SPECIFICITA’ SESSUALE NELLA SENESCENZA CEREBRALE

 

 

I neurogeriatri conoscono da tempo quel complesso di modificazioni morfo-funzionali del cervello che si verifica dopo l’età matura e prende il nome di invecchiamento cerebrale, ma se dovessero indicare con precisione il ruolo di ciascun processo nel declino cognitivo avrebbero difficoltà. La ricerca, infatti, pur avendo fornito una notevole mole di dati in ambito anatomico, istologico, citologico, neurochimico, biomolecolare, genetico, neuroimmunologico, neuroendocrinologico, oltre che morfo-funzionale mediante neuroimaging, non ha ancora indicato precisi criteri e priorità per riconoscere, fra gli eventi che contraddistinguono la senescenza, gli indicatori certi dell’involuzione cognitiva. Basti pensare alla modificazione morfologica più evidente, ossia l’atrofia corticale, e a quella più studiata, ossia l’atrofia dell’ippocampo.

La riduzione del volume della corteccia, con il caratteristico approfondimento di solchi e scissure, un tempo attribuita quasi esclusivamente alla riduzione del numero dei neuroni –peraltro non correttamente stimata fino ad epoca molto recente- è influenzata dal ridotto volume cellulare, dalla riduzione dei prolungamenti e dall’atrofia gliale. Se in pazienti dementi è quasi costante il reperto di atrofia marcata, il cervello di anziani dall’intelligenza straordinariamente preservata è talvolta apparso quasi altrettanto atrofico. Per la presenza di placche amiloidi senili si può dire lo stesso: numero e dimensioni non sono in rapporto diretto con parametri cognitivi.

L’ippocampo ha una funzione fondamentale nell’apprendimento e nella memoria di funzionamento che apprezziamo nel breve termine (working memory), ed è in connessione con una serie di strutture complessivamente denominate lobo limbico, fondamentali nella risposta allo stress. L’ippocampo ha struttura trilaminare (allocorteccia) ed è circondato dalla corteccia esalaminare neoencefalica del giro paraippocampico, con caratteristiche istologiche e citologiche simili in tutte le specie di mammiferi studiati. Fino a quando non si è scoperta la neurogenesi nel cervello adulto, si sono imputati i difetti nelle prestazioni di memoria dell’età avanzata, alla sola riduzione del numero di neuroni nell’ippocampo, che nell’uomo si verificherebbe a partire dai quarant’anni e sarebbe responsabile di quello che Michael Gazzaniga chiama “inevitabile declino”. Scoperta la neurogenesi nel cervello adulto, l’attenzione si è incentrata sull’entità del turnover e sul bilancio fra perdita e nascita di nuovi neuroni.

La questione fondamentale è che, tutto ciò che osserviamo, è frutto di adattamenti dinamici dei sottosistemi,  che rendono i reperti da noi osservati relativi gli uni agli altri e, in ultima analisi, per dirla con le parole di Giuseppe Perrella, “alla capacità del cervello di riprogrammare se stesso in rapporto alle mutate condizioni dell’organismo e dell’ambiente”.

L’invecchiamento cerebrale, perciò, non va studiato come una patologia in cui un singolo fattore eziologico causa una complessa patogenesi, ma come un’evoluzione corale con molteplici adattamenti a tutti i livelli, da quello molecolare a quello dei sistemi (Giuseppe Perrella, Invecchiamento cerebrale e malattie neurodegenerative. BM&L, Firenze 2008).

Ho voluto fare questa premessa di carattere generale, tratta da una relazione del nostro presidente, perché ritengo che il lavoro di Berchtold e colleghi, che presento questa settimana ai visitatori del sito, vada inquadrato nel panorama più generale degli studi sull’invecchiamento cerebrale (Berchtold N. C., et al. Gene expression changes in the course of normal brain aging are sexually dimorphic. Proc. Natl Acad. Sci. USA 105, 15605-15610, 2008).

I ricercatori dell’Institute for Brain Aging and Dementia dell’Università della California a Irvine, hanno studiato i profili di espressione genica nell’ippocampo, nella corteccia entorinale, nel giro frontale superiore e nel giro post-centrale di 55 soggetti volontari dalle prestazioni cognitive nella norma e di età compresa fra i 20 e i 99 anni.

La sperimentazione ha dimostrato che la senescenza è associata a cambiamenti nell’espressione genica, specifici per ciascun sesso e per alcune regioni cerebrali.

Il cervello maschile ha mostrato una prevalente downregulation di geni legati alla produzione di energia ed alla sintesi delle proteine. Nel cervello femminile, invece, i geni prevalentemente soggetti a downregulation erano quelli implicati nella morfogenesi neuronica e nella traduzione del segnale.

Questo dimorfismo sessuale genetico -come lo chiamano gli autori americani- non riguardava le modificazioni dell’espressione di altri geni indagati; infatti, l’upregulation dei geni dell’infiammazione e della risposta immunitaria era presente in entrambi i sessi.

I risultati di questo studio evidenziano nuovi aspetti dei processi che intervengono nell’involuzione del sistema nervoso centrale e possono dare un contributo alla ricerca sulla neurodegenerazione e sui meccanismi compensatori che caratterizzano l’invecchiamento.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Floriani per aver prodotto questa sintesi di un testo originariamente più lungo.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Novembre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]