L' A C C U L A T A   D E L   P O R C E L L I N O
Frodi   Inganni   ed   Errori

La Loggia del Mercato Nuovo di Firenze, detta del Porcellino dal cinghiale in bronzo che l'adorna, nel Rinascimento era sede di esecuzione di una pena davvero singolare: l'acculata. Il magistrato del Bargello infliggeva la curiosa pena ai frodatori, ai falsari, ai bancarottieri e ai debitori insolventi. I condannati venivano esposti al pubblico ludibrio, facendo loro battere il sedere denudato su una pietra al centro del mercato nelle ore di maggiore affluenza dei Fiorentini, che accorrevano divertiti a ver-gogna.
In questa rubrica si denunciano le frodi scientifiche, mettendo idealmente alla berlina i protagonisti come nella Firenze del Cinquecento.
Pare che il Bargello definisse il numero di colpi di sedere in proporzione alla gravità della colpa: sta a voi decidere quante acculate merita ciascuno.

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In "Storia e storie" si possono leggere altre notizie su questa curiosa pena.

 




La truffa del geriatra Poehlman

Un'indagine condotta dall'Office of Research Integrity dei National Institutes of Health (NIH) ha smascherato Eric Poehlman, ricercatore dell'Università del Vermont impegnato in ricerche sull'invecchiamento.
Poehlman ha dichiarato dati falsi in ben quindici documenti di richiesta di finanziamento ed ha alterato o inventato i risultati di numerose ricerche pubblicate su una decina di prestigiose riviste internazionali. La sua fama di gerontologo appare come una costruzione interamente truffaldina. La frode va avanti da molto tempo, certamente dal 1995, quando la rivista Annals of Internal Medicine pubblicò uno studio, condotto su 35 donne e da lui firmato, sui rischi cardiovascolari in menopausa: Walter De Nino, suo collaboratore, ha dichiarato alla commissione d'indagine che i dati di quella pubblicazione erano falsi.
Eric Poehlman, messo alle strette da un ponderoso dossier sviluppato in anni di inchieste, si è dichiarato colpevole ed ha chiesto scusa ai colleghi, cercando, però, di limitare i danni con altre bugie. Infatti, ha ammesso di aver dichiarato il falso in una richiesta di finanziamenti per un bando federale del 1999, ottenendo 542.000 dollari, ma ha cercato di negare le altre truffe contestategli dagli inquirenti. Nel tentativo, poi, di riparare ai danni derivanti alle riviste scientifiche dalla pubblicazione di dati fasulli, ha proposto loro la pubblicazione di “ritrattazioni” e “correzioni”.
I suoi goffi tentativi non gli sono valsi a molto, dal momento che l'Office of Research Integrity lo ha sospeso a vita da attività di ricerca istituzionali e lo ha accusato di truffa continuata ai danni dello Stato federale, ottenendone il rinvio a giudizio da parte della Magistratura ordinaria. Ora dovrà affrontare un processo il cui esito, secondo il codice americano di Criminal Law, prevede il rischio di una condanna fino a cinque anni di carcere e 250.000 dollari di multa.
La punizione dell'acculata, presso la Loggia del Mercato Nuovo di Firenze, ci appare quanto mai appropriata in questo caso. Infatti, il primo istituto al mondo di Gerontologia e Geriatria è stato creato a Firenze, dove il rispetto per gli anziani ha tradizioni antichissime e consolidate nel tempo.

Filippo Rucellai - BM&L

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Frode nel Maggiore DNA-lab del Mondo

Sarah Blair, un'analista della più grande azienda del mondo per l'esame del DNA a scopo forense, la Orchid Cellmark, falsificava i dati.
L'Associated Press ne ha dato notizia per la prima volta lo scorso 18 novembre 2004, ma il caso sta facendo il giro del mondo destando preoccupazione e sgomento, perché i laboratori della Cellmark, presenti in Europa (Gran Bretagna) e in vari Stati degli USA, fra cui Maryland (Germantown), Tennessee e Texas, erano ritenuti i più autorevoli ed affidabili in assoluto.

Secondo fonti della stessa Cellmark, Sarah Blair avrebbe falsificato 20 esami eseguiti per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles e per l'FBI. E' lecito supporre che la ditta cerchi di minimizzare e, anche se falsificare un solo test è già una cosa gravissima e falsificarne 20 è mostruoso, probabilmente vuole cercare di circoscrivere il danno ai tests ripetibili ed evitare che si sospetti di tutto il lavoro compiuto negli ultimi anni.
Le accuse di corruzione hanno indotto l'Ufficio del Difensore Pubblico della Contea di Los Angeles ad avviare la revisione di tutti i procedimenti giudiziari in cui sono stati chiesti esami alla Orchid-Cellmark.
Sandi Gibbons, portavoce dell'Ufficio del Procuratore della Contea di Los Angeles, ha dichiarato che i casi da loro esaminati riguardavano perizie che non erano state ancora portate a giudizio, affermando: “La Cellmark ha isolato il problema molto rapidamente. Hanno provveduto molto rapidamente.” E, rispondendo alle domande in un'intervista mandata in onda dalle TV americane, ha proseguito: “Noi non crediamo che alla fine vi saranno processi compromessi da questo, perché tutti i casi sono sottoposti a revisione”.

Il problema, però, è dato dal fatto che i casi in revisione sono solo quelli indicati agli inquirenti dalla stessa Cellmark, che ha preso le distanze da Sarah Blair per evitare il crollo del titolo in borsa. Per questo motivo molti giornalisti hanno provato ad intervistare i portavoce dell'FBI, ma, l'unica che sono riusciti a raggiungere, una incaricata dei rapporti con la stampa di Quantico, in Virginia, si è trincerata dietro un irremovibile “no comment”.
Sperando in una miglior fortuna hanno provato ad intervistare la direttrice dei laboratori di Germantown (Maryland), Charlotte Word, diretta superiore della Blair. Ci si attendeva una presa di distanze dall'analista corrotta e una sottolineatura dell'avvenuta circoscrizione del problema, magari con un po' di propaganda per la ditta, nel tipico stile dei direttori-manager delle aziende private. Invece, a sorpresa, Charlotte Word non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
La linea difensiva scelta dai legali della Orchid-Cellmark è, dunque, quella dei casi difficili.

