BM&L-ITALIA: sonno e memoria

AGGIORNAMENTO

 

ROMA, 5 aprile 2007

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

Il Sonno e la memoria 

 

 

Il numero delle pubblicazioni scientifiche sui rapporti fra sonno e memoria negli ultimi venti anni è cresciuto ad un ritmo vertiginoso, raddoppiando dopo ciascuna decade, con un tasso di crescita che ha superato quello dei due rispettivi campi di indagine presi singolarmente. L’incremento pressoché esponenziale dei progetti di ricerca avviati in tutto il mondo si spiega, almeno in parte, con la grande messe di risultati concordanti ottenuti negli anni recenti che, in un ambito caratterizzato da decenni di empasse dovuti ad esiti apparentemente inconciliabili, ha creato possibilità e sinergie nuove su una comune base logica e metodologica.

Senza dubbio una parte dei successi della ricerca più recente sull’uomo è da attribuirsi all’introduzione di strumentazioni computerizzate e protocolli procedurali che consentono di integrare i risultati dello studio per immagini (attualmente più spesso fMRI che PET) con rilievi dell’attività elettrica (MEG, EEG, ERP) ad un grado di selettività, risoluzione e precisione, impensabile solo qualche decennio fa. Allo stesso modo, si può dire che una parte degli insuccessi del passato sia da ascrivere alla mancanza di strumenti adeguati per indagare la fisiologia cerebrale in vivo. Tuttavia, non si può nascondere che la ricerca neurofisiologica, neuropsicologica e cognitiva, sia stata gravata per anni da grossolani errori di metodo e di interpretazione, la cui analisi esulerebbe dai limiti che ci siamo imposti in questo aggiornamento, ma dei quali vale la pena fare breve menzione per rendere il giusto merito alla maturità culturale attualmente raggiunta in questo campo.

Voglio fare un solo esempio, per ciò che riguarda l’interpretazione dei risultati, riferendomi ad un modello di esperimento impiegato di frequente.

In molti studi si ponevano delle scimmie davanti allo schermo di un computer per lo svolgimento di prove cognitive, mentre si effettuavano su di loro vari rilievi. I risultati venivano paragonati a quelli ottenuti da studenti o altri volontari umani, in prove considerate equivalenti per la nostra specie. Di fatto, come è stato osservato da studiosi dello stress, le due condizioni erano spesso incomparabili perché nei volontari umani, consapevoli e coscienti dei fini e del contesto, l’esecuzione di una prova semplicissima al computer, per la quale non sarebbero stati giudicati ma sarebbe stato valutato il loro sistema nervoso, comportava un pattern di attivazione psichica simile a quello delle ordinarie attività quotidiane. Nelle scimmie, spesso, l’esperienza aveva un rilevante contenuto emotivo e, pertanto, si accompagnava a stati di attivazione centrali e viscerali dei sistemi dello stress: lo studio delle prestazioni percettivo-cognitive o degli effetti del sonno sull’apprendimento, non teneva conto dello stato di allarme, della disruption prodotta dal sistema limbico sulla corteccia, della progressiva estinzione dell’ansia con il procedere degli esperimenti e di tutti gli altri parametri che avrebbero potuto incidere sulla prestazione.

Un altro problema che ha condizionato a lungo gli esiti e lo sviluppo degli studi, è stata la netta separazione fra la ricerca neurobiologica e quella psicologica.

Si pensi alla resistenza da parte di molti ricercatori di formazione biologica ad accettare la ripartizione in vari tipi di memoria operata dai neuropsicologi: il rifiuto di quelle classificazioni come costruzioni artificiose e prive di fondamento scientifico, li portava ad escludere dal vaglio sperimentale l’ipotesi di una diversa base neurofunzionale per prestazioni diverse. Una tale posizione, di fatto, finiva col negare l’esistenza di vari livelli di elaborazione, ignorando la natura stessa dell’organizzazione cerebrale accertata dalla neurofisiologia classica. All’opposto molti neuropsicologi, trascurando il quadro emergente dalla ricerca biologica, ipotizzavano l’esistenza di “esecutori centrali” o di “sistemi operativi” difficilmente collocabili nel cervello così come lo si stava conoscendo.

Per il superamento di questa empasse va dato grande merito a Patricia Goldman Rakic[1], la cui metodologia di studio della working memory ha creato un ponte fra la ricerca di base e la neuropsicologia, indicando a tanti ricercatori la via da percorrere e a tante scuole neuroscientifiche l’impostazione da seguire.

