OSSITOCINA E FIDUCIA: DIBATTITO

 

 

Il rilascio di ossitocina in condizioni quali il parto, l’allattamento, la suzione, il bacio, le carezze intime e l’orgasmo, ha indotto a ricostruirne una funzione che favorisce la vita sociale, ammettendo che tutte queste situazioni, che sono tipiche del rapporto diadico, in chiave evolutiva costituiscano la porta biologica per l’interazione con gli altri membri della specie. La mediazione ossitocinica di alcune attività neuroniche in aree cerebrali associate a funzioni di interazione, ha rafforzato questa interpretazione. Dati emersi da studi sui roditori hanno indotto degli economisti ad ipotizzare che il rilascio di ossitocina aumenti l’atteggiamento fiducioso nei confronti degli estranei e li ha indotti a verificare questa funzione nell’uomo introducendo un nuovo paradigma sperimentale detto “trust game” (si veda Note e Notizie 05-07-08 L’ossitocina cerebrale e i nuovi studi).

L’idea che il piccolo peptide neuroipofisario possa infondere fiducia nel prossimo, ha ottenuto sostegno da uno studio pubblicato di recente su Nature, nel quale si dimostra che uno spray nasale di ossitocina induce nei volontari un atteggiamento fiducioso verso uno sconosciuto che si occupa del loro danaro, anche dopo che la fiducia è stata tradita più volte. Si è rilevato che il peptide riduceva l’attività nell’amigdala, che media risposte ad ansia, stress e paura, e nel nucleo caudato, implicato nel prendere decisioni[1] (Leonie Welberg, Trust in Oxytocin. Nature Reviews Neuroscience 9 (7), 500, 2008).

Il ricercatore che ha avuto un ruolo di conduzione del gruppo di ricerca in questo studio, ossia Thomas Baumgartner dell’Università di Zurigo ha dichiarato alla televisione nazionale britannica: “Ora noi sappiamo ciò che esattamente accade nel cervello quando l’ossitocina aumenta la nostra fiducia […], sembra che diminuisca le nostre paure.” (BBC News).

Nicole Cardon, neurobiologa e presidente della sezione “BRAIN” di BM&L-Italia, ha commentato: “una tale dichiarazione sarebbe stata appropriata qualora si fosse identificato il meccanismo messo in atto dal nonapeptide ipofisario. La riduzione di attività nell’amigdala si è avuta per molti altri stimoli e in molte altre condizioni sperimentali e sta probabilmente ad indicare uno stato funzionale con minore probabilità di risposte d’ansia e paura; ma ciò non equivale a dire che è stata provata l’induzione di fiducia. Se si considera la riduzione dell’attività del caudato quale segno di un minore utilizzo di memorie non-dichiarative per i processi di decision making, si potrebbe azzardare l’ipotesi di un lieve deficit funzionale che simula il comportamento di chi ha fiducia, ossia di chi attivamente sceglie di fare affidamento su qualcuno, sulla base di una conoscenza cognitiva e/o affettiva”.

Mauricio Delgado della Rutgers University di Newark (New Jersey) sostiene che, poiché gli esseri umani sono restii a correre rischi sociali “un pochino di ossitocina potrebbe facilitare le relazioni con gli altri”(ScienceNOW).

Paul Zak, fondatore e direttore del Center for Neuroeconomics Studies at Claremont Graduate University in California, e fra i pionieri degli studi in questo campo, è più prudente ed osserva che il modo in cui la gente in situazioni di vita reale sviluppa e ripone fiducia negli altri è, comunque, una questione diversa: “Certamente non lo fanno spruzzandosi reciprocamente qualcosa nel naso” (ScienceNews).

Delgado è fra quelli che ritengono che questi risultati possano avere implicazioni per la comprensione di malattie mentali in cui si rilevano difetti nel comportamento sociale; ha infatti osservato: “[…] potrebbero fornire un ponte per potenziali applicazioni cliniche.” (BBC News). Non pochi ritengono che uno spray all’ossitocina potrebbe aiutare le persone con fobia sociale o autismo, anche perché questa tesi è stata avanzata dagli autori del lavoro originale e dallo stesso Baumgartner riproposta alla BBC: “Le persone autistiche hanno paura nelle situazioni sociali ed hanno problemi di interazione, così è molto probabile che l’ossitocina possa aiutarle […]. Questo ormone sembra giocare un ruolo molto specifico in situazioni sociali, così potrebbe essere in grado di migliorare l’autismo.” (BBC News).

In conclusione, qualche considerazione da parte di chi scrive.

Sembra essere nuovamente alle prese con i gravi errori concettuali e di livello funzionale che si commettevano negli anni Sessanta e Settanta del secolo appena trascorso, quando invece di attribuire una funzione all’attività di sistemi che impiegano molecole di segnalazione per attivare o disattivare dei sotto-processi, la si attribuiva ad una di tali molecole che, di volta in volta, diventava la molecola del piacere, quella del suicidio, quella sonno, quella della paura, quella dell’aggressività, e così via … Sembrava che questa idiozia, occultamente alimentata dalle case farmaceutiche allo scopo di coltivare la mentalità adatta a creare consumatori di pillole-funzione, fosse definitivamente consegnata al passato ma, nonostante i progressi nell’alfabetizzazione scientifica media, con l’ossitocina ci tocca ascoltare scempiaggini simili a quelle udite trenta-quarant’anni or sono per l’adrenalina, l’acido glutammico, la serotonina, e così via.

Per ciò che riguarda l’impiego terapeutico nell’autismo, considerate le alterazioni morfo-funzionali dello sviluppo documentate in molti casi, è lecito nutrire dubbi sulla reale efficacia. Per il trattamento delle fobie sociali, si può osservare che molte persone affette da forme lievi di questo disturbo, e che non sono in trattamento con benzodiazepine, fanno ricorso all’assunzione di piccole quantità di bevande alcoliche che, in genere, consentono di affrontare le situazioni temute. E, nelle forme più gravi, si crede davvero che basti impiegare una spruzzata di ossitocina? E, al dosaggio efficace, quali sarebbero gli effetti collaterali?  

 

Giovanni Rossi

BM&L-Luglio 2008

www.brainmindlife.org

 

 

 



[1] Anche sulla base di questi soli elementi si potrebbe proporre come interpretazione alternativa che, per motivi da accertare, il peptide determina una sorte di riduzione dell’allerta e del controllo; pertanto non aumenterebbe la fiducia ma semplicemente non indurrebbe a valutare e decidere sulla base delle componenti istintive (amigdala) e dell’apprendimento cognitivo (nucleo caudato).