Bisognerà, allora, aspettare che termini l'inchiesta del Difensore Pubblico della Contea di L.A., per sapere davvero quanti e quali esami siano stati falsificati nel tempo. E' importante perché, se per le cause in corso sembra si sia agito tempestivamente, nulla è stato detto per i procedimenti passati.
Ad esempio, se si dimostrassero manipolati gli esami per quei processi il cui risultato è stato determinato proprio dalla prova del DNA della Cellmark, i problemi sarebbero davvero grossi. Cosa si farà per decine di casi, fra cui i più famosi negli USA sono quello di O. J. Simpson, Unabomber, Jon Benet Ramsey, il killer di Green River?

Un cronista del “Baltimore Sun” è riuscito ad ottenere copia di una lettera indirizzata al Dipartimento di Polizia di Los Angeles da un funzionario della ditta, in cui si afferma che l'analista Sarah Blair è stata licenziata per “professional misconduct”.
Il passo successivo è stato quello di cercare di comunicare al telefono con l'accusata. La Blair ha accettato di rilasciare un'intervista telefonica che si è rivelata tutt'altro che rassicurante, ecco le sue parole: “Ho spiegato il mio punto di vista sulla questione alla Cellmark quando ho rassegnato le mie dimissioni e sono ancora fedele a quella storia secondo cui sono innocente…”.
Che vuol dire questo? La Blair sarebbe stata a sua volta vittima di un raggiro, una pedina di un gioco ordito da chi era più in alto per falsificare i risultati? Oppure un capro espiatorio designato ad arte da una ben organizzata associazione per delinquere?

La Cellmark, che ha ottenuto i riconoscimenti e gli ingaggi più prestigiosi, ha anche varato e lanciato servizi non uguagliati da altri laboratori, come il “DNA Express Service”: l'esame è condotto secondo la procedura più avanzata e controllata che si conosca ma, come recita la propaganda, la ditta consegna il risultato in soli cinque giorni.
Nessun altro a quel livello riesce a far tanto.
Dipartimenti di polizia e consulenti tecnici di tutto il mondo, Italia inclusa, hanno impiegato i servizi di questi laboratori, pertanto la soluzione del caso e di ogni dubbio e sospetto, ha determinato un'attesa veramente globale.
D'altra parte, anche la possibilità di infliggere la nostra solenne acculata simbolica, è tenuta in sospeso fino alla conoscenza dell'identità di tutti i colpevoli e del ruolo che ciascuno ha svolto.

Questo caso solleva questioni di carattere più generale, sulle quali siamo indotti a riflettere.

Il progresso nelle scienze bio-mediche ci offre una varietà di strumenti di conoscenza veramente straordinaria, e questo non è un fenomeno recente, ma appartiene alla storia di queste discipline. Già il filosofo positivista francese Auguste Comte, nell'Ottocento, esprimeva rispetto per le tecniche delle scienze biologiche: “Se la perfezione di una scienza qualsiasi dovesse essere misurata dall'estensione e dalla varietà dei mezzi fondamentali che le sono propri, nessuna scienza potrebbe, indubbiamente, rivaleggiare con la biologia.” [Auguste Comte, Opere, ed. fr. III, 342].
Eppure, casi come questo della Cellmark, finiscono per gettare discredito sulla tecnica e sulla scienza, determinando nell'immaginario popolare una sfiducia cieca che, anziché dubitare della probità delle persone che impiegano un metodo scientifico, si estende a tutta una realtà.

Un'altra osservazione è relativa ai rapporti esistenti fra le caratteristiche di un ordinamento giuridico e la probabilità che i cittadini compiano reati.
Non sono pochi coloro che hanno sostenuto che un difetto criminogeno del nostro ordinamento, rispetto a quello degli USA e della Gran Bretagna, sia rappresentato dall'eccessiva astrattezza sia della legislazione che della giurisdizione che, andando ben oltre i requisiti hegeliani di astrattezza e generalità della norma, giungono a livelli di formalismo e cavillosità votati all'inefficacia.
Si racconta che un magistrato italiano, intascando un rilevante compenso per un'attività extragiudiziaria, abbia detto ad un suo allibito collaboratore: “Per Benedetto Croce e Giovanni Gentile la legge è il momento astratto della dialettica dello spirito: questo è il momento concreto!” Non sono pochi nel nostro paese e nell'Europa continentale gli estimatori della “Common Law” e della concretezza dei codici, da questa derivati, in uso nei paesi di cultura anglo-sassone. Molti di costoro, in una visione dell'etica quasi totalmente affidata al diritto, trascurano la formazione morale e culturale della persona, attribuendo ogni merito ed ogni demerito all'azione normativa e a quella repressiva.

Questo caso, come mille altri che la cronaca dall'estero quotidianamente ci propone, è esemplare di quanto sia relativa l'importanza del tipo di ordinamento per la probabilità che si commetta un reato.
D'altra parte si deve notare che in un'epoca di relativismo etico come la nostra, si rischia che le leggi rimangano nella società l'unico elemento comune nella ragione della morale, attraverso la distinzione fra il lecito e l'illecito.

Eppure, questi problemi hanno attraversato tutta la storia del pensiero filosofico, producendo nei secoli pagine di grande profondità che, con l'alibi del relativismo, oggi sono state neglette ed abbandonate dagli insegnanti, determinando la loro scomparsa dalla mente e dalla memoria della maggior parte dei cittadini.
Ci viene in mente una frase di Immanuel Kant che proponiamo alla vostra riflessione: “La ragion pura è di per se stessa pratica, e dà all'uomo una legge universale che chiamiamo legge morale”.
E' davvero superata questa filosofia? E, poi, da cosa? Dal dubbio assoluto, dal nichilismo improduttivo, dalle mille nuove forme specializzate di pensiero? Dal benessere che dopo aver soddisfatto la fame del corpo ha anche definitivamente saziato ogni fame di sapere e capire?
Intanto, vi lasciamo con questo semplice interrogativo:
e se Kant avesse ragione?