L’introduzione di nuove metodiche di studio in vivo e il superamento di errori metodologici e steccati disciplinari, non sono, tuttavia, le sole ragioni del grande sviluppo degli studi in questo campo e, fra i motivi di maggior rilievo, vi sono senza dubbio i progressi della genetica e la realizzazione di nuovi modelli di simulazione delle funzioni cerebrali. Entrambi ci riportano al lavoro del nostro amico Giulio Tononi, allievo e collaboratore di Gerald Edelman, che ha realizzato uno straordinario modello artificiale delle connessioni talamo-corticali per lo studio di vari processi connessi ai ritmi sonno-veglia, ed ha individuato geni importanti per la fisiologia del sonno.

 

Le relazioni, i cui testi con l’indicazione in dettaglio dei nomi degli autori, dei gruppi di appartenenza e della bibliografia completa, sono a disposizione dei soci-membri, ed oggi saranno presentate nell’ordine qui riportato.

 

Fasi del sonno e tipi di memoria.

 

Plasticità cerebrale nel sonno e nella memoria.

 

Sonno ed apprendimento procedurale.

 

Sonno notturno, sonno diurno e memoria.

 

Effetti di brevi periodi di sonno diurno su memoria e apprendimento.

 

Sonno e memoria dichiarativa.

 

Effetti anterogradi della deprivazione di sonno sui nuovi apprendimenti.

 

Sono certo che i lavori sperimentali originali e le reviews alle quali hanno attinto gli autori delle relazioni che ascolteremo a breve, consentiranno di dare risposta a molte delle nostre domande e ci proporranno gli interrogativi senza risposta dei ricercatori delle singole sotto-aree di ricerca, tuttavia voglio concludere questa sintetica introduzione proponendo anch’io due interrogativi; si tratta di domande che da qualche tempo appaiono in filigrana nella ricerca, e lo scorso anno Mattew P. Walker ha messo nero su bianco (Mattew P. Walker, Sleep to Remember. American Scientist 94, 326-333, 2006).

 

1) L’influenza del sonno sulla memoria si traduce in modificazioni sinaptiche, cellulari e dei circuiti neuronici. A questi tre livelli corrispondono grosso modo tre grandi approcci metodologici: a) chimica del cervello, b) attivazione cerebrale regionale, c) oscillazioni elettriche.

A quale di questi tre livelli si può situare il trigger che innesca i cambiamenti?

Anche se questo schematismo proposto da Walker può apparire eccessivamente riduttivo e un po’ improprio (la categoria “a” va dalla biofisica dei canali ionici alla neurogenetica), si comprende la corrispondenza con metodi di studio e profili di competenze, che si potrebbe rendere così: a) ricerca neurobiologica di base, b) studio nell’uomo in vivo mediante neuroimaging funzionale; c) studio elettrofisiologico. Allora è evidente che la risposta a questa domanda definirà anche le priorità fra ricercatori in questo ambito di studio.

 

2) Lo studio dei rapporti fra sonno e memoria si ferma in genere al consolidamento, ma presto sarà possibile studiare con buona approssimazione i processi di post-consolidamento.

Questa prospettiva, di rilevanza epocale, propone il cimento biologico delle teorie psicologiche della memoria.

Cosa apprenderemo su integrazione, organizzazione in strutture complesse e cancellazione delle memorie?

 

Prima di dare inizio alla presentazione delle relazioni, voglio ringraziare tutti i partecipanti, soprattutto coloro che, non essendo membri della nostra Società, hanno voluto generosamente fornire materiali scientifici, bibliografie, resoconti di ricerche non ancora pubblicate e materiale audiovisivo originale; voglio, inoltre, ringraziare in anticipo coloro che registrano e trascriveranno il question time e le discussioni che seguiranno le presentazioni.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Aprile 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 



[1] Patricia Goldman-Rakic ha dato uno straordinario contributo alla conoscenza della fisiologia e dell’organizzazione strutturale dei sistemi neoecefalici che fanno capo al lobo frontale. I suoi studi hanno consentito di individuare la base neurobiologica di processi essenziali per la memoria e l’apprendimento umano. Al culmine della notorietà presso la comunità scientifica e con molte ricerche in corso, fu investita da un’auto attraversando la strada ad Hamden, nel Connecticut, e morì il 31 luglio 2003. Patricia Goldman-Rakic, esempio di rigore, tenacia e comprensione umana, ha trasmesso ad allievi e collaboratori, che proseguono la sua opera nel solco da lei tracciato, una visione integrata dei processi psichici, ispirata al costante sforzo di collocazione di ogni risultato sperimentale nel più vasto quadro delle conoscenze neurobiologiche di base e di neurofisiologia cerebrale.