per le rassegne sulle lesioni da stress si veda anche Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD). Un contributo clinico. Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005).

Le differenze sessuali nella risposta cerebrale allo stress e, conseguentemente, nelle lesioni (sono colpite le aree più attive) sono più marcate nei ratti che nei primati, ovvero la differenza è più netta ed evidente in un encefalo filogeneticamente meno evoluto. Nei ratti, infatti, si osserva con una certa costanza una migliore risposta allo stress sperimentale acuto nei maschi, viceversa le femmine rispondono meglio agli stimoli stressanti ripetuti che simulano lo stress cronico. Da un punto di vista istopatologico l’ippocampo dei maschi presenta minori lesioni per lo stress acuto, quello delle femmine minori danni per lo stress cronico.

Questa differenza non è trasferibile alla realtà umana, in cui la complessità neoencefalica gioca un ruolo importante nell’elaborazione individuale, relazionale e sociale dello stress. Volendo ugualmente tentare un accostamento in base al sesso, si rileva un dato in netto contrasto: la depressione da stress cronico, conseguente a danno ippocampale, ha una incidenza maggiore nella donna (Bremner e coll., Hippocampal volume reduction in major depression. American Journal of Psychiatry 157, 115-117, 2000).

Una dicotomia legata al sesso che sembra trovare corrispondenza fra realtà animale ed umana riguarda la neurobiologia molecolare dei sistemi di segnalazione. Un esempio è dato da una ricerca condotta di recente da Michelle Jones e Irwin Lucki, che ha mostrato differenze sessuali nella regolazione della trasmissione serotoninergica nell’animale, coerenti con i dati di osservazione clinica ed epidemiologica. Come la femmina del topo, la donna presenta una regolazione della serotonina ad un livello più alto, accanto ad una maggiore vulnerabilità allo svuotamento dei depositi neuronici di questo neurotrasmettitore (Note e Notizie 28-05-05, Differenze fra sessi per serotonina e depressione).

 

BREVE DISCUSSIONE. Fra i sei punti dell’efficace schematizzazione di Richmond e Poggi (Note e Notizie 01-10-05, Sesso e differenze cerebrali) ci piace sottolineare l’importanza del punto “5” -in cui si dice che non tutti i cervelli sono organizzati allo stesso modo- perché sembra che troppo spesso se ne dimentichino coloro che studiano le differenze cerebrali legate al sesso nel cervello umano. Per avere un’idea di queste variazioni si possono consultare gli scritti dei ricercatori impegnati in quell’ardua ma utilissima impresa internazionale che si chiama “Brain Mapping”.

Chiunque abbia esaminato cervelli in corso di autopsia, ha avuto modo di rendersi conto di quanto sia difficile riportare le schematizzazioni dell’andamento delle circonvoluzioni cerebrali a quanto si osserva dal vero. Le pliche di complicazione, ad esempio, sono sovente di dimensioni maggiori dei giri che canonicamente dovrebbero prevalere, alterando i punti di riferimento che permettono di orientarsi per trovare la corrispondenza con le aree di mappe anatomiche di riferimento come quella di Brodmann. Può accadere che, invece di un tipico giro angolare come quello che si vede sulle tavole dei trattati di anatomia, se ne trovino tre: nessuno esattamente nel luogo atteso e con la forma prevista. In una simile evenienza, non solo si ha difficoltà nell’attribuire il ruolo fisiologico che si ritiene abbia il giro angolare ad uno dei tre sostituti, ma si perde la ripartizione tradizionale delle funzioni. In altre parole, secondo gli schemi, i tre sostituti sarebbero giri anomali appartenenti rispettivamente alla funzione uditiva (in continuità con l’area 41 temporale), a quella stereognosica parietale e a quella visiva occipitale.

Si comprende che se un cervello così configurato  -e non si tratta di rare eccezioni- venga studiato in vivo con i metodi di neuroimaging funzionale e con la superficiale attribuzione topografica di funzioni che caratterizza molti neurologi, si rischia di giungere a conclusioni lontane dalla realtà. Si può obiettare, però, che le grandi ripartizioni sono conservate, ad esempio: comprensione della parola udita nelle aree posteriori ed esecuzione verbale nelle aree anteriori. Lo stesso si può dire per le aree visive primarie e secondarie sempre localizzate nella corteccia dell’area calcarina occipitale (aree 17, 18 e 19 di Brodmann), per le rappresentazioni somatotopiche sensitive e motorie, rispettivamente post-rolandica e pre-rolandica.

E’ vero, ma queste distinzioni sono sempre conservate in entrambi i sessi: pertanto, se gli unici rapporti struttura-funzione costanti e quindi affidabili per le inferenze interpretative riguardano tutti i cervelli, su quale base si interpretano le differenze legate al sesso?

Di passaggio vogliamo ricordare che le mappe topografiche del manto corticale o pallium, come lo chiamavano gli anatomisti della grande tradizione, si basavano su un criterio citoarchitettonico, cioè su una caratteristica morfologica che si sperava corrispondesse ad una funzione specifica e delimitabile. Come è noto, la speranza degli antichi morfologi fu delusa e la realtà del cervello propose quella sfida che ancora oggi costantemente ritorna: comprendere i principi costruttivi di questo inestricabile intreccio di forme e funzioni che creano un sistema di sistemi.

Come si può, oggi che sono state individuate per la funzione visiva 33 aree distribuite nella corteccia cerebrale, i cui neuroni sono largamente sovrapposti con quelli che si presume svolgano altre funzioni, desumere una differenza fisiologica sulla base di un modello di fisiologia lobare, utile in neurologia clinica, ma superato da decenni?