Filippo Rucellai e Conte Lucrezio - BM&L

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Medicina osteopatica in epoca postmoderna

Ero accanto al Porcellino quando, insieme, abbiamo sentito un distinto signore senese raccontare ad un conoscente, incontrato presso la Loggia del Mercato Nuovo, la storia di una truffa durata 17 anni. Il malcapitato è stato “curato per benino”, per tutti i mali che non aveva, da un cortese e garbato osteopata, il quale, nei frequenti controlli della salute che imponeva al suo cliente, era sempre pronto a sospettare, dubitare e preoccuparsi per cattivi allineamenti di vertebre e capi articolari, ed altrettanto solerte nel trovare l'immancabile rimedio efficace.
Qualche settimana fa, ad una cena di lavoro, il nostro signor di Siena ha sentito un ortopedico spiegare con schematica semplicità ed efficacia quali siano i dolori ed i malanni che possono aver origine dalle ossa, così si è incuriosito ed ha deciso di rivolgersi a lui per una visita. Allo studio del medico, dopo circa un quarto d'ora, si è reso conto di essere stato ingannato per tanti anni. E' buffo che, raccontando la storia, abbia pensato da sé di infliggere all'osteopata la pena dell'acculata che veniva eseguita in quel luogo.
Non è facile difendersi da queste imposture perché spesso sono istituzionalizzate attraverso regolari corsi di studio e riconoscimenti legali all'esercizio di una “professione”.
Dagli anni Ottanta si è diffusa in molti paesi, come una moda, la realizzazione di corsi didattici di pratiche diagnostiche e terapeutiche non scientifiche, raccolte sotto il nome di medicine alternative. Alcune di esse sono definite medicine tradizionali, perché si rifanno a tradizioni vere o presunte di un paese o di un popolo, altre sono comprese nella definizione di medicina olistica, in opposizione alla medicina scientifica che, procedendo per analisi e scomposizione, sarebbe “riduzionista”. Dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti è venuta anche la ricetta per far entrare queste forme di sapere nell'Università: basta strutturare dei corsi con discipline di base in comune con quelle dei corsi scientifici per medici e terapisti e, poi, aggiungere come insegnamenti caratterizzanti, in una forma decente e rigorosa, queste credenze tradizionali non supportate dalla prova degli esperimenti controllati.
Il business è assicurato. Si creano nuove professioni che conquistano nuove fette di mercato, una nuova offerta formativa per gli atenei e gli istituti che lucrano sulle iscrizioni, una fiorente editoria che pubblica per un bacino di utenza sicuro costituito da studenti che devono comprare quei libri. Senza contare tutto l'indotto legato a strumenti professionali e quant'altro.
Ma vediamo di cosa è stato vittima il conterraneo di santa Caterina.
Nel 1876 nel Missouri un tale di nome Still, teorizzando che tutte le malattie derivassero da irregolarità delle articolazioni o da pressioni esercitate sulle arterie, particolarmente quelle della colonna vertebrale, fondò la medicina osteopatica definendone i principi, ancora oggi seguiti scrupolosamente dai suoi seguaci.
Chi era il padre degli osteopati? Un empirico che aveva imparato a generare riflessi segmentali attraverso manipolazioni, al quale si rivolgevano i conoscenti in una realtà retriva in cui l'analfabetismo e la superstizione regnavano sovrani. Personaggi simili sono appartenuti alla realtà di ogni paese del mondo e, in molte regioni italiane, prendevano il nome di “acconciaossa”.
Si narra che Still, avendo perso tre figli per una meningite batterica, si convinse che tutta la medicina scientifica fosse un bluff e, pertanto, si sentì autorizzato a chiedere un “risarcimento” bluffando a sua volta. Purtroppo, fino all'avvento degli antibiotici, non si disponeva di farmaci efficaci contro le patologie infettive ed il tasso di mortalità era altissimo.
Nella stessa area geografica in cui viveva Still, non molti anni dopo, un droghiere di nome Palmer ritenne di aver scoperto la causa comune di tutte le malattie umane: una sub-lussazione della colonna vertebrale. Da questo cattivo allineamento sarebbero derivate tutte le manifestazioni di patologia, non solo quelle propriamente fisiche, ma anche quelle psichiche. Palmer aveva concepito queste idee svolgendo il suo secondo lavoro, ossia l'attività di “guaritore magnetico” che gli aveva consentito di apprezzare i risultati dell'effetto placebo, tanto quanto la credulità popolare. Sostenne di aver fondato una nuova scienza e ne scrisse in un trattato pubblicato a Portland nel 1910, di cui vale la pena leggere qualche breve stralcio per farsi un'idea del suo autore: “Io sono l'inventore, la Fonte Prima del fondamentale principio secondo cui la malattia è il risultato di un eccesso o di un difetto di funzionamento!”. Più avanti: “Io ho dato una risposta all'antico quesito: che cos'è la vita?”. Come si vede il nostro amico non volava basso, ma ci spiega che la sua è una vera e propria missione: “Sapendo che la nostra salute fisica e il progresso intellettuale dell'Innato – la parte dell'Intelligenza Universale personificata – dipendono dal giusto allineamento dello scheletro, sentiamo il dovere irrinunciabile di rimettere a posto ogni osso fuori posto, così da permettere la salute fisica e spirituale, la felicità e la fruizione completa dei godimenti terreni.”
Se da un canto il suo bisogno di mettere a posto ogni osso fuori posto, può apparirci lodevole in termini di armonia e simmetria anatomica, non si può non essere inquietati dagli effetti che Palmer si attende da questo “acconciare” per manipolazione. Ancor meno rassicurante è questo passo: “Io sono la Fonte Prima della Chiropratica, che è nata con me. I suoi principi sono sgorgati dal mio cervello geniale; io ne sono l'origine, il padre, colui al quale tutti i chiropratici si rifanno come al Fondatore.” (D. D. Palmer: Textbook of the Science, Art and Philosophy of Chiropractic for Students and Practitioners, Portland, Portland Printing House Co., 1910).

Sono intervenuto nella conversazione presso il Porcellino esponendo in sintesi quanto fin qui riportato su Still e Palmer, ed il signore senese ha esclamato: “E' proprio Palmer che citava quel ciarlatano! Diceva che lui si rifaceva a quella scuola, con l'orgoglio dell'autentico seguace di un'ortodossia scientifica!”

Questa volta la pena la si è decisa fra noi: un colpo al giorno tutti i giorni della sua vita o, in alternativa, cambiar subito mestiere!

