LA RICERCA DELLO SPIRITO NEL CERVELLO

 

(NONA PARTE)

 

Lo studio delle basi biologiche della cognizione e delle emozioni nell’uomo ha presentato ostacoli insormontabili fino a quando non si è scelta la scomposizione in elementi riconducibili alla percezione, all’attenzione e alla memoria; allo stesso modo, secondo Davidson, per studiare efficacemente la neurofisiologia della spiritualità, bisognerebbe decodificarla in termini di cambiamenti nell’attività dei tre sottosistemi, percettivo, attentivo e mnemonico: “La nostra unica speranza è specificare ciò che accade in ciascuno di quei sottosistemi”[1].

I lavori di più recente pubblicazione attinenti alla “ricerca dello spirito nel cervello” possono essere schematicamente raggruppati in due categorie: quelli con obiettivi riconducibili alla ricerca delle basi neurobiologiche delle manifestazioni delle fedi e delle religioni, e quelli tesi ad isolare correlati funzionali di esperienze positive, per estrapolarli dal contesto religioso ed impiegarli a scopo terapeutico. La ricerca attualmente condotta dal gruppo di Davidson si può ricondurre al secondo dei due indirizzi, che ha già ottenuto risultati di rilievo, dimostrando l’efficacia della meditazione nel determinare due effetti:

1)      aumento delle abilità cognitive dipendenti dall’attenzione,

2)      rallentamento dell’invecchiamento.

 

1)      Aumento delle abilità cognitive dipendenti dall’attenzione.

Sono stati sottoposti ad una prova di capacità attentiva, dal team di Davidson, 17 volontari che avevano compiuto tre mesi di training intensivo in meditazione e 23 principianti dell’esercizio meditativo. Il test consisteva nel distinguere, in sequenza, due numeri inclusi in una serie di lettere.

I principianti ebbero prestazioni nella media, ossia, come la maggior parte delle persone sottoposte a questa prova, non riconobbero il secondo numero perché ancora concentrati sul primo (attentional blink); i meditatori esercitati, al contrario, rilevarono entrambi i numeri.

Il risultato di questo esperimento si può attribuire ad un miglioramento della concentrazione per effetto dell’intensa pratica meditativa. Il lavoro del gruppo di Davidson, pubblicato nel giugno 2007, può ritenersi emblematico nell’ambito degli studi che hanno riscontrato un miglioramento delle prestazioni cognitive, conseguente ad una più efficace capacità di concentrazione dovuta all’esercizio meditativo.

 

2)      Rallentamento dell’invecchiamento.

La meditazione sembra in grado di ritardare lo sviluppo di alcuni segni di invecchiamento cerebrale, come è stato rilevato da Sara Lazar e colleghi della Harvard University: già in un articolo pubblicato su Neuro Report nel 2005,  il confronto fra 20 meditatori esperti e 15 soggetti di controllo, aveva fatto registrare nei primi un maggiore spessore in varie aree della corteccia cerebrale.

In particolare, la corteccia prefrontale e la parte anteriore dell’insula di destra, erano da 4 a 8 millesimi di pollice più spesse nei meditatori che nei controlli. E’ interessante che i soggetti più anziani presentavano i maggiori incrementi di spessore: il contrario di quanto accade ordinariamente per effetto dell’invecchiamento.

 

I primi esiti di questa sperimentazione hanno già indotto alcuni ricercatori a valutare l’applicazione a scopo terapeutico degli effetti benefici del meditare. Newberg, ad esempio, ha avviato un’indagine sui pazienti oncologici e sulle persone che per varie cause sono andate incontro a perdita precoce della memoria[2]. Negli ammalati di cancro si vuol verificare se la meditazione può alleviare lo stress e le sue conseguenze sui sintomi e sul decorso della malattia, e se può ridurre la tristezza e l’ideazione depressiva derivanti dallo stato fisico e dalla consapevolezza della gravità. Nei pazienti amnesici si vuol provare ad ottenere, mediante l’esercizio meditativo, un miglioramento di processi cognitivi elementari a supporto della neurofisiologia della memoria.  

 

[continua]

 

La decima parte de “La ricerca dello spirito nel cervello” sarà pubblicata la prossima settimana. Con l’ultima delle note su questo argomento, saranno forniti i riferimenti bibliografici delle fonti citate. Le autrici ringraziano il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, perché il presente testo è tratto dalla sua discussione settimanale al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Monica Lanfredini & Nicole Cardon

BM&L-Gennaio 2008

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] “Our only hope is to specify what is going on in each of those subsystems” in David Biello, Searching for God in the Brain., p. 44, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.

 

[2] David Biello, Searching for God in the Brain., p. 45, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007