Questo problema sarà affrontato da un’altra angolazione in una prossima nota ed è strettamente correlato con gli interrogativi sollevati da quella che si è chiamata la “nuova frenologia” (Note e Notizie 27-05-05, Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?).

Se la semplice osservazione della superficie encefalica ci suggerisce queste considerazioni, un esame della struttura interna del cervello, anche a piccolo ingrandimento, aggrava notevolmente le difficoltà interpretative basate su relazioni morfologia-funzione. A chi non abbia la possibilità di osservare preparati fissati ed inclusi in paraffina di sezioni cerebrali, si consiglia lo studio delle immagini fotografiche dei preparati di quell’opera straordinaria che è l’Atlas of Human Brain di Mai, Assheuer e Paxinos (2nd Edition, Elsevier, Academic Press 2004).

Faremo un solo esempio fra i tanti che la morfologia suggerisce. Nelle sezioni ingrandite è possibile notare una grande quantità di elementi strutturali (i ponti fra nucleo caudato e lenticolare, i nuclei posti fra l’amigdala e le strutture vicine, ecc.) costituiti da centinaia di migliaia di neuroni e milioni di sinapsi: soltanto perché non hanno un nome e sono del tutto ignorati nei corsi di formazione accademici, non se ne tiene conto nelle grossolane attribuzioni di significato funzionale che caratterizzano molti studi basati su tecniche di neuroimaging.

Un’altra comune fonte di errori interpretativi è rappresentata dal determinismo ingenuo che porta a considerare un’apparente differenza morfologica o funzionale del cervello come la base di una differenza psichica che automaticamente si traduca in caratteristiche psicologiche e si esprima nel comportamento. Questa iper-semplificazione non tiene conto dei numerosi livelli intermedi, della loro plasticità e continua evoluzione dovuta all’apprendimento, non tiene conto di quel particolare fenomeno dell’intenzionalità cosciente cui diamo il nome di volontà, e, in definitiva, non tiene conto della psicologia, individuale e collettiva, nel suo rapporto di reciproca influenza e determinazione con la cultura.

Tutto ciò di cui si è fin qui discusso, può rientrare nel primo dei due punti problematici menzionati nell’introduzione, per quanto riguarda il secondo, ovvero la propensione cosciente o inconscia per tesi “sessiste”, ci limitiamo solo a riferire, a titolo di curiosità, di un’indagine svolta da un giornalista scientifico americano. Costui ha registrato, all’insaputa di ricercatori e ricercatrici impegnati nello studio di differenze legate al sesso, frammenti di conversazioni in cui costoro dichiaravano apertamente delle posizioni “sessiste” e, talvolta, ammettevano di aver intrapreso le ricerche che stavano conducendo per dimostrare una tesi preconcetta, presentata come “ragionevole evidenza”. Sebbene molti degli studi condotti dai ricercatori  “spiati” fossero in doppio cieco e con perfetto rispetto delle regole formali del protocollo, abbastanza curiosamente i risultati dei lavori coincidevano con le idee preconcette (e fra loro contrapposte) di ciascun ricercatore.

E’ banale, ma forse non è superfluo, notare che riconoscere una differenza non implica di necessità indicare una prevalenza e che la superiorità biologica si misura in termini di sopravvivenza, e una specie che abbia un sesso di molto superiore all’altro è destinata all’estinzione.

In conclusione vogliamo notare che rilevanti differenze neurobiologiche esistono ed hanno importanza in quanto tali, soprattutto per la sperimentazione dei farmaci e per la terapia, indipendentemente da speculazioni circa il loro significato.

 

SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI. Per uno studio aggiornato delle basi biologiche delle differenze cerebrali legate al sesso e dei principali temi della ricerca in questo campo, si consiglia il numero monografico di Nature Neuroscience presentato da Brian Fiske ed articolato in due reviews scientifiche e un commentario sui problemi etici (The Sexual Brain, Nature Neuroscience, Volume 7, Number 10, October 2004). L’aggiornamento è al luglio 2004, con molti riferimenti bibliografici a lavori pubblicati nello stesso anno. Il testo, di livello specialistico, si rivolge ai ricercatori. La monografia, presentata da BM&L, è inclusa nel materiale scientifico per i soci del presente anno associativo 2005.

Per avere una visione complessiva delle ricerche sulle differenze sessuali encefaliche e psichiche, idealmente completando il nostro excursus, è utile lettura il recente Brain Gender di Melissa Hines, Oxford University Press, 2004.

Per un quadro riassuntivo dei principali studi degli ultimi quindici anni si consigliano, oltre al già citato articolo di Doreen Kimura (disponibile anche in versione italiana nel numero monografico de “Le Scienze”, Mente e Cervello 291, novembre 1992) i seguenti saggi:

Deborah Blum, Sex on the Brain. Viking Press, 1997;

Theresa M. Wizemann & Mary Lou-Pardue, Exploring The Biological Contributions to Human Health: Does Sex Matter? National Academy Press, 2001;

David Geary, Male, Female: The Evolution of Human Sex Differences. American Psychological Association, 1998.

Per un giudizio sulla validità scientifica delle tesi e dei risultati delle ricerche proposti in questi saggi, si raccomanda la lettura della già citata nota di Diane Richmond e Ludovica R. Poggi: Sesso e differenze cerebrali, in Note e Notizie 01-10-05.

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Ottobre 2005

www.brainmindlife.org

 

 

 

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