Filippo Rucellai - BM&L

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L'acqua è smemorata

L’effetto di una cattiva notizia incredibile, come se vi dicessero che hanno rubato il Porcellino: non si sa se si è più stupiti o dispiaciuti. Ecco, mi sentivo così qualche ora fa.
Mi ero avvicinato alla Loggia del Mercato Nuovo per salutare il mio amico di bronzo, quando ho visto venir giù da Via Vacchereccia, con tanto di occhiali scuri da turista e di “mise” all’ultima moda, Fiorella. Leggiadra, smilza e coriacea paladina dell’irrazionale, abile cuciniera di minestroni in cui i frutti del pensiero scientifico sono mescolati agli ortaggi delle ciarle di ogni genere, con democratica parità, senza distinzione di metodo, disciplina, epoca, luogo o circostanza. Tremavo nel vederla avvicinarsi a grandi falcate, come sempre quando il reciproco avvistamento non avviene in auto e conseguentemente non ho scampo, rifugio od usbergo che mi sottragga allo sviluppo acuto dell’inevitabile sintomatologia psicosomatica generata dall’ascolto delle sue parole: vertigini, palpitazioni, nausea, vomito, piloerezione, gastralgia, diarrea incoercibile, dermatite eritemato-edematosa, con macchie sul viso a desquamazione istantanea, concomitante a piegamento in basso per perdita di consistenza dei padiglioni auricolari, obnubilamento del sensorio con fame d’aria e sete di giustizia. Lei ci ama. Noi…meno. “Ambivalenza conflittuale” è l’espressione che più spesso, parlando di lei, è affiorata alla bocca di coloro che fra noi conoscono la psicanalisi. Sarà pur giusto in termini psicoanalitici e valido anche per il mio inconscio, ma ciò che più mi ha impegnato in passato, sfidando le mie capacità diagnostiche, è stato il tentativo di capire in cosa consistesse quel sottile potere che ci impedisce di provare una chiara e definita avversione e non ci consente il distacco dell’ostilità. Mi sono chiesto a lungo perché si finisse tutti per accettarla come una calamità naturale od un evento ineluttabile: per i suoi regali? Per la sua straordinaria disponibilità a collaborare con il prossimo anche se a modo suo? Per la sua incapacità infantile di rendersi conto di quanto sia insopportabile? Per la sua assoluta certezza di essere gradita ed amata da tutti? Per i suoi sorrisi che si fanno più frequenti ed intensi se la si manda al diavolo? Per tutte queste cose insieme?
C’è qualcosa in Fiorella che causa tutti questi interrogativi e rappresenta il suo speciale potere su di noi. Pensavo che fosse come il noumeno kantiano, la cosa in sé, che non si capisce bene cosa sia e tutti si finge di aver capito… Poi, ad un tratto, il ricordo di un’illuminazione: era stato il nostro amico Lucrezio qualche tempo fa a pronunciare la parola chiave, diagnostica e diacritica al contempo: “Zia”. Ecco, cos’ha Fiorella che ci costringe e ci obbliga nel profondo del nostro essere: l’istinto, l’archetipo, il prototipo, l’assetto funzionale ed il potere evocativo della zia…Terribilmente “buona”!
Ma torniamo a stamani. Codesti ed altri nobili turbamenti affollavano la mia mente, quando ho deciso di affrontare il mio ormai inevitabile destino, andandovi fieramente incontro per fare in modo che non si compisse sotto gli occhi innocenti ed esigenti del Porcellino. Avvenuto l’incontro, con maggior enfasi e clamore di quello di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele, per esclusivo merito della mia garrula, schioccante, risonante, fragorosa, convulsiva e festosa amica, ci siamo diretti, lungo via Calimala, in piazza della Repubblica per andare in un bar. Forse la conoscenza di quanto ci è ancora ignoto della fisiologia della produzione vocale, un giorno ci permetterà di comprendere i meccanismi che consentono l’effetto di molteplicità nelle persone come Fiorella, che invariabilmente appaiono in questi casi come gruppi o turbe vocianti, ridenti, scoccodanti, squillanti, in costante sovrapposizione. Ti senti in minoranza. Soccombi. Anche all’inevitabile ennesima reiterazione della sua logora battuta di spirito: “Andiamo al bar a sedere, col sedere si ragiona meglio!” Sottolineata da effetti sonori inclusivi di applausi preregistrati, altro mistero della fenomenologia fiorellica.
Ero turbato dal fatto che brandisse come il santo Graal o come l’urna delle reliquie del patriarca Abramo, un pregiato e lucidatissimo articolo dei pellettieri fiorentini: doveva contenere la fonte delle sue certezze e il motivo della sua irrefrenabile gioia nell’incontrarmi. Infatti cinguettava complimenti impropri ed eccessivi sul mio aspetto fisico, continuando a lanciare occhiate alla borsa, oltre che a tutti i passanti, nel suo consueto e vertiginoso controllo scopico dell’ambiente che, fra un trillo e un falsetto, le consente un efficiente monitoraggio dell’attenzione del pubblico.
Scegliamo il caffè-concerto Paszkowsky, perché al mattino è baciato dal sole, preferendolo alle “Giubbe Rosse” dove il “pubblico” è più numeroso di sera: naturalmente la decisione è presa a maggioranza e il mio unico voto contrario è risultato irrilevante per l’esito deliberativo.
La mia non più giovanissima, ma gaia e fanciullesca amica, tiene un corso universitario, cosa drammaticamente attualizzata ai miei occhi dal suo modo studiato di inforcare gli occhiali da vista, appena ci si è seduti al tavolino: è il concetto di pseudo-scienza insegnata nel luogo di (de)formazione della gioventù che fa sanguinare il mio cuore, per metafora, e cascar giù le braccia per improvvisa caduta del tono muscolare, per davvero.
“Abbiamo le prove” annuncia con l’ineffabile sorriso delle certezze incrollabili.
“Vediamo” chiedo, accentuando un’espressione sconsolata per indurre pietà nella mia interlocutrice, ma ottenendo solo un nuova variante del suo ricco campionario di sorrisi fatui. Con gestualità teatrale estrae le fotocopie di un articolo che alza in sorvolo sulle bibite, ad una quota eccessiva per massimizzare l’effetto dell’atterraggio sotto i miei occhi innocenti e preoccupati che scorgono subito l’intestazione: Nature. Mal di pancia. La somatizzazione immediata sull’intestino è dovuta all’assoluto prestigio dei referees della rivista. Affronto da uomo coraggioso la dura realtà, con grande soddisfazione della mia interlocutrice, che già pregusta il mio pentimento e la mia conversione alla fede irrazionale di quella tribù globale di cui è gran sacerdotessa, mentre mi accingo, con un atto intrepido e deciso, alla dolorosa lettura. Ma il primo colpo d’occhio è sufficiente a restituirmi la pace intestinale e la serenità psichica.
La tranquillità psicosomatica è sopraggiunta perché mi sono reso conto che si trattava di una vicenda nota, spesso citata come “affaire Benveniste”, dal nome del responsabile del laboratorio che, nel giugno del 1988, era riuscito a far pubblicare su una delle più prestigiose riviste scientifiche i risultati di un lavoro che aveva dell’incredibile (Human basophil degranulation triggered by a very dilute antiserum against IgE, Nature, 333, 816-818, 1988), in quanto provava l’efficacia di un siero diluito -guarda caso- come i farmaci omeopatici. Fiorella mi ha mostrato l’articolo in una strana riedizione che riproduceva il frontespizio della rivista britannica, omettendo la data. Per il resto tutto uguale.
In breve, questo lavoro dimostrava che una funzione svolta da molecole di un antisiero continuava a verificarsi quando, in seguito a diluizioni estremamente elevate, non vi erano più molecole. In particolare, l’antisiero portava granuli fuori dalle cellule basofile in gran numero e questo effetto continuava a prodursi in sua assenza. Per un ricercatore è assurdo, tanto quanto affermare, ad esempio, che le centinaia di passeggeri che gli Eurostar quotidianamente portano da Firenze a Milano, in completa assenza di treni sono ugualmente giunti nella città meneghina, viaggiando sospesi nell’aria che sovrasta le rotaie. Nella discussione gli autori avanzarono l’ipotesi di tracce invisibili di memoria lasciate nell’acqua. Come se si dicesse che l’aria si ricorda dei treni e ciò è sufficiente a surrogarli.
Questo genere di esemplificazioni che ho proposto a Fiorella, sembra essere stato efficace, a giudicare dall’entità del sollevamento delle sue arcate sopraccigliari e dalla staticità della sua bocca semiaperta, non attraversata dal flatus vocis per interi minuti.
“Allora l’acqua non ha memoria?” chiede.
Le rispondo che l’acqua è fatta di una rete fluida di H2O; se si ammette che ci sia una memoria, questa deve essere costituita da altri atomi e molecole, allora non si tratta più di acqua, ma di altre molecole, che si dovranno identificare e studiare per poter attribuire loro questa funzione. In questo caso sarebbe come dire che non c’erano i treni e sono stati impiegati gli aerei.
“Non potrebbe esistere una memoria nella struttura dell’H2O?”
“Equivale a dire che nel cemento armato di un edificio c’è memoria delle persone che vi hanno abitato…”
“Un errore di livello?”
“Precisamente. Per cui, se pur si ammette che nella struttura dell’aria ci sia il ricordo del treno, bisogna dimostrare come questo ricordo abbia trasportato i passeggeri… In altre parole, per poter accettare questa assurdità dovremmo rinunciare ai principi su cui si fonda tutta la scienza e l’interpretazione empirica della realtà, fuori di ogni logica e buon senso. Perché?”
Mi sentivo rinfrancato e, quando Fiorella, fingendo di sobbalzare prima ancora di aver guardato l’orologio, ha detto che era tardi, mi sono accomiatato con soddisfazione raggiungendo a rapidi passi la casa del mio amico Lucrezio. Insieme abbiamo scaricato la posta elettronica e…Cosa troviamo? Una e-mail di una amica biologa e docente, Rita, che menzionava proprio la “memoria dell’acqua”. Ho subito avuto una recidiva dei sintomi di qualche ora prima ed ho esclamato: “Siamo circondati, arrendiamoci!”
Ma il buon Lucrezio mi ha tranquillizzato, spiegandomi che stava proprio occupandosi del misterioso ritorno di questa colossale frode: Rita si è bene documentata, arricchendo il nostro dossier sul caso, ed ha personalmente scritto una sintesi sui retroscena e gli interessi che hanno sostenuto un volgare imbroglio presentato come sperimentazione dall’aspetto formale ineccepibile. Così ho pensato di cogliere l’occasione per elaborare con lei un approfondimento di tutta la vicenda, dalla descrizione della ricerca, agli accertamenti della Commissione di inchiesta presieduta dallo stesso direttore di Nature, John Maddox. (vedi “Il caso Benveniste, rivelazioni, retroscena e discussione”, di prossima pubblicazione . E’ utile conoscere i fatti emersi con diamantina chiarezza in quella circostanza, perché ci aiutano a capire e a difenderci dalle imposture. Infatti, gli interessi illeciti che erano in gioco quindici anni fa sembra che siano ancora in campo, più attivi ed operanti di prima. E, se la ricerca da allora è più tutelata, non si può dire che accada lo stesso per il grande pubblico. Sembra, infatti, che questo “incidente” abbia avuto una parte non secondaria nel determinare l’istituzione nel 1989 da parte dei National Institutes of Health di Bethesda (Maryland, USA) di un “Office of Integrity”, in seguito divenuto “Office of Research Integrity” e, proprio il rischio di frodi così ben congegnate, ha indotto la definizione in Europa -la prima nazione è stata la Danimarca- di regole anti-frode, divenute operanti dal 1992. Al contrario, la protezione per il grande pubblico, costituita dalla conoscenza, sembra fare notevolmente difetto.
Nel frattempo si propone per Fiorella una condanna a cinque acculate, commutabile in una pena più rispettosa dei glutei, ma molto più articolata:

1.                   leggere 50 volte il nostro articolo sul caso Benveniste;

2.                  fotocopiarlo e distribuirlo ai suoi studenti e sodali;

3.                  leggere  e studiare il capitolo sul numero di Avogadro e la molarità delle soluzioni dal libro di chimica di suo figlio, nonché fare tutti gli esercizi di calcolo stechiometrico;

4.                  per dare prova di sicuro pentimento, ridurre in strisce una copia dell’articolo di Benveniste ed avvolgerlo accuratamente intorno al rotolo attualmente in uso nella sua stanza da bagno.

Ovviamente, come sempre, l’ultima parola spetta a voi!


Filippo Rucellai & Rita Cadoni - BM&L

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Colpevole o innocente?

Francis Collins, agli onori delle cronache come gran cerimoniere delle celebrazioni per i cinquant'anni della scoperta della struttura a doppia elica del DNA (1953-2003), entra di diritto nello spazio di questa rubrica per motivi che vogliamo sottoporvi.
La stima indiscussa di cui gode Francis Collins, direttore negli USA dello Human Genome Project, giustificata dal suo curriculum e dalle sue indubbie capacità e competenze in qualità di genetista, non sembra essere stata scalfita da una frode che lo ha visto protagonista nel 1996. Probabilmente Collins si è meritato l'indulgenza della comunità scientifica internazionale perchè da molti ritenuto innocente: il colpevole sarebbe stato un suo collaboratore che, in ben cinque ricerche di genetica delle leucemie, ha falsificato i dati poi pubblicati in articoli su prestigiose riviste. Se le cose stanno davvero così, allora Collins ha commesso una disonestà minore: ha firmato lavori a cui non ha veramente contribuito. Ma siamo certi che questo malvezzo, cui siamo abituati da decenni in Italia, sia solo un "peccato veniale"? Se sono i lavori scientifici pubblicati a determinare il curriculum, la reputazione, la carriera e gli incarichi di prestigio, non sarebbe il caso di valutare questo aspetto con molta attenzione? Lo scambio di "regali" fra alcuni gruppi di ricerca è la regola; ma siamo fermamente convinti che questa alterazione corruttiva della realtà debba essere combattuta e, se è il caso, perseguita nell'interesse della ricerca, oltre che del vero. Crediamo che questo sia un esempio di uso perverso di un potere, in grado di trasformare ordinari ricercatori in grandi scienziati virtuali, dalla irraggiungibile prolificità scientifica.
Collins, per il prestigioso ruolo che ricopre, è anche colpevole di costituire un cattivo esempio e, pertanto, la redazione di "Frodi, Inganni ed Errori" lo condanna all'acculata, da eseguirsi appena giungerà in Italia; per ciò che concerne l'entità della pena, ovvero il numero di colpi che le sue auguste terga dovranno scandire sulla pietra dello scandalo, scriveteci in e-mail la vostra proposta.

Filippo Rucellai - BM&L

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Fiori e Tachioni

Caro Porcellino, re di tutti i cinghialini, sai cosa mi è capitato stamani? Una signora di nome Cecilia, della quale non diremo il cognome per carità e per motivi che saranno chiari più avanti, dopo averci inviato complimenti elettronici in abbondanza, mi ha telefonato -non so come sia riuscita ad avere il mio numero- e, dopo altre lodi ed apprezzamenti orali, ha rotto gli indugi ed ha annunciato che un rimbrotto doveva pur farcelo. Ben disposto a recepire ciò che il cielo e la madonna -così chiamiamo a Firenze le signore- mi avrebbero inviato, ho spalancato il padiglione dell'auricola pronto a far buon uso di lezione dell'annunciata ramanzina. Ma ecco ciò che ha trafitto il timpano del vostro ignaro amico: "Come Brain, Mind e Life non dovreste ignorare e trascurare la scoperta più importante della psichiatria e forse di tutta la medicina! Non so se state prendendo tempo per poi scrivere un bell'articolo che consigli le dosi e le modalità della cura... Ma, forse, non siete aggiornati... Se volete, ho ritagli di giornali e riviste che posso fotocopiare; certamente potrete trovare materiale anche su internet. Possibile che non ne sappiate nulla, nessuno di voi in America, in Giappone o qui in Europa sa niente? Si chiamano Fiori di Bach e guariscono la depressione, la schizofrenia, l'epilessia, alcuni tumori, tutte le malattie della pelle, le disfunzioni sessuali... Ha visto che non si parla più di AIDS? Perchè ormai sono in tanti a prendere i fiori di Bach! Vede, agiscono con un meccanismo psicosomatico che produce energia positiva in grado di influenzare il sistema immunitario ed il cervello! Sono scoperte recenti, c'era anche un lancio della Reuters, un articolo su TIME e... Anche molte mie amiche non ne possono fare più a meno... Non vanno più dal ginecologo, perchè guariscono i disturbi del ciclo mestruale. Ma vanno bene anche per gli uomini, perchè curano l'eiaculazione precoce, l'impotenza, gli accessi di rabbia: l'ho dati a mio marito, ora sembra un altro...".
Mi sono limitato a chiedere se fosse proprio sicura che si trattasse di una cosa nuova, ed ho azzardato: "Sa, qualche anno fa..." Mi ha interrotto: "Venga alla mia erboristeria e le spiego tutto, anzi prenda penna e carta e scriva, chè le do l'indirizzo, magari lo mette sul sito! Che è meglio!".
Devo confessare che la lunga "e" aperta "labronica" di "meeeglio", dall'inconfondibile suono rivelante l'origine livornese della mia stenica ed aggressiva interlocutrice, mi ispirava sentimenti di simpatia. Le ho chiesto: "Sono efficaci anche per le punture d'insetto?" Mi ha risposto immediatamente: "Per quello ho un cerotto al tachione, sperimentato dai più grandi scienziati del mondo, che agisce localmente ed attraverso il circolo sanguigno e linfatico; se vuole ho anche la pomata!" "Sempre al tachione?" Ho ingenuamente interrogato. Così mi sono beccato lo spot completo di tutte le novità omeopatiche, naturopatiche, olistiche e nonsopiùcosa con finalino dedicato ai Fiori di Bach, da cui si era partiti.
"Ma cos'è il tachione?" Chiede il mio cortese e stupìto interlocutore porcino. Gli dico che si tratta di qualcosa che dovrebbe interessare la Fisica e non la Medicina, una particella che, fra l'altro, nessuno potrebbe facilmente provare che non c'è nel prodotto.
Cosa dici, Porcellino?
Giusto. Lui dice che c'è l'aggravante dell'interesse commerciale nello sfruttamento della credulità popolare. Ma per la verità anche la signora Cecilia sembra una credulona, non che voglia giustificarla perchè mi è simpatica. Beninteso, merita l'acculata ma, mentre voi pensate all'equo numero di impatti da erogare, vediamo cosa sono questi Fiori di Bach.
Intanto bisogna notare che Edward Bach nacque nel 1886 e morì a cinquant'anni, nel 1936, prima dell'inizio dell'era delle grandi scoperte biochimiche che avrebbero rivoluzionato la farmacologia e l'intera medicina scientifica. Le sue osservazioni e deduzioni sulle virtù del vegetale divenuto famoso con il suo eponimo, erano prive di qualsiasi prova sperimentale tanto che non attrassero l'attenzione dei medici con solida formazione scientifica; pertanto è lecito chiedersi a cosa si debba la fortuna di questa suggestione, che periodicamente ritorna con piccole epidemie come accade per certe malattie da batteri endemici mai completamente eradicati (Cretinococcus vulgaris nella sua variante toscana Becillococcus becerus briacus).
Sembra che il merito della nascita delle fortune dei "fiori" si debba tutto attribuire a ser Charles K. Elliot, omeopata reale ufficiale di sua maestà britannica la regina Elisabetta II d'Inghilterra, il quale salutò la cura come "uno dei metodi terapeutici più completi fra quelli oggi a disposizione". E' facile comprendere perchè questo cerusico reale fosse stato destituito dall'incarico di Commissioner of Mental Health della città di New York: posso personalmente attestare che in quella realtà gli standard scientifici sono rimasti largamente indipendenti dalle suggestioni ideologiche di una concezione pervasiva ed estrema del liberalismo, che seduce la cultura popolare inglese da alcuni decenni, spesso creando un malinteso senso del concetto di tolleranza (vedi la voce "Tolleranza" nella rubrica "Alfabeta") . Si può anche osservare che il nome stesso, dato dal guaritore alla sua cura, lo approssima più ai ciarlatani del Medioevo (vedi in "Storia e Storie" il brano "Sono solo cambiati") che ai medici contemporanei: "Rimedio salvifico di Bach".
Probabilmente già al tempo di Ippocrate qualcuno che avesse detto: "Ho un rimedio salvifico", sarebbe stato guardato con sospetto dalle persone più avvedute ed istruite. Eppure le panacee, ovvero i rimedi universali, sono sempre esistiti e, nei periodi di stasi o regressione culturale, la loro diffusione aumenta. All'epoca del massimo sviluppo della Civiltà Egiziana la specializzazione medica, pur con i limiti delle conoscenze di quel tempo, aveva raggiunto un grado tale che in Alessandria ogni medico curava una sola malattia.
Cosa curavano i Fiori di Bach? Il prurito, l'eiaculazione precoce, il disturbo ipercinetico e attentivo dei bambini cerebrolesi, il grande male epilettico, il delirium tremens, lo shock ipotensivo e cardiogeno, la dismenorrea, l'ipocinesia uterina nel parto, ecc. Praticamente tutto.
Se si riflette sul concetto di rimedio universale, ci si accorge di una caratteristica di fondamentale importanza psicologica per comprendere il perchè più profondo del suo successo. Un solo rimedio per ogni male, non soltanto rende inutili tutti i farmaci e le terapie chirurgiche o radianti, ma elimina anche i medici: che bisogno c'è di un esperto che studia la patologia, che impara i metodi per giungere alle più difficili diagnosi, se la cura è sempre la stessa?
Che ne dite, per il tentativo indiretto di soppressione dei medici, un colpetto in più glielo si regala alla nostra simpatica livornese?
Forse, però, rischiamo di far torto proprio alle persone come la signora Cecilia che usa una varietà di altri mezzi di cura, fra cui il cerotto e la pomata al tachione e, forse, alla memoria di Edward Bach che spiegava i modi di un impiego oculato e diversificato dei suoi fiori, come si legge nel libro di G. Vlamis, (Flowers to the rescue. The Healing Vision of the Doctor Edward Bach, Wellingborough, Thorsons, 1986) a proposito della cura di animali paralizzati o che abbiano perso i sensi. In questo caso i fiori vanno stropicciati dietro le orecchie ed il risultato è assicurato: l'animale balzerà ritto sulle zampe, sano e vivace come non mai. Ma, per carità, non ditelo al Porcellino che desidera tanto muoversi di lì che potrebbe chiedermi di provare perfino i fiori di Bach!

Conte Lucrezio - BM&L

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Chi controllerà i controllori?

La risposta a questa domanda, nel caso di un referee della rivista Proceedings of the National Academy of Science, è facile: la commissione dei National Institutes of Health. L'esperto in questione è David Bridges, un biologo texano che, trovato colpevole, è stato severamente punito con l'interdizione dall'incarico per dieci anni (lui certamente avrebbe preferito le beffe di una "sana acculata").

David Bridges era stato incaricato di valutare, per la pubblicazione, un ottimo lavoro scientifico condotto da un gruppo di Harvard: un contributo originale in un campo in cui lo stesso Bridges aveva indagato senza successo. Il referee si è appropriato dei risultati, dedicandosi all'elaborazione di un paper a proprio nome che, nel giro di un mese, ha inviato alla rivista Science. Per rendere credibile la sua paternità del lavoro, ha deciso di ricorrere ad un'astuzia luciferina, ossia servirsi della testimonianza delle sue stesse vittime.
Così ha rispedito il manoscritto agli autori, dichiarando che la correttezza deontologica gli impediva di esprimere un giudizio su un lavoro sperimentale che giungeva agli stessi risultati da lui ottenuti e riportati in un articolo già in corso di stampa. Ma proprio questa imprevista motivazione ha insospettito i legittimi autori: il gruppo di Harvard, sapendo bene che nessuno al mondo era in quel momento prossimo ad ottenere quei risultati, ha prodotto una dettagliata documentazione dei propri sospetti, che ha consentito ai ricercatori della commissione dell'NIH di accertare la verità senza particolari sforzi.

Diane Richmond - BM&L

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L'interleuchina-4A

La correttezza metodologica e procedurale non è solo condizione necessaria ma, talvolta, anche sufficiente per la pubblicazione di un lavoro scientifico su una rivista prestigiosa. Nel 1986 un ricercatore italiano che lavorava ad Harvard pubblicò su Science la scoperta dell'interleuchina-4A, dimostrandone le due proprietà fondamentali: la presenza in ogni risposta immunitaria dell'organismo e la capacità di amplificare la risposta linfocitaria. Questa nuova interleuchina attrasse molta attenzione, interessando studiosi di campi diversi dall'immunologia e conquistò una grande popolarità ad Harvard. Ma, quando lo scienziato italiano decise di tornare in patria, la fantastica molecola - è il caso di dirlo - scomparve dal laboratorio. Nessuno riusciva più a riprodurre gli esperimenti che avevano portato alla sua identificazione.

Ad Harvard fu istituita una commissione di inchiesta che giunse a chiedere allo stesso autore del seminal work dell'86 di ripetere gli esperimenti.

Cos'era accaduto? Qualcosa che è nell'esperienza di ogni ricercatore: risultati sorprendenti e desiderati, poi smentiti da ulteriori esperimenti. A chi non è capitato? Solo che il Nostro, non accettando la realtà, aveva deciso di contraffare i dati successivi, giungendo ad inventare di sana pianta gli esperimenti cruciali che lo avevano portato alla "scoperta" dell'interleuchina virtuale.

Al lodevole e sollecito intervento della commissione d'inchiesta non ha fatto riscontro in Italia, forse per campanilistica partigianeria, l'unanime soddisfazione per aver svelato l'inganno. Infatti, se questo episodio è brevemente citato in un contesto di implicita condanna, in un saggio di Brancato e Pandolfi dell'ottobre 2002, non tutta la comunità scientifica nazionale è stata altrettanto severa. Si è anche letto di tentativi di giustificazione fondati su una presunta responsabilità del capo del laboratorio che non avrebbe impedito la frode. Lungi dall'essere una giustificazione, questa ci appare, per dirla con linguaggio giuridico, una chiamata di correo, ovvero l'indicazione di un altro candidato a picchiar le auguste terga sulla pietra dello scandalo.

Conte Lucrezio - BM&L

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Elias Al Sabti da ricercatore a ricercato

Stamane, passando per il Mercato Nuovo, ho notato una certa tristezza nell'espressione del Porcellino, così mi sono accostato e gli ho chiesto come mai non fosse del solito buon umore. E lui, nel suo colorito Cinghialese bronzino, lingua che ogni Fiorentino conosce sin dalla nascita, mi ha confidato di essere stanco di aspettare un furfante birbaccione che di sicuro fa il cacazibetto in giro per il mondo ed invece dovrebbe battere il deretano a moto perpetuo, tutti i giorni della sua vita, fra risa e sghignazzi di onesti e fanciulli. Gli ho chiesto chi sia costui e perchè meriti un così severo giudizio. Mi ha risposto: "Noi cinghiali porcate non ne facciamo! Ed io sono uno di quelli che non fa male a nessuno, fa' conto che se mi dicessero 'chi non ha peccato scagli la prima pietra ' potrei lapidare tutto il mondo... Ma sono buono, non mi muovo, non mi giro neppure a guardare la berlina... Ma le risate, sì, voglio sentirle... Fanno bene al cuore" (traduzione del redattore). Così, senza farsi troppo pregare, mi ha raccontato una storia davvero interessante che vi riferisco perchè possiate anche voi esprimere un giudizio.

Elias Al-Sabti o Alsabti è un medico originario della Giordania che, sebbene non abbia particolari qualità nè come clinico, nè come ricercatore, è riuscito presto ad entrare a far parte di gruppi di ricerca, dedicandosi alla sperimentazione oncologica. Come vi sia riuscito non è dato sapere, per certo si sa cosa è accaduto dal quel momento in poi. L'astuto Elias era stato in grado di raggiungere una posizione di un certo rilievo in poco tempo nel suo laboratorio dal quale presto decise di andar via, così prese a spostarsi con una certa frequenza. In ogni nuovo laboratorio, in breve tempo, da solo, otteneva risultati stupefacenti in seguito ai quali cambiava istituto e regione geografica, portando con sè il segreto del suo successo. Eppure, non conosceva nemmeno l'Inglese. Come faceva (o fa)?

La prima impresa di cui si è a conoscenza, fu la copia conforme di un lavoro apparso sul noto European Journal of Cancer, inviata come propria ricerca al Japanese Journal of Medical Science and Biology. L'operazione di copia da una rivista scientifica di buon livello internazionale e l'invio ad una non eccelsa rivista giapponese, fu ripetuta molte volte con successo e, d'altra parte, è facile immaginare perchè: gli stessi referee che esaminavano i papers non seguivano l'oncologia internazionale a quei livelli. Ma, non contento di questi risultati, Alsabti si produsse anche nella più rischiosa operazione inversa. A tal proposito si deve notare che il Giordano non è uno sprovveduto, anzi bisogna riconoscergli un buon fiuto da talent-scout: sul Japanese Journal of Clinical Oncology trovò un lavoro di autori sconosciuti, che a suo giudizio era degno della blasonata rivista Oncology e, anche in questo caso, per la scarsa dimestichezza con l'Inglese preferì copiarlo integralmente.

La cosa è andata avanti a lungo senza che alcuno nemmeno sospettasse, anche perchè il Nostro non era così imprudente da mostrare i "suoi" lavori ad oncologi americani od europei e, quando si profilava il rischio di doverli mostrare a qualche competente, tagliava la corda senza lasciare indirizzo. Di questo si rese conto una delle sue "vittime" che, recensendo come d'abitudine la letteratura scientifica riguardante il suo campo di indagine, fu attratto da una pubblicazione su una rivista giapponese che, oltre a vertere sul suo stesso oggetto di interesse, aveva lo stesso titolo di un suo lavoro. Appena ne fu in possesso, vide che si trattava del suo articolo, cambiava solo la firma; telefonò subito al laboratorio indicato sul paper e seppe che Alsabti era andato via e non aveva lasciato alcun recapito. Bisogna notare che quando la rivista Science pubblicò un'inchiesta sul caso, in difesa della credibilità della ricerca in un settore così delicato come l'oncologia, sebbene nessuno sapesse esattamente dove fosse l'inafferrabile Mediorientale, si riteneva che l'affaire fosse avviato a soluzione. Infatti, ben sessanta lavori con la firma di questi, risultavano copiati e tutti gli autori avevano denunciato il plagio alle autorità scientifiche e giudiziarie. Ma dal 1980 nessuno lo aveva più visto negli USA, dove l'ultimo avvistamento lo dava al volante di una Cadillac gialla.

Forse nessuno a quel tempo avrebbe immaginato cosa sarebbe poi accaduto, ossia che oggi, nel 2003, il caso è ben lungi dall'essere risolto.

Intanto, dopo l'inchiesta di Science, qualcuno lo segnalò presso un Ospedale in Virginia e, sebbene quando la stampa vi accorse lui si fosse appena licenziato, si riuscì ad avere un suo recapito telefonico. Il giornalista che potè parlargli, gli chiese in maniera diretta cosa pensasse di fare. Alsabti si proclamò assolutamente innocente ed intenzionato a denunciare tutti i ricercatori che avevano copiato da lui ed anche la rivista Science, proclamando la sua fiducia più piena nel sistema giudiziario americano. Alla domanda se fosse lui alla guida della Cadillac a Houston, rispose che la sua Cadillac era bianca, non gialla, sostenendo che quella fosse una prova del castello di menzogne costruito a suo danno.

Poi è svanito nel nulla. Ora si sa che ha cambiato nome e qualcuno che giura di averlo riconosciuto sostiene che lavori ancora come oncologo in un paese arabo...

Se riusciamo a portarlo al Porcellino, credete che possano bastare 60 acculate?

Filippo Rucellai e Conte Lucrezio - BM&